Sellars e Feyerabend su scienza e senso comune
Sellars è un realista scientifico, e pensa che il dominio dei costituenti di base della realtà sia formato dagli elementi che la scienza troverà necessario postulare “a lungo termine”. Tuttavia, ritiene anche che esista una cornice concettuale - l’immagine “manifesta” o del senso comune - attraverso la quale l’uomo sperimenta se stesso e il mondo come un insieme coerente. A suo avviso tale cornice, che possiede un carattere preminentemente concettuale, deve innanzitutto essere compresa nei suoi stessi termini. Soltanto in seguito si può presumere che gli esseri umani saranno in grado di determinare il senso preciso in cui essa, o alcune sue parti, risulti “rimpiazzabile” dalla visione del mondo fornitaci dalla scienza (e, in particolare, dalla fisica). Paul Feyerabend non è d’accordo con una simile tesi che egli giudica inutilmente complicata, e sostiene invece che, posto che vi siano le basi per farlo, la cornice di riferimento concettuale (e osservativa) del senso comune dovrebbe essere sostituita immediatamente da una cornice teorica più adeguata. Come si spiega il contrasto? Proprio come Feyerabend, Sellars vede l’osservabilità come una proprietà fattuale di un insieme di predicati. Tuttavia, e in questo caso a differenza dell’epistemologo austriaco, egli nota pure che la funzione essenziale svolta dai concetti della cornice del senso comune (vale a dire, quelli corrispondenti agli oggetti fisici colorati, estesi nello spazio e durevoli nel tempo) nel controllare le analogie nei cui termini i predicati teorici vengono introdotti, dà a tali concetti una sorta di primato metodologico. Ed è proprio questo fatto a bloccare, agli occhi di Sellars, l’abbandono del senso comune a favore dei concetti della scienza, e ad impedire altresì l’accettazione di una “teoria puramente pragmatica dell’osservazione” come quella proposta da Feyerabend. Altrimenti detto, mentre Sellars è disposto ad ammettere senza esitazioni che lo schema (o cornice) concettuale del senso comune è radicalmente falso, nel senso che non esistono cose come gli oggetti e i processi fisici della cornice del senso comune, egli chiarisce anche che una sostituzione globale dell’immagine manifesta da parte di quella scientifica è irrealizzabile. La mostruosa anomalia di Tuskegee, Alabama
Originariamente, si chiamava “Studio Tuskegee sulla sifilide non trattata nel maschio negro” oggi denominato, per privare la ricerca di connotazioni razziste, “Studio sulla sifilide USPHS a Tuskegee”. Lo studio coinvolse 600 uomini neri, 399 affetti da sifilide e 201 che non avevano la malattia, come gruppo di controllo. Fu loro nascosto il vero obiettivo del trattamento e gli fu detto che sarebbero stati sottoposti a una cura per il cosiddetto “cattivo sangue”, un termine usato per descrivere vari disturbi, tra i quali, oltre alla sifilide, l’anemia e l’affaticamento. In cambio della partecipazione allo studio, i soggetti ricevettero esami medici gratuiti, ossia analisi del sangue, radiografie e prelievi spinali, pasti gratuiti ed un’assicurazione sulla sepoltura. Nessun consenso informato fu raccolto, perché semplicemente non fu sottoposto ai partecipanti al trattamento, del tutto all’oscuro, dunque, di ciò che stava per accadere loro. Nel 1943, quando era ancora in corso quella che possiamo tranquillamente definire una “sperimentazione umana” condotta all’insaputa dei soggetti coinvolti, la penicillina era ormai ampiamente disponibile come trattamento per la sifilide. Essa, tuttavia, non fu mai somministrata ai partecipanti allo studio non fu mai somministrata, poiché riconoscere l’esistenza di una cura avrebbe causato la chiusura del programma. Giovanni Bovio, intellettuale e politico
