La doppia vita dei criminali nazisti
Il 9 luglio 2023 è stato pubblicato su La Repubblica un longform La Doppia vita dei nazisti, una rassegna a cura di Carlo Bonici, Francesca Candioli e Laura Petici, sui criminali nazisti che hanno fatto strage di civili durante l’occupazione in Italia nel secondo conflitto mondiale. Tornati in Germania alla fine della guerra non hanno mai pagato per i loro crimini. Sono le storie dei “lupi mannari”, gli uomini lupo, i werwolf di Goebbels, ministro della propaganda nazista. Il primo dell’elenco è Karl Heinz Becker, paracadutista della Lutwaffe. Il 21 novembre 1943, a Pietramseri in Abruzzo, vennero trucidati 125 civili. Becker morì a 86 anni, sepolto con tutti gli onori in un tranquillo paesino della Germania dove era stato eletto due volte come borgomastro. Gli inquirenti tedeschi ed italiani non lo hanno mai cercato. Klaus Conrad, tenente delle SA. A San Polo, Arezzo, nel luglio 1944 cinquanta persone, civili e partigiani, vennero torturate e trucidate. Nel dopoguerra eletto deputato nel Bundestag, fu più volte processato e sempre assolto. Nel 2004, a 89 anni, intervistato dichiarò: «Non mi sono mai sentito colpevole. Certo le persone erano impaurite, sapevano che quella sarebbe stata la loro fine. Non posso negare che non siano stati picchiati. Fucilare 50-60 persone è una cosa che colpisce chiunque, ma una volta accertato che erano tutti partigiani cosa potevano fare?» È falso. Molte delle vittime erano civili. Dopo l’intervista si dimise dalle cariche e processato nel 2006, ma non fece a tempo a vederne la fine. Morì nel suo letto a 91 anni. Georg Henning H. von Heydebreck, colonnello della divisione Goering. Nell’aprile del 1944 a Vallucciole, provincia di Arezzo, vennero massacrati cento civili: Angiola Gambineri con il suo bambino di due mesi, nascosti in un armadio, furono uccisi con un colpo al petto. Nel dopoguerra il nazista si diede alla politica, s’iscrisse al partito democratico e arruolatosi nell’esercito fu nominato colonnello. Morì a 73 anni; nessuno lo ha mai cercato. Max Adam Salfrak, battaglione delle SS, partecipò all’eccidio di Monte Sole, nell’Appennino bolognese; tornato in Baviera dopo la guerra trascorse una vita nell’ombra fino alla morte a 83 anni. Anche lui non fu mai cercato. Franz Schmidt, musicista in gioventù, capitano della fanteria corazzata SS. Il 29 settembre 1944, alla Croda, frazione di Montesole, sull’ Appennino bolognese, vennero trucidate 60 persone tra cui un neonato di venti giorni; sottoposto al processo di denazificazione venne considerato non pericoloso. Negli anni 60 entrò in una ditta musicale e lanciò The Rattles, un noto complesso musicale tedesco. Walter Reder, maggiore delle SS. Nel settembre ‘44, in pochi giorni furono massacrate 770 persone in oltre 100 località dell’Appennino bolognese, chiamata erroneamente strage di Marzabotto. Estradato in Italia nel 1948, Reder, condannato all’ergastolo, scrisse lettere di perdono, che finirono respinte. In seguito venne rilasciato “per un sincero ravvedimento”. Nel 1985, ad attenderlo all’aeroporto c’era il ministro della difesa tedesco; subito dopo ritrattò le lettere del “ravvedimento”. Morì nel 1991. Willfried Segebrecht, comandante nella divisione Reichsfuhrer SS. Partecipò nell’agosto ‘44 con Reder ai massacri di civili. Nel villaggio di Vinca vennero uccisi 174 civili di cui solo 60 erano uomini, gli altri donne, bambini ed anziani. A dar manforte ai tedeschi contribuì la brigata nera fascista guidata da Giulio Ludovici. A Cadotto vennero uccise 50 persone, in gran parte donne, bambini ed alcuni neonati. Tornato in Germania, Ludovici trascorse il resto della vita come stimato imprenditore, ricevette una medaglia al merito civico per l’impegno sociale, continuò ad avere rapporti coi reduci della 16ma divisione SS. Morì a 72 anni. Josef Strauch, ufficiale della 26ma divisone della Wehrmacht. Il 23 agosto 1944 nella zona Padule di Fucecchio, Toscana, vennero uccise in poche ore 175 persone, la più giovane aveva 5 mesi, la più anziana 93 anni. Dopo la guerra la giustizia italiana lo condannò a sei anni di carcere, ma tre anni dopo ottenne la grazia. Tornato libero assistette con impegno Reder nel processo, entrò nel dipartimento regionale per l’istruzione e ricoprì l’incarico fino alla morte nel 1970. Helmut Looff entrò nelle SS a 26 anni. Dopo aver guidato i suoi uomini a stragi orrende in Ucraina, partecipò in Italia all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema e a Monte Sole. Rientrato in Germania insegnò sotto falso nome per dieci anni, poi svelò la sua vera identità e dieci anni fu sottoposto ad un procedimento penale. Venne sospeso dall’incarico d’insegante per frode, ma l’indagine per le stragi si concluse con un non luogo a procedere. Morì libero a 78 anni. Dei nove personaggi riportati nel longform uno soltanto ha pagato per i crimini commessi con trent’anni di carcere ed un altro con tre anni, tutti gli altri non sono mai stati cercati, hanno ricoperto cariche importanti e ottenuto riconoscimenti ufficiali. Motivazioni politiche hanno impedito d’indagare sul loro passato. Le centinaia di vittime delle stragi, in gran parte donne, vecchi, bambini anche neonati, perpetrate con ferocia e sadismo, non solo dalle SS, ma anche dall’esercito tedesco, spesso con l’aiuto delle milizie fasciste italiane, attendono ancora giustizia. Per conservarne la memoria storici e giornalisti italiani e stranieri, in collaborazione con il ministero degli esteri della Germania, hanno creato un portale on line NS. Täter in Italien (Täter significa perpetratori) con i ritratti dei responsabili delle stragi in Italia. Accanto ad SS efferate come Walter Reder e Helmut Loof, vi sono personalità di rilievo come Peter Eduard Crasemann, ufficiale della Werhmacht, responsabile della strage del padule di Fucecchio, Klaus Konrad, fine giurista, membro della buona borghesia, divenuto torturatore e omicida di partigiani e civili a san Polo, Kurt Christian Von Löben, neppure iscritto al partito nazionalsocialista, proveniente da famiglia nobile e tradizioni militari. Nessuno di loro ha abiurato il suo passato, nessuno ha sentito il bisogno di nascondersi e, anzi, hanno proseguito ad incontrarsi con i reduci. La memoria è necessaria soprattutto in un momento come questo che stiamo vivendo, in cui sono tornati sulla scena europea movimenti e partiti che non rinnegano quel passato di terrore.
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