Ferdinando ed Antonio Ruggi d'Aragona
La biografia di Ferdinando ed Antonio Ruggi d'Aragona è stata curata in esclusiva per noi dal diretto discendente, il Marchese Roberto Ruggi d'Aragona, che ha inoltre concesso al Nuovo Monitore Napoletano la pubblicazione dei loro ritratti, totalmente inediti e di sua proprietà e pertanto tutelati da copyright. [ndr]
Famiglia appartenente all’alta nobiltà del Regno delle due Sicilie già da molti secoli, la Ruggi d’Aragona s’era distinta, in età moderna, con D. Matteo Angelo che avendo abbracciato la carriera militare ed amministrativa era stato eletto nel 1730 Prèside di Calabria Ultra e nel 1734 Prèside di Principato Ultra con la conferma sino al 1739 quando prese possesso del Presidiato di Abruzzo Citra. Due anni dopo, per aver dato prova di indiscutibili doti di governo e di comando in territori spesso difficili ed infidi, re Carlo III° lo promosse alla prestigiosa carica di Soprintendente Generale dei castelli di Napoli e Sicilia e dei Presìdii di Toscana, onorandolo anche del titolo di marchese sul cognome. Nel 1754, il 5 febbraio, Matteo Angelo sposava la rappresentante di un’altra nobile ed antica famiglia salernitana, la predetta march. Maria Maddalena Cavaselice, nata il 15 maggio 1733 in Spagna nella città di Cxca de los Cavalleros Reyno de Aragona, figlia di “ Nicola marchese de Cavaselice, Colonel de los Exercitos de Su Magestas , Gobernador Politico y Militàr del Partido de Cinco Villas y de la marquesa Dona Teresa de Lembo, legittimos coniuges naturales de la Ciudad de Salerno en el Reyno de Napoles y residentes en la Villa de Cxca de los Cavalleros“ come recita la certificazione del Parroco Don Antonio Pequera [Cxca è abbreviazione di Ejea de los Caballeros]. Il dato di pregio in questa dichiarazione è la presenza, come Padrino dell’infanta, di Giuseppe Cantelmo Stuart Duca di Popoli e “Grande de España de Primera Clase, Princepe de Pectorano, Gentil Hombre de Camara de Su Majestad Filippo V, Brigadier de Sus Exercitos, Comendador Mayor del Banito de Alcantara de la Encomienda de Biedra Buena”. A livello di Autorità militare e civile può comprendersi bene l’intervento del Cantelmo ma la colleganza operativa e strutturale s’accresce per i meriti distinti del Ruggi per l’associazione, molto più rilevante per due italiani, con le apprezzate qualità di governo nei territori napoletani su decisioni dei Viceré e, naturalmente, del re. Dal matrimonio nacquero otto figli : Giuseppe primogenito, capitano del reggimento Veliti e poi del reggimento Re dell’esercito borbonico che, il 20 Agosto 1792, sposò la principessa Chiara Angiola Invitti dei Principi di Conca dando seguito alla dinastia con sei figli, quattro femmine e due maschi di cui Giovanni Maria sarà poi fondatore degli Ospedali riuniti “Ruggi d’Aragona” di Salerno; Maria Margherita secondogenita, morta piccola; Gerardo terzogenito e quarto Ruggi Cavaliere di Malta, Cavaliere di Giustizia al 1776, salvatosi dalla temperie del 1799 perché in rada a La Valletta al comando della galera dell’Ordine “Capitana”. In seguito, con la restaurazione, sarà nel 1819 Ministro del Supremo Magistrato della Salute, a Napoli; Francesco quintogenito, nel nuovo secolo Amministratore Generale del Registro e Bollo, sesto Ruggi Cavaliere di Malta, di Devozione nel 1779, che per sua personale decisione ed attaccamento all’Ordine autoespresse il voto di castità, e l’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Napoli chiuderà la registrazione della sua morte avvenuta il 3 Gennaio 1832 (atto n°3) con le parole “Non ammogliato” - di conseguenza verrà a mancare la sua discendenza; Filippo settimogenito, monaco olivetano col nome Gregorio; Pietro ultimogenito, Colonnello Comandante del reggimento Veliti, Cavaliere dell’Ordine delle due Sicilie, che per meriti verrà insignito, il 9 Luglio 1814, del titolo di Barone sul cognome da Re Gioacchino Murat.
A tal proposito la ricerca sui martiri del ’99 consente di dichiarare errate non solo le informazioni fornite da Giustino Fortunato, Mariano D’Ayala e Luigi Conforti sui due, ma anche quelle di Riccardo Avallone che, nel tentativo di correggerle, sbaglia ancora sulla nascita di Ferdinando (13 invece di 23) mentre per Antonio equivoca sul nome, che è riferito non a lui ma a Giuseppe primogenito. Anche Ferdinando entrò a far parte, appena diciassettenne, del Sacro Militare Ordine di Malta il 15 Gennaio 1777 come Cavaliere di Onore e Devozione, quinto in ordine di tempo dei Ruggi. Trascorsero anni e lo si trova a Malta, in convento, per portare a termine il relativo periodo di vita spirituale. Il 10 Luglio 1784 abbracciava la carriera militare nella Marina Borbonica da Allievo Volontario e nel settembre dello stesso anno fu imbarcato sulla fregata Santa Teresa. Brigadiere graduato delle Guardie Marinare il 16 Febbraio 1787 era sulla fregata Dorotea, poi sul Brigantino Stromboli, quindi da Alfiere di Vascello sulla corvetta Stabia il 29 Maggio 1789. Promosso Tenente di Vascello il 18 Aprile 1793 viene mandato per decreto in Castellammare [di Stabia]. I vari periodi trascorsi nei gangli dell’amministrazione militare e civile lo avevano posto – come molti altri nobili e altograduati napoletani - in contatto con un mondo in trasformazione sí che apparivano consunti e sfilacciati i modi di governo e di conduzione degli Stati contemporanei, già del resto in crisi dopo la Rivoluzione Francese, tappa fondamentale insieme con quella Americana del risveglio delle nazioni. Su Ferdinando, poi, agivano anche opinioni e pensieri di intellettuali salernitani pronti ad abbracciare il nuovo corso, come Pier Paolo Aceto, preGiacobino nel 1795, e soprattutto Matteo Aceto, sacerdote della Curia, le cui critiche al governo fecero presa su di lui. Fu, allora, naturale l’appoggio incondizionato alla Repubblica. A fine febbraio 1799, nominato dal Governo Provvisorio membro della nuova Municipalità di Napoli, lasciò il servizio attivo nei ranghi della Marina Borbonica per recarsi a Salerno come Commissario per il Dipartimento del Sele. Qui con un pubblico proclama, “Manifesto ai Salernitani – Libertà Eguaglianza” redatto dal fratello Antonio, fu stabilito di: eleggere i 18 membri che dovevano costituire il Governo Municipale Provvisorio Salernitano, innalzare l’Albero della Libertà ed indire pubbliche feste in onore del santo Patrono in segno di ringraziamento. Vennero, così, distrutti i ricordi del passato governo, abbattuti gli stemmi e i ritratti dei Sovrani e innalzato l’Albero al grido di “Viva la Libertà, morte al Tiranno”. Senza dubbio alcuno gli appartennero l’anima del movimento, la mente direttiva, la padronanza assoluta di ogni decisione presa nel Dipartimento del Sele. Il Commissario Ruggi ebbe il completo controllo del movimento rivoluzionario salernitano : “… Avendo soggiogata la popolazione, veniva quale assoluto padrone a disporre del governo politico economico e militare mentre la Municipalità era esecutrice delle sue risoluzioni, ed i rispettivi presidenti dovevano alla cieca firmare, senza che fosse loro permesso di sapere o leggere ciò che egli scriveva ai Comitati Napoletani, per la paura di rimanere vittime della sua spietata fierezza” (dalla Relazione di Costantino Filippi). Al suo fianco, sempre, la preziosa figura del fratello Antonio che, di certo, per i suoi innati ideali di libertà lo affiancava con grande dedizione da segretario. Antonio aveva brillantemente portato a termine gli studi di Legge presso la Regia Università di Napoli e ne stava raccogliendo i frutti godendo di bella fama d’avvocato con studio alla Pignasecca nelle case di Monte di Litto e Lembo. Non ebbe, Antonio, alcuna remora, alcun tentennamento ad interrompere la sua professione per seguire il fratello a Salerno. Qui, nel frattempo, siamo verso la metà di febbraio, si cominciano ad avvertire i primi segni di revanche monarchica. Ad Eboli, Cava, Vietri, Pagani, nell’agro nocerino sarnese ma soprattutto a Cetara scoppiava la rivolta antigiacobina che Ferdinando, con altri patrioti e l’aiuto di truppe francesi, sedava nel sangue. Nella periferia cilentana, a Capaccio, Sicignano, Castelluccio, Polla, Sala Consilina le cose non andavano meglio - a Maggio l’insurrezione realista si era propagata ovunque. I lazzari non aspettavano altro che l’ingresso a Napoli del cardinale Ruffo e delle sue bande per riportare l’ordine ed eliminare qualche piccola, ultima, resistenza repubblicana. Stessa sorte subirono gli altri esponenti della famiglia, imprigionati ai Granili di Napoli; a fine giugno 1799 Filippo, ovvero il monaco olivetano Gregorio, era ancora in carcere mentre Francesco che, nel mese di Febbraio aveva ricevuto la nomina di Commissario per il Cantone di Sannazzaro, era condannato al confino. Pietro, infine, si trovò quasi subito rilasciato perché non coinvolto e non colpevole. “ I beni, come per tutti, avidamente confiscati e [vedevi] la casa a Salerno saccheggiata e depredata dalla plebe che giunse a mettere nell’acqua moltissimi quadri di gran valore per rubarne la tela, in questo aizzata dal Cardinale nel nome della Santa Fede” (M. D’Ayala). Per Ferdinando ed Antonio la sentenza fu al tempo criminale e formale (e la madre ne morì di crepacuore) in quanto che il codice nobiliare voleva il misero spettacolo della condanna mediante decollazione. Così il primo ad andarsene era Antonio, il 23 di Novembre 1799, di sabato alle ore 19, ed il suo corpo buttato nella fossa di S.Caterina a’ Funari. Due settimane dopo, il 7 dicembre, sempre di sabato alle ore 18,30, stessa sorte toccava a Ferdinando, poi sepolto nella parrocchia del Carminiello o del Carmine Maggiore. Scriverà Gennaro de Crescenzo: “ Se la repressione fu feroce e se il patibolo e il carcere consacrarono alla storia uomini che avevano mantenuta accesa la fiaccola del patriottismo, i loro ultimi aneliti furono raccolti da altre anime ardenti, che attesero fiduciose l’ora di far sentire il loro grido di riscossa. Raramente un tentativo fallito ebbe, al pari di quello, maggiore efficacia sullo spirito della nazione: tutto, l’estrema nobiltà dell’esperimento, i generosi sacrifici umani, la purezza dell’agire, l’inganno che disarmò la mano dei repubblicani, l’iniquità delle condanne, tutto contribuì a circondare la breve drammatica vita e la fine miseranda della Repubblica di un’aureola eterna “. |
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