Il confronto tra religioni
In questo periodo convulso di confronto tra Islam e Occidente, molti si chiedono perché vi sia una differenza così radicale tra islamici e cristiani quando si tratta di giudicare articoli e vignette antireligiosi. È un interrogativo più che legittimo. Nel mondo occidentale siamo ormai abituati a tutto, e i simboli del cristianesimo vengono dileggiati di continuo. In un film in concorso presentato in passato al Festival di Venezia, Paradise Faith, si assiste addirittura a una scena di masturbazione con un crocifisso da parte della protagonista. Naturalmente le condanne – anche dure - ci sono state, ma nessuno si è sognato di ricorrere alla violenza per protestare. Sull’altro versante, quello islamico, basta una vignetta per scatenare le folle e le rimostranze aspre di governi e autorità religiose. La differenza di comportamento è tale da suscitare – sempre e comunque – sorpresa e meraviglia in Italia e negli altri Paesi occidentali. Naturalmente conosciamo la storia e sappiamo che non sempre è stato così. Il cristianesimo ha alle spalle una lunga storia di eresie, roghi, persecuzioni e libri messi all’indice. Basta quindi l’incontro con la modernità a spiegare la tolleranza mostrata ai giorni nostri? Troviamo alcune risposte interessanti a tali quesiti in una intervista di monsignor Antonio Livi (purtroppo mancato recentemente), sulla reazione dell’Islam al film “blasfemo”, pubblicata dal quotidiano online “Lettera43”. Livi era teologo e filosofo, allievo di Etienne Gilson (uno dei maggiori esponenti del neotomismo del secolo scorso) e autore di molti saggi, tra cui Vera e falsa teologia. Come si spiega, dunque, la differenza di comportamento dianzi citata? A suo avviso occorre dare una risposta radicale: «L’Islam è una religione creata su basi politiche, che pertanto non può rinunciare al potere, proprio in senso politico. Già il fatto che gli Stati islamici non distinguano tra diritto civile e prescrizioni del Corano è indicativo». Questo significa che la laicità dello Stato è una componente fondamentale della visione cristiana del mondo? Chi scrive pensa che molti avanzerebbero obiezioni a tale considerazione, ma Antonio Livi è convinto che sia proprio così. Premettendo che il cristianesimo è prima una fede, poi una religione, egli afferma che «nei vangeli è scritto che al Cristo furono offerti i regni della terra, e lui rifiutò». Questo aspetto secondo le sue parole si comprende meglio rammentando che, nel corso delle persecuzioni religiose dei primi secoli i fedeli, pur non avendo il potere, aumentavano invece di diminuire. Lo stesso accade in contesti dove il cristianesimo è ostacolato o perseguitato. In questi casi la comunità è quasi sempre fiorente. Segue un’affermazione destinata senz’altro a sorprendere i più. Livi sostiene infatti che la tolleranza è giustificata da un aspetto “genetico”, poiché il vangelo stesso ha una componente comica: «Comprende figure come San Pietro, che si muovono come personaggi comici. Senza contare che Cristo ha sopportato i dolori della carne. Non è solo un dio glorioso, ma anche un dio sofferente ». L’unico elemento di tragicità è in fondo la dannazione eterna, e sul resto si può sempre discutere. Ne consegue che «quando si profana il crocifisso, il vero cristiano non reagisce con un impeto d’ira, al massimo prova commiserazione per chi compie il gesto. Un cristiano non si offende se qualcuno bestemmia: sono problemi personali del bestemmiatore con Dio». La dissacrazione va piuttosto combattuta – questo il suo parere – sul piano filosofico, giacché «spetta all’autorità civile la tutela dei diritti della persona». Occorre pertanto una difesa forte, ma non ideologica, della laicità, la quale a sua volta implica anche “la difesa della possibilità di credere. La laicità non deve diventare una pseudo-religione in lotta contro le religioni». Parole molto chiare anche se, come sempre accade quando si affronta questo tema, prestano il fianco a obiezioni di vario tipo. Resta però che i cristiani non reagiscono con la violenza di fronte alla profanazione dei loro simboli. Il fatto che invece ciò accada quasi sempre nel mondo islamico pone ostacoli di grande portata al dialogo politico e culturale, e soprattutto a quello interreligioso che oggi va molto di moda.
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