Cicognara, Lanzi e Ricci: la triade nazionale della storia dell’arte italiana
«L’Italia, questo nome sì bello e sì caro che scalda il cuore e ingrandisce la mente con una serie di rimembranze tanto onorevoli per i nostri antichi popoli [...] si ridusse a non esprimere ormai più che la mera denominazione geografica di questa parte d’Europa dominata dagli stranieri. Le antiche agitazioni che minacciarono di dividerla, non le avevano tolto però quel carattere nazionale che pur conservò nelle sue turbolenze [...]». Così si esprimeva il conte Leopoldo Cicognara (1767-1834) nell’ultimo libro della sua opera Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, pubblicata a Prato nel 1823. Ferrarese di nascita, si trasferì a Roma nel 1788 dove poté studiare e visitare i resti antichi, vivendo immerso nel clima neoclassico dell’Urbe e diventando membro dell’Arcadia. Negli anni della calata di Napoleone fu membro della Repubblica Cisalpina e del Regno d’Italia (1805), prima di ritirarsi dalla vita politica e trasferirsi a Venezia dove si dedicò totalmente all’arte (fu infatti presidente dell’Accademia di Belle Arti e dell’Ateneo della città lagunare). Fu proprio durante questi anni che Cicognara scrisse la sua Storia della scultura composta di sette volumi e divisa in cinque parti, ognuna riferita ad un’epoca e ad una maniera artistica rappresentata dal suo maggiore esponente: Nicola Pisano, Donatello, Michelangelo - considerato l’apice e la sintesi di tutte le arti del Rinascimento -, Bernini e Canova, di cui fu amico e ammiratore. Per l’autore l’Italia era la «patria vera delle Arti», luogo di massimo sviluppo della scultura, la cui omogeneità di clima, natura e cielo aveva predisposto gli Italiani verso «la Greca eccellenza». Di pochi anni precedente all’opera di Cicognara, fu invece la Storia pittorica del gesuita Luigi Lanzi (1732-1810), pubblicata in edizione definitiva a Firenze un anno prima della morte. L’aspetto innovativo del testo era la sua impostazione generale: per la prima volta si scriveva una storia della pittura italiana non più seguendo uno schema “per biografie”, sull’esempio delle Vite di Giorgio Vasari, ma presentando una storia unitaria dell’argomento. L’autore organizzò, infatti, l’opera per scuole pittoriche regionali, suddividendole ognuna per epoche in base ai cambiamenti apportati dal maggiore artista del tempo, trattando anche dei suoi allievi e della diffusione del suo stile. Insegnante di retorica a Roma dal 1765 al 1772, Lanzi fu un prolifico scrittore di sonetti religiosi e traduttore dal greco e dal latino; dopo la soppressione della Compagnia di Gesù riparò a Firenze, dove ricoprì l’incarico di antiquario reale presso gli Uffizi al servizio del granduca Pietro Leopoldo e dando un importante contributo agli studi di etruscologia (scrisse infatti nel 1789 un Saggio di lingua etrusca in tre volumi). Per scrivere la sua Storia pittorica, egli viaggiò in Italia settentrionale e centrale - non si recò mai nel Regno di Napoli - componendo dei taccuini dai quali traspariva il proprio metodo di studio basato sulla visione diretta dell’opera d’arte; inoltre la Storia è stata considerata una testimonianza dello stato dell’arte italiana prima delle dispersioni napoleoniche. Conterraneo di Lanzi, ma di una generazione successiva, fu il marchese Amico Ricci (1794-1862), autore della Storia dell’architettura in Italia dal secolo IV al XVIII, in tre volumi, del 1857. Nato a Macerata, ricoprì gli incarichi di funzionario pontificio e gonfaloniere della sua città nel 1822-24, curando anche la biblioteca comunale a cui lasciò la propria raccolta di libri; fu considerato il primo storico dell’arte delle Marche grazie all’opera Memorie storiche delle arti e degli artisti della marca di Ancona, pubblicata nel 1834 e ispirata proprio alla Storia pittorica di Lanzi. Nella sua opera Ricci descrisse, in poco più di trenta capitoli, le vicende dell’architettura a partire dall’imperatore Costantino, analizzando le differenze fra tempio pagano e basilica e descrivendo le prime catacombe; per ogni epoca distinse tra architettura civile e religiosa, passando in rassegna gli architetti principali e lo stile di ogni secolo. Considerò il ‘gotico’ tipico dell’architettura straniera, mentre quella delle torri e dei fortilizi fu la maniera che più si diffuse nella nostra Penisola; ma è con il Rinascimento e la riscoperta di Vitruvio che si affermò lo stile veramente ‘italiano’, raggiungendo l’apice con Michelangelo e Palladio. Per concludere, si potrebbe evidenziare anche il grande valore simbolico di queste tre opere: ideate e scritte negli anni che prepararono il Risorgimento, con esse gli autori espressero tutto il loro “spirito patriottico” nel dimostrare l’unità culturale dell’Italia. Mancava l’unità politica, ma ormai era solo una questione di tempo.
Gianluca Rizzi
Bibliografia: Cicognara, Francesco Leopoldo (voce) di G. D. Romanelli, Dizionario Biografico degli Italiani, 1981, vol. 25 [In rete] ‹treccani.it/enciclopedia/francesco-leopoldo-cicognara_(Dizionario-Biografico)/› [URL consultato il 22 aprile 2023]. Lanzi, Luigi Antonio (voce) di F. Capanni, Dizionario Biografico degli Italiani, 2004, vol. 63 [In rete] ‹treccani.it/enciclopedia/luigi-antonio-lanzi_(Dizionario-Biografico)/› [URL consultato il 22 aprile 2023]. A. M. Ambrosini Massari (a cura di), ‘Dotti amici’. Amico Ricci e la nascita della storia dell’arte nelle Marche, Ancona, Il Lavoro Editoriale, 2007. |
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