Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

«Perché non rimani?» Film di storie a lieto fine

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Nel precedente articolo Horror e orrore, pubblicato su questa rivista il 17 gennaio u.s., avevo citato alcuni film, le cui scene , talune così tanto atroci, provocano angoscia profonda anche al solo ricordo. Come antidoto vorrei riproporne altri nei quali sono presenti atti di solidarietà, generosità e amore e un lieto fine.     

Di solito si dà importanza, soprattutto nella produzione letteraria, agli incipit, dal latino incipere, iniziare; per chi scrive l’incipit è ritenuto utile per stimolare il lettore a proseguire.

Dal punto di vista emotivo tuttavia è spesso l’ultima pagina di un romanzo o l’ultima scena di un film quella che lascia una traccia emotiva. Nel cinema è verificabile negli spettatori quando a luci accese in sala, scorrono sullo schermo i titoli di coda.

Il primo film appartiene al periodo magico del neorealismo italiano, Il cammino della speranza di Pietro Germi, del 1950; in quegli anni si era riacceso l’interesse sulla “questione meridionale”, la sproporzione tra la situazione del nord e del sud d’Italia.

 

Un gruppo di minatori siciliani disoccupati con le famiglie decide di andare in Francia in cerca di lavoro, allora erano gli italiani ad emigrare, in particolare dal sud.

Il cammino attraverso l’Italia incontra grandi difficoltà, compreso un duello ad esito mortale tra due componenti del gruppo. Nella scena finale hanno superato una tempesta di neve e sono su un altipiano, inondato dal sole, vicino al confine francese, quando arriva sugli sci una pattuglia di finanzieri francesi ed italiani.

Il gruppo rimane immobile, la macchina da presa inquadra ripetutamente ora il volto delle donne incorniciato dagli scialli, ora quello dei bambini, ora del capopattuglia francese, ora di nuovo un bambino; sono attimi di tensione che, sembrano non finire mai; poi il capopattuglia francese rompe il silenzio con un ordine breve: «Allez!», andiamo; gli emigranti sono liberi il cammino della speranza è terminato. Un atto di solidarietà oggi impossibile, ma in quel periodo la Francia aveva necessità di manodopera.

Luci della città di Charlie Chaplin, divenne noto nel dopoguerra anche per motivi politici: durante il Maccartismo Chaplin fu avversato negli Stati Uniti per le sue idee progressiste, nel 1952 gli venne annullato il permesso di rientrare in quel Paese e si stabilì definitivamente in Europa.

Nel film, girato nel 1931, Chaplin, regista e attore, è un vagabondo, salva dal suicidio un folle miliardario che lo abbraccia di notte quando è ubriaco e lo respinge di giorno quando è sobrio, con scene esilaranti.

La terza protagonista del film, è una giovane non vedente, modesta fioraia ambulante, alla quale Chaplin compra fiori con i soldi del miliardario; la ragazza gli stringe la mano convinta che sia lui la persona ricca.

Poi Chaplin entra in possesso, tramite il suo amico, di una notevole somma per farle recuperare la vista con l’intervento chirurgico. Nella scena finale la ragazza è sorridente sullo sfondo del suo bel chiosco di fiori; Charlot si avvicina più volte, la guarda con insistenza e le offre un fiore; lei gli chiede ripetutamente cosa vuole, ma non ottiene risposta; nel dargli una moneta gli prende la mano, l’accarezza e la riconosce.

Il film non aveva ancora il sonoro e nel sottotitolo compaiono le scritte: «Sei tu il benefattore?» «Potete vedere ora?» «Sì, ora posso vedere».

I due volti sono ripetutamente inquadrati. Si può anche non commuoversi, ma il riconoscimento attraverso la mano è un’invenzione poetica geniale, di grande valore simbolico.  

Un treno di notte per Lisbona, è un film del 2013, tratto dal romanzo Treno di Notte per Lisbona di Pascal Mercier del 2008.

Il libro non è di facile lettura, ma il regista, Bille August, ne elude le complessità e rende efficacemente le vicende del protagonista Raimund Gregorius, interpretato da Jeremy Irons. È un insegnante di lettere a Berna, in Svizzera, la moglie lo ha lasciato perché lo riteneva “noioso”, conduce una vita monotona, dedita solo all’insegnamento.

Una mattina, mentre si reca a scuola, riesce a fermare una ragazza che sta per gettarsi da un ponte nel fiume. La ragazza poi fugge, ma abbandona il soprabito con un libro scritto in portoghese, Um ourives das palavras (L'orafo delle parole) di Amadeu Inácio De Almeida Prado, stampato a Lisbona nel 1975. Gregorius scopre che il libro era stato comprato dalla ragazza il giorno precedente e all’interno trova un biglietto ferroviario per quella città.

Spinto dal bisogno di cambiamento e da un'improvvisa sete di avventura, decide immediatamente di partire. Durante il viaggio notturno legge il libro, ne rimane affascinato e decide di proseguire le ricerche. A Lisbona trova l’indirizzo dell’autore, al portone dell’abitazione, c’è una targa: “Medico. Dr.Amadeu de Almeida Prado - Medicina general”.

Lo accoglie la sorella che aveva col fratello un legame profondo, le aveva anche salvato la vita con una tracheotomia d’urgenza; racconta che Amadeu è deceduto, ma era stato un grande medico, scrittore e membro della Resistenza al regime di Salazar, il cosiddetto fascismo portoghese, dal 1932 al 1974. 

Allora Gregorius si mette in cerca delle persone, ancora in vita, che potrebbero averlo conosciuto e attraverso gli incontri con protagonisti della Resistenza ripercorre la storia del Portogallo durante gli anni della dittatura con le sue feroci violenze e le contraddizioni degli affetti. È sempre accompagnato da Mariana, nipote di uno dei protagonisti della resistenza; durante i colloqui si rende conto che Gregorius è tutt’altro che noioso.

Il fascino unico di Lisbona è sempre sullo sfondo. Ritrova anche la ragazza salvata a Berna: leggendo il libro di Amadeu aveva scoperto che il nonno che amava era il capo della polizia politica di Salazar, il cosiddetto “boia di Lisbona”; col suo gesto voleva annullare il terribile passato.  

Quando finita la ricerca Gregorius decide di tornare a Berna, Mariana lo accompagna alla stazione, sono di fronte sulla pensilina, il treno è in partenza; lui dice «abbiamo solo cinque minuti»; lei lo guarda dolcemente e gli chiede: «perchè non rimani?» É una dichiarazione d’amore e Gregorius posa a terra la valigia. La scena è sicuramente romantica, la decisione di rimanere presa dal protagonista del tutto condivisibile.

 

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