In memoria di Nicholas Rescher

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Si è spento all’età di 95 anni Nicholas Rescher, uno dei più celebri filosofi americani contemporanei.

Era nato in Germania nel 1928 ed emigrò giovanissimo negli Stati Uniti seguendo i genitori, entrambi anti-nazisti. Lureatosi a Princeton, fu chiamato in seguito a insegnare Filosofia all’Università di Pittsburgh in Pennsylvania, dove si svolse gran parte della sua carriera accademica.

Chi scrive, essendo stato suo studente proprio a Pittsburgh, conserva di lui un vivo ricordo personale, rafforzato poi da numerose visite nella sua università in qualità di “Visiting Professor”. Rescher è stato un autore estremamente prolifico, avendo scritto più di 100 volumi e oltre 400 articoli e saggi. Questa grande prolificità gli attirò anche delle critiche in un ambiente, come quello analitico, dove ci si vanta di scrivere poco.

Il neopragmatismo popolare oggi negli Stati Uniti ha connotazioni prevalentemente rortyane, mentre la riscoperta da parte di Putnam del pensiero di William James è piuttosto recente. La posizione pragmatista di Nicholas Rescher è invece meno conosciuta, pur precedendo cronologicamente quella di Rorty di parecchi anni.

La ragione principale risiede nel fatto che il pensiero di Rescher è percepito dai più come una forma di idealismo, con tutte le conseguenze che ciò può avere in un contesto filosofico dominato dalla tradizione analitica.

 

Vale comunque la pena di rilevare che i legami tra idealismo e filosofia analitica sono più stretti di quanto comunemente si creda, visto che si parla spesso di “idealismo linguistico” proprio in riferimento alla corrente analitica anglo-americana del secolo scorso. Si tende quindi a giudicare l’idealismo concettuale rescheriano più importante del suo pragmatismo metodologico, mentre è dimostrabile che essi non si possono separare mediante una linea di confine netta.

La filosofia di Rescher è in primo luogo un sistema a carattere olistico: non si può accettarne una parte rifiutando al contempo le altre.

Rescher pone la distinzione tra un più flessibile “pragmatismo soggettivo” e un “pragmatismo oggettivo” più conservatore. Egli nota, innanzitutto, che il numero dei pragmatisti è almeno pari a quello dei pragmatismi. Solitamente, tuttavia, coloro che si interessano al pragmatismo dal punto di vista storico tendono a dimenticare che, sin dalle sue origini, una sostanziale divaricazione è presente in questa corrente di pensiero.

Si tratta per l’appunto di un pragmatismo di tipo soggettivo che perviene a conclusioni relativistiche, e di un pragmatismo oggettivo che concepisce le proprie tesi come mezzi per raggiungere posizioni accettabilmente sicure sul piano cognitivo.

In entrambi i casi si cerca di garantire il pluralismo, tanto a livello speculativo quanto nella condotta concreta degli affari umani. Tuttavia il significato attribuito al termine “pluralismo” è piuttosto diverso. Rescher vede in Peirce, C.I. Lewis e se stesso i tipici esponenti del pragmatismo oggettivo, mentre James, F.S.C. Schiller e Rorty sono a suo avviso i rappresentanti principali del pragmatismo soggettivo. A Dewey viene infine attribuita una posizione intermedia.

La posizione dei cosiddetti pragmatisti soggettivi è nota, grazie soprattutto alla diffusione che le tesi di Rorty hanno conosciuto negli ultimi anni.

Che cosa significa, tuttavia, l’espressione “pragmatismo oggettivo”? Per rispondere a tale domanda seguo, per così dire, la via negativa, cercando di scoprire che cosa risulta poco o punto accettabile nel pragmatismo soggettivo. Una volta compiuto questo passo saremo in grado, usando il metodo di sottrazione, di determinare quali sono le vedute del pragmatismo oggettivo su alcune questioni filosofiche fondamentali.

Le differenze sono più importanti delle analogie e riguardano, in primo luogo, i concetti di verità e  di oggettività. La diversità culturale è qualcosa che un pragmatista postmoderno come Rorty accetta di buon grado giacché essa gli consente di conseguire risultati che sono, ad un tempo, soggettivistici e relativistici.

D’altro canto anche un pragmatista rescheriano concepisce l’efficacia pratica come metro di giudizio delle proprie indagini. Tuttavia egli considera tale efficacia come il migliore strumento che abbiamo a disposizione per raggiungere l’oggettivazione (“objectification”). Che cosa significa questo termine?

Immaginiamo dapprima una realtà naturale da cui ha preso forma lentamente, e seguendo un percorso evolutivo, un mondo socio-linguistico, ed immaginiamo inoltre che questo mondo linguistico e sociale abbia acquistato una crescente indipendenza. Possiamo in seguito ipotizzare che la sua “autonomia” ontologica sia diventata con il trascorrere del tempo così evidente da spingere alcuni filosofi a revocare in dubbio l’esistenza stessa della realtà naturale.

Ma il mondo linguistico-sociale da noi stessi creato richiede che gli uomini vivano avendo costantemente degli “scopi”, e il pragmatismo oggettivo è proprio interessato al conseguimento concreto ed efficace di tali scopi (ciò che “funziona”).

Gli scopi di cui si parla in questo contesto non sono nostri o di chiunque altro: in altri termini, essi non sono affatto correlati alle preferenze degli individui. Possono invece essere considerati alla stregua di fattori collettivi - e specificamente umani - le cui radici razionali vanno ricondotte in ultima istanza alla natura umana in quanto tale. Ciò significa che tutti gli uomini condividono un ambiente naturale cui essi conferiscono un ordine utilizzando le loro capacità razionali e intellettuali.

Ovviamente il mondo sociale dotato di ampia autonomia che ho in precedenza assume “forme” differenti a seconda delle diverse tradizioni culturali; tuttavia, siamo in qualche modo costretti a basarci su un “principio di corrispondenza” molto generale, secondo cui gli scopi umani sono in sintonia con inputs ambientali che hanno reso possibile l’evoluzione dapprima biologica, e poi socio-culturale dell’homo sapiens.

Pertanto il pragmatismo di Rescher conduce all’oggettività, nel senso che i limiti oggettivi, e non le preferenze personali, costituiscono la premessa fondamentale dei nostri scopi cognitivi.

Ciò che intendiamo conseguire nel dar vita al processo della conoscenza empirica è il controllo dell’ambiente naturale di cui noi stessi siamo parte essenziale. Tale controllo, a sua volta, può essere sia attivo (basato sull’interazione) che passivo (basato sulla predizione).

Pur proclamandosi idealista a livello concettuale, Rescher riconosce senza difficoltà la presenza di un “principio di realtà” che ci viene praticamente imposto in ragione della nostra appartenenza al mondo naturale, nonostante il fatto che giochiamo, in questo stesso mondo, un ruolo del tutto speciale (e assai diverso da quello delle pietre, delle stelle o degli animali).

Oltre ad essere un filosofo di grande spessore, Rescher era anche un ottimo insegnante. Rammento ancora la chiarezza estrema delle sue lezioni e dei suoi interventi durante i convegni. Soltanto pochi giorni fa ci eravamo scambiati, come sempre, gli auguri di Buon Natale e Buon Anno, e la sua mancanza si farà certo sentire.

 

 

 

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