Fu figlio di un erede a Trani, Nicola, con la madre, Maria Pasquino, che erano onesti, ma poveri. Trascorse un’infanzia triste nella povera casa ed una vita anche di lavoro precario nell’adolescenza e nella giovinezza e conobbe sulla sua persona la pena operaia. I genitori, come racconta in un’autobiografia del 10 settembre 1902, scritta pochi mesi prima della morte, «non potevano comperarmi i libri e mandarmi a scuola. Cominciai io, tra i quindici e i sedici anni, a procurarmi dagli amici qualche libro, e tentai da me, in Trani, ad imparare greco, latino, italiano, francese; poi lessi matematici, storici, filosofici, giuristi e poeti, come mi venivano a mano. Imparai da solo un po’ di greco, tanto da intendere Omero, Platone e Aristotele. Maggiore dimestichezza ebbi coi latini e seppi quasi a memoria Tacito e Lucrezio. Con questa preparazione mi accostai a Dante, che amai sopra a tutti, reputando oscuri quei tempi che si allontanano da lui. Il Risorgimento italiano fissò la mia attenzione. Lessi ed intesi i filosofi di quel tempo, i quali mi parvero araldi di tutta la civiltà moderna. Ventenne, pubblicai un saggio di filosofia naturale. Verso i trent’anni uscii da Trani, e, senza danaro, me ne venni a Napoli, dove, per via di esami, sotto il Ministero Minghetti, acquistai il diritto di insegnare (filosofia del diritto) all’Università.» (anche senza avere la laurea in giurisprudenza che gli fu data poi ‘honoris causa’). Lo straordinario interesse storico della Fondazione ILMC
Trattasi di un vasto patrimonio di oltre 8.000 partiture di ogni genere musicale, 12.000 documenti concernenti la produzione musicale nei Campi e 3.000 pubblicazioni sull'argomento che a partire dal 31 marzo scorso, con apposito Decreto della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Puglia, è stato riconosciuto di “interesse storico particolarmente importante” e, pertanto, sottoposto a vincolo ai sensi del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. Come si legge nelle motivazioni del provvedimento, il riconoscimento si fonda sul fatto che l'Archivio e la Biblioteca assolvono l’obiettivo primario posto sin dalla loro costituzione «che non è solo quello di conservare ed archiviare» ma, attraverso lo studio dei materiali musicali, di mettere le partiture nelle condizioni di essere eseguite «con lo scopo di favorire la conoscenza, promozione, valorizzazione, diffusione della musica concentrazionaria.» Leggi tutto: Lo straordinario interesse storico della Fondazione ILMC Oltre Caravaggio
Il ’600 napoletano è una ‘invenzione’ recente. È stato riscoperto e definito meno di un secolo fa dallo storico d’arte Roberto Longhi (1890-1970). Secondo lo studioso, il naturalismo di Caravaggio sarebbe la spina dorsale dell’arte napoletana. Gli studi seicenteschi sul Sud derivano, quasi senza eccezione, dalle sue proposte formulate in una serie di saggi che sono stati pubblicati essenzialmente nel secondo decennio del secolo scorso. Dall’inaugurazione della Pinacoteca di Capodimonte nel 1957 fino ad ora, l’esposizione dei dipinti del ’600 napoletano è stata in gran parte il risultato di quest’analisi. La realtà è più complessa e i curatori della mostra, Stefano Causa e Patrizia Piscitello, sulla base degli studi degli ultimi decenni, propongono di riconsiderare lo schema di Longhi, ormai ampiamente storicizzato, e di ripensare l’intera articolazione di un secolo che non fu solo quello di Caravaggio, ma soprattutto quello di Jusepe de Ribera, uno spagnolo arrivato a Napoli nel 1616, sei anni dopo la morte di Caravaggio. La mostra “Oltre Caravaggio” porta Ribera, rappresentato nelle collezioni di Capodimonte da opere sacre, mitologiche e nature morte, al centro della scena artistica napoletana. Altri articoli... |
Pubblicazioni mensiliStatistiche
(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on lineAbbiamo 303 visitatori e nessun utente online |