Analogie tra Trump e Putin
Iniziamo da una constatazione di fondo. Tanto il tycoon newyorkese quanto lo zar moscovita concepiscono la politica estera come difesa stretta degli interessi del proprio Paese. E tale difesa si basa essenzialmente sulla capacità di usare la forza militare contro gli avversari. Putin è tornato a questa concezione tradizionale della politica estera russa dopo che i tentativi di riforma di Gorbaciov (verso il quale non ha mai nascosto di nutrire disistima, o addirittura disprezzo) avevano distrutto la vecchia Unione Sovietica. Per l’attuale capo del Cremlino si è trattato di una vera e propria tragedia, cui egli stesso si propose di rimediare dopo la parentesi infausta di Eltsin. Vladimir Putin ha una concezione quasi “sacrale” della Russia, che a suo parere include pienamente anche i “piccoli russi” (gli ucraini) e i “russi bianchi” (i bielorussi). Nessuna pressione lo convincerà mai che le cose stiano diversamente, e neppure comprende l’ostilità europea verso i suoi disegni. Donald Trump, dal canto suo, abbina alla forza militare un interesse ancora più importante, vale a dire la difesa degli interessi economici e commerciali Usa. Sono questi che lo guidano sempre, anche quando sembra che abbia altro in mente. Analogamente a Putin, che cerca di ricostruire la “Grande Russia”, il tycoon vede l’intero continente americano, inclusa ovviamente l’America Latina, quale pertinenza esclusiva degli Stati Uniti. Un bel ritorno, insomma, alla celebre dottrina elaborata da James Monroe nel 1823, che esaltava la supremazia degli Usa nell’intero continente americano. L’irredentismo italiano
Il termine, adesso in disuso, può dar luogo ad equivoci, confondendolo con altri fenomeni storici più attuali e noti come indipendentismo o separatismo. Anche se schematizzare la storia è improprio, si potrebbe definire l’irredentismo come un movimento ideale che mira a riunire gli individui alla patria comune, gli altri due indicano movimenti politico-economici miranti a creare nuove patrie. Fu un giornalista austriaco che nel 1877 usò per la prima volta il termine “irredentista” per definire dileggiandolo il deputato italiano Matteo Renato Imbriani che aveva salutato i compatrioti italiani, venuti dai territori ancora sotto il dominio austriaco, ad assistere ai funerali del padre a Napoli. Il termine è stato acquisito nella forma italiana anche da altre lingue. Da allora sono definite “terre irredente” luoghi abitati da minoranze che vogliono entrare a far parte dello Stato di cui si ritengono appartenere per ragioni storiche o etniche. Gli irredentisti sono coloro che si esaltano nella difesa dei valori nazionali di fronte a una dominazione o presenza straniera, fino alla ribellione. Fede e razionalità
La salvezza, piuttosto, si ottiene non con la teologia, bensì nell’incontro con Cristo. Nell’attesa della salvezza, il pensatore austriaco si propone di liberare il campo dagli impedimenti. Da un lato è nota la sua battaglia contro il cattivo uso del linguaggio che si manifesta in ogni ambito del sapere, incluso quello religioso. Dall’altro abbiamo il tentativo costante di trovare una parola che possa liberare gli esseri umani dalle evidenze false, che sorgono quando si restringe l’orizzonte del significato al mondo empirico basato sui fatti. La religione di Wittgenstein è misticismo, che rivendica una fede assoluta, senza potersi basare su alcuna prova empirica. L’unica prova in grado di giustificare la religione è quella basata sulla testimonianza e sulle azioni, come del resto si evince dai Vangeli. La Ruota degli esposti di Manduria: l’infanzia abbandonata nell’Ottocento
Per ragioni narrative e nel rispetto della sensibilità storica e della riservatezza personale connessa ai fatti descritti, premetto che useremo un nome di fantasia al posto di quello – anch’esso attribuito in modo convenzