Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Islam e minoranze cristiane

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Molto spesso emerge la timidezza dell’Occidente quando si tratta di difendere i diritti – e a volte la stessa sopravvivenza – delle minoranze cristiane che vivono nei Paesi islamici. In Egitto, per esempio, copti, cattolici e protestanti rappresentano il 10% della popolazione complessiva, una percentuale tutt’altro che trascurabile. Il che impedisce ai pacifisti a senso unico, come spesso accade, di fare spallucce sostenendo che in fondo si tratta di minoranze poco importanti.

Il ragionamento è in ogni caso privo di senso, poiché i diritti di una minoranza non si misurano certo in base alla sua consistenza numerica. Desta tuttavia un certo sgomento notare quanto siano flebili le proteste dei cristiani occidentali. E in Italia, seguendo una sperimentata tradizione, molti esponenti del cattolicesimo sembrano assai più sensibili alle sorti della Fratellanza Musulmana che a quelle dei correligionari che vivono in uno stato di permanente minaccia.

Conta poco appurare se chiese e monasteri assaltati e bruciati siano 40, 80 oppure 100. È importante invece rilevare che in molti Paesi musulmani si rischia la scomparsa dei cristiani, a dispetto dei numeri significativi citati in precedenza.

Tale progressiva scomparsa è in atto da decenni. Non molto tempo fa Andrea Riccardi rammentava che i cristiani sono passati dal 25 all’1% in Iraq e dal 15 al 6% in Siria. In Iran (340mila cristiani su 77 milioni di abitanti) le chiese sono protette dalla polizia. In Afghanistan e Arabia Saudita non è riconosciuta alcuna libertà religiosa ed è vietato il proselitismo.

 

La situazione sta inoltre peggiorando rapidamente anche in Turchia e in Pakistan, con una crescita esponenziale del fondamentalismo.

È quindi naturale che molti cristiani vedano nell’emigrazione l’unica via di scampo, con il risultato di impoverire il tessuto sociale e culturale dei Paesi in cui sono nati e cresciuti. Ma non tutti sono disposti a seguire questa strada, proprio perché non intendono tagliare di netto le loro radici e affrontare l’arduo percorso che sa sempre gli emigranti devono percorrere per inserirsi in realtà nuove.

Altrettanto naturale – anche se la mia affermazione può destare scandalo – è che le comunità cristiane avessero seguito con apprensione l’avvento delle cosiddette (e ormai defunte) “primavere arabe”.

I regimi dittatoriali abbattuti spesso avevano un’impronta laica derivante dall’ideologia del partito socialista panarabo Baath. Senza dubbio la tolleranza era dovuta a ragioni di convenienza ma, in ogni caso, c’era. La debolezza degli attuali leader occidentali non è mai stata così evidente.

Qualcuno ha per caso sentito proteste vibranti da parte degli esponenti di punta dell’Unione Europea o dell’amministrazione Usa?

Viene spontaneo chiedersi, allora, a quale gioco sta giocando l’Occidente. Se abbiamo di fronte forze che esibiscono con orgoglio il loro retaggio storico, religioso e culturale, al punto di bandire per legge ogni eredità diversa, sembrerebbe logico difendere il nostro che – lo si voglia o no – ha radici innegabilmente cristiane. In caso contrario gli avversari sapranno di poter fare ciò che vogliono.

 

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