La grande spiritualità russa asservita al potere

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La Chiesa ortodossa russa ha sempre oscillato tra due estremi opposti. Da un lato è stata per secoli uno dei principali pilastri del potere aassoluto degli zar, che incarnavano nella loro persona tanto il potere temporale quanto quello spirituale. Venivano considerati dalla popolazione l’emanazione diretta della divinità sulla terra, ed erano in pratica oggetto di culto, soprattutto tra le masse contadine.

La Chiesa stessa era parte del potere imperiale. Godeva pertanto di ricche prebende e partecipava, da una posizione di vertice, ai vantaggi che tale potere garantiva.

La Rivoluzione del 1917 segnò il punto di frattura, poiché i bolscevichi giunti al potere spogliarono la Chiesa ortodossa di ogni suo bene, perseguitando inoltre, in modo sistematico, il clero dopo aver introdotto l’ateismo di Stato.

Questo fino a quando, nel corso del secondo conflitto mondiale Stalin, da abile politico qual era, si accorse che l’appoggio della Chiesa gli sarebbe stato molto utile nella lotta contro il nazismo. Ne seguì un riavvicinamento tra Chiiesa e Partito comunista che contribuì in misura significativa alla vittoria finale delle armate sovietiche. Anche se, sul piano ufficiale, l’ateismo di Stato non venne mai abolito.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica i beni vennero restituiti e la Chiesa riacquistò un prestigio che in realtà non aveva mai perduto totalmente.

E’ opportuno tuttavia rammentare che esiste un altro aspetto dell’ortodossia che è molto interessante, anche se meno meno noto al grande pubblico. Si tratta della religiosità ortodossa e delle sue manifestazioni.

Opere classiche come la “Filocalia” e i “Racconti di un pellegrino russo” sono capolavori che parlano all’anima di ciascuno d noi. Essi rappresentano un altro aspetto della spiritualità ortodossa, più attenta alla preghiera e alla dimensione interiore che ai rapporti con il potere.

Con Vladimir Putin il pendolo oscilla di nuovo verso un concetto di Chiesa intesa come pilastro del potere temporale. Ne abbiamo avuro prova in questi giorni.

Durante il Sinodo ortodosso, il patriarca di Mosca Kirill I, che di Putin è intimo amico, ha infatti emanato un decreto che esclude qualsiasi spazio per il negoziato nel conflitto ucraino e ogni ripensamento delle ragioni che hanno indotto il Cremlino a invadere il territorio dello Stato confinante.

Nel corso del suddetto Sinodo è stato infatti detto che, dal punto di vista morale e spirituale, la “operazione militare speciale” lanciata dal presidente russo è, in realtà, una “guerra santa” mediante la quale la Russia e il suo popolo difendono lo spazio spirituale della patria. In questo modo la Chiesa ortodossa intende proteggere il mondo intero dall’attacco del globalismo e dal “satanismo” (sic) che dominerebbe l’Occidente. Dopo la conclusione dell’operazione militare speciale, l’attuale Ucraina dovrà dunque rientrare in una zona d’influenza esclusivamente russa.

Si tratta di una vicenda che, oltre ad essere tragica, causa una profonda tristezza. Un immenso patrimonio spirituale e culturale viene piegato alla ragion di Stato e ad ambizioni imperiali che Putin, ormai, non si cura più di nascondere. Inutile dire che, proprio per questi motivi, il patriarca ortodosso di Mosca non ha mai raccolto le proposte di pace più volte formulate da Papa Francesco e dalla Chiesa cattolica.

 

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