Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Gaetano Mammone - il mostro orribile

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Chi è Gaetano Mammone? Molti di quelli che casualmente leggeranno il titolo di questa breve nota se lo chiederanno. E’ un protagonista minore di quel tragico evento storico, mai abbastanza conosciuto e celebrato, che fu la Repubblica Napoletana del 1799.

Mammone Gaetano da Sora, di mestiere mugnaio, già brigante di strada e, a onore delle sue “gesta”, nominato sul campo “generale” dell’esercito “sanfedista” da Sua Eminenza il cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria.

Si distinse unicamente per la ferocia ed efferatezza della sua furia distruttrice di giacobini e repubblicani delle province (soprattutto in Terra di Lavoro) e della capitale del Regno o di chiunque fosse sospettato come tale. Per dare credibilità alla terribile fama del personaggio, ecco come Alexandre Dumas descrive, con efficacia da film horror, una delle sue “imprese”:

Il ferito rimase in piedi, ma oscillando come se stesse per cadere. Gaetano Mammone gettò la scure, balzò su di lui, con una mano lo tenne appoggiato al muro, con l’altra lacerò – senza che don Clemente avesse la volontà o la forza di opporvisi – la veste da camera e la camicia di batista, gli denudò il petto, strappò via il coltello piantato nella gola e attaccò avidamente le labbra alla ferita, da cui sgorgava un lungo filo scarlatto” (La Sanfelice, Adelphi, vol.1°, pag.343).

 

Si dirà che sono fantasie ben raccontate ed esagerate faziosità di un celebre scrittore francese, notoriamente antiborbonico, anche se occorre ricordare che il Dumas fu anche autore di una monumentale ”Storia dei Borboni di Napoli”, riconosciuta come un’opera ampiamente documentata e rispettosa della verità storica. Comunque, tralasciando Dumas, si possono citare numerose testimonianze riportate in opere di assoluto valore storico.

Vincenzo Cuoco, in una nota in calce ad un capitolo del suo libro più importante, così racconta del “generale”:

 

”Mammone Gaetano, prima molinaio, indi generale in capo dell’insorgenza di Sora, è un mostro orribile, di cui difficilmente si trova l’eguale. In due mesi di comando, in poca estensione di paese, ha fatto fucilar trecentocinquanta infelici;…Non si parla de’ saccheggi, delle violenze, degl’incendi;…non de’ nuovi generi di morte dalla sua crudeltà inventati… Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello che usciva dagl’infelici che faceva scannare. Chi scrive (Cuoco, ndr) lo ha veduto egli stesso beversi il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante sangue; beveva in un cranio…”. (Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Bur 1999, cpt XLIV, pag.265, nota 4).

Ma il Cuoco è un contemporaneo del Mammone, per giunta un convinto repubblicano che fu testimone partecipe di quell’evento, emotivamente coinvolto e quindi sospettabile di parzialità. Vediamo allora quel che ne scrive il grande Benedetto Croce all’inizio di un capitolo interamente dedicato al Nostro: “Il terribile Gaetano Mammone, il più efferato tra i capi realisti del 1799 (quel tale che soleva adornare le mense dei suoi banchetti, in cambio di fiori, di teste recise e sanguinanti di giacobini) morì in Napoli, nel 1802, nelle carceri della Vicaria, sotto l’accusa di aver tramato coi giacobini un’insurrezione contro il re…” (La Rivoluzione Napoletana del 1799, Bibliopolis 1998, cpt.VIII, parte I, pag.403).

Ancora Benedetto Croce, sempre nella stessa opera (pag. 414), al termine del capitolo, cita uno scrittore filoborbonico (tal Giuseppe Torelli) che, pur esaltando “l’eroica” morte del Mammone, non può fare a meno di scrivere: ”Non può negarsi che nella sua campagna d’insorgenza non avesse usato degli atti di crudeltà contro i giacobini, fino a servirsi in pubblica tavola del teschio loro per bicchiere.”

E’ una sorta di nèmesi storica quella che colpì Mammone. Egli, infatti, si lasciò morire di fame in carcere per non subire l’onta dell’impiccagione, vittima egli stesso dell’ingratitudine di coloro i quali (i Borbone) aveva servito fedelmente e con tanta ferocia. In conclusione di questa breve nota è giusto sottolineare che Mammone, pur nella sua particolare efferatezza, non fu il solo “generale” irregolare dell’esercito sanfedista, suoi degni compagni d’arme furono noti briganti tra cui Michele Pezza alias Fra’ Diavolo, Gennaro Rivelli, Sciarpa, Panedigrano, Pansanera e altri uomini di malaffare che, alla testa di bande di facinorosi e unendosi ai lazzari napoletani, si macchiarono di inenarrabili nefandezze, consentendo al cardinale Ruffo di riportare sul trono un re imbelle, ignorante e dispotico (Ferdinando IV) succube della vendicativa consorte Maria Carolina.

La tremenda reazione che seguì alla restaurazione pose tragicamente fine all’effimera Repubblica Napoletana ed eliminò in pochi mesi, col terrore del patibolo, gran parte degli uomini migliori che Napoli e il Meridione potevano vantare in quell’epoca. La loro vera “colpa” fu quella di credere, ingenuamente, di poter riscattare in breve tempo la miseria, l’ignoranza e le superstizioni che attanagliavano la plebe meridionale .

Al sacrificio di quegli uomini valorosi Benedetto Croce, storico e filosofo italiano più illustre del secolo appena trascorso, ha comunque riconosciuto il merito di “aver creato (con la Repubblica Napoletana) una tradizione rivoluzionaria e l’educazione dell’esempio nell’Italia meridionale…Essa… gittò il primo germe dell’Unità italiana”. (M. L.)

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