Cinematografia e fiabe: barbarie culturale?
John Ronald Reuel Tolkien è noto principalmente per la sua produzione letteraria, però egli di formazione e professione era un filologo e di buon livello, conoscitore ed estimatore specialmente della letteratura medievale. È poco risaputo che Tolkien disapprovasse le versioni cinematografiche della Disney delle fiabe, perché riteneva che fossero state presentate e ridotte ad usum Delphini, ovvero in versioni infantili. Al contrario, egli riteneva che le fiabe fossero buone anche per gli adulti, poiché questo filologo le avvicinava al mito ed all'epos. Senza scomodare Vladimir Propp, l'impareggiabile storico delle religioni Eliade, Carlo Ginzburg e Giuseppe Sermonti, la complessità e profondità simboliche delle fiabe sono state esaminate da generazioni di studiosi, così come la loro origine antichissima e la loro dimensione transculturale. Infatti gli studiosi sopra citati, malgrado le enormi diversità metodologiche, hanno tutti ricondotte le fiabe a dimensioni archetipali.
Pretendere di giudicarle e peggio ancora stravolgerle in base a criteri di una ideologia, quella "woke", del XXI secolo è un anacronismo incredibilmente irrazionale ed in più impedisce totalmente di cogliere i contenuti autentici della fiaba tradizionale. È anche un atto di barbarie culturale, simile a chi spianasse templi greci e cattedrali romaniche per costruire con il suo materiale supermercati e discoteche.
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