Gli uomini del Duce: i quadrumviri
Nelle fotografie che ricordano la marcia su Roma nel 1922 Benito Mussolini era circondato da quattro personaggi in camicia nera, i quadrumviri, gli uomini da lui scelti per organizzare e attuare il colpo di Stato: Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi, Italo Balbo ed Emilio De Bono. Le motivazioni iniziali dell’adesione al fascismo degli uomini del duce furono diverse come lo erano le personalità, comune il loro ricorso successivo ai metodi di sopraffazione e di violenza che caratterizzarono la dittatura del ventennio. Michele Bianchi nacque a Belmonte Calabro il 22 luglio 1883; iniziò come giornalista nell’Avanti, aderì al partito socialista nel 1903. Svolse successivamente un’intensa attività sindacale, venne più volte arrestato e incarcerato; partecipò nel 1915 alla prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto divenne redattore capo del Il Popolo d’Italia, portò a fallimento lo sciopero generale indetto dai socialisti, aderì al fascismo. Nel 1921 venne eletto primo segretario del Partito Nazionale Fascista e nell'ottobre del 1922 fu uno dei quadrumviri nella marcia su Roma. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, nel 1925 fu nominato ministro dei lavori pubblici e promosse la realizzazione di alcune opere pubbliche in Calabria. Morì a Roma il 30 febbraio 1930 a 47 anni per malattia tubercolare. Cesare Maria De Vecchi nacque a Torino il 14 novembre 1884 da famiglia benestante, si laureò in Giurisprudenza, Lettere e Filosofia. Pubblicista e avvocato di successo, partecipò alla vita culturale della città; interventista, prese parte a tutta la prima guerra mondiale. Al ritorno dal fronte, nel 1919 aderì al Fascio di combattimento di Torino. Nel 1921 e nel 1922 al comando delle squadre d'azione, guidò numerose spedizioni punitive nelle varie province piemontesi, rimanendo anche ferito in uno scontro a fuoco. La violenza fascista si manifestò in omicidi, ferimenti, distruzioni e saccheggi di sedi di istituzioni popolari, assalti ad amministrazioni comunali. Nominato quadrunviro da Mussolini partecipò alla marcia su Roma nel 1922. Ricordo di Lorenzo Infantino
Lo scorso 18 gennaio 2025 è improvvisamente mancato Lorenzo Infantino, noto studioso di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università Luiss di Roma. Considerato uno dei maggiori interpreti del pensiero liberale classico, era nato a Gioia Tauro nel 1948. Si tratta quindi di una scomparsa prematura, che lascia un vuoto nel panorama accademico e culturale italiano e internazionale. Laureatosi nel 1972 in Economia all’Università di Siena, Infantino conseguì nel 1975 il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Sociologia allora diretta, presso la Luiss, da Franco Crespi. Nel 1983 iniziò a insegnare nella Facoltà di Scienze Politiche della stessa Luiss. Parimenti interessato all’economia e alla filosofia politica, ha collaborato con Dario Antiseri alla fondazione presso la Luiss del celebre Centro di Metodologia delle Scienze Sociali, disciplina di cui in seguito ottenne la titolarità. Molto attivo anche all’estero, insegnò alle Università di Oxford (Linacre College) e alla Sorbona di Parigi. Mentre Dario Antiseri portava in Italia il Pensiero di Karl Popper, Infantino si dedicò in particolare alla diffusione delle tesi della scuola economica austriaca, nella fattispecie di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek. Johann Georg Ritter von Zimmermann ovvero pensieri dalla solitudine
Nella notte fra il 30 novembre e il 1° dicembre 1827 si spegneva in Lodi, all’età di appena 29 anni, colto dalla tisi polmonare, Carlo Villa, nato a Pavia nel 1798, professore di Umanità per sei anni nel Ginnasio Liceo Imperiale di Lodi e prima ancora per due anni in quello di Sondrio. Uomo di grande ingegno e cultura ma pure di somma modestia, è ricordato unicamente per aver tradotto l’opera sulla solitudine di Giangiorgio Zimmermann, edita a Milano nel 1834 come nono volume della collana “Biblioteca scelta di opere tedesche tradotte in lingua italiana”, dal titolo “Morali Influenze della solitudine sopra lo spirito ed il cuore”. La traduzione di Villa compare pure nei due volumi dell’edizione napoletana del 1827, anno della sua morte, pubblicati a spese del Nuovo Gabinetto Letterario. Una riedizione delle “Morali influenze della solitudine” tradotta da Villa (non anastatica) è stata curata di recente da Maurizio Pirro dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, con ampia postfazione del medesimo curatore.1 Leggi tutto: Johann Georg Ritter von Zimmermann ovvero pensieri dalla solitudine Realtà naturale e mondo umano
Non è possibile tracciare una linea di demarcazione netta tra la realtà e la conoscenza che ne abbiamo. Per quanto attraente tale prospettiva possa sembrare, essa si rivela assai difficile da perseguire per chiunque intenda esplicitare tale distinzione senza partire da dogmi precostituiti. Si può ad esempio ammettere che vi sia una distinzione tra il mondo naturale da un lato e quello linguistico e sociale dall’altro. Tuttavia, non è difficile comprendere che storicamente abbiamo cominciato a identificare noi stessi e gli oggetti che ci circondano solo quando il mondo linguistico e sociale è emerso da quello naturale, il che significa che gli stessi nostri criteri di identificazione sono, in sostanza, socio-linguistici. Si noti che una simile constatazione non implica affatto l’identità totale tra i due mondi. Più semplicemente, essa porta a concludere che nel parlare del mondo naturale in se stesso, accettandone l’esistenza indipendente dalla mente, dobbiamo essere prudenti. La ragione fondamentale di questo stato di cose è spiegata da un duplice fatto. Da un lato la concettualizzazione è la nostra via d’accesso al mondo, e dall’altro essa costituisce pure la caratteristica più importante della nostra evoluzione culturale (in quanto distinta da quella biologica). Storia del tricolore italiano
La storia del Tricolore italiano è convenzionalmente datata al 7 gennaio 1797, con la sua prima adozione come bandiera nazionale da parte di uno stato italiano. Il Tricolore italiano nella forma attuale deriva non direttamente dalla Repubblica Cispadana del 1797, ma dal Regno di Sardegna, che lo adottò come bandiera nel 1848. La bandiera della Repubblica Italiana è praticamente identica, soltanto con la rimozione dello stemma sabaudo. La vecchia bandiera della Cispadana era infatti in origine a bande orizzontali anziché verticali. In verità le origini remote del Tricolore sono di gran lunga anteriori al 1848 ed al 1797. Franco Cardine, illustre medievista, ha osservato che «i tre colori della nostra bandiera sono […] alla base della liturgia cattolica: e bianco, verde, rosso figurano fin dal medioevo come rispettivi simboli delle tre virtù cardinali: fede, speranza, carità», tanto che «questi erano i colori preferiti del secolo XV per le insegne e gli emblemi». Insomma, tale combinazione cromatica era impiegata già nel Tardo Medioevo, come minimo, per le insegne. Cardine lo riconosceva pur in un articolo giornalistico in cui neppure velatamente polemizzava contro il Tricolore quale simbolo repubblicano e ‘giacobino’.
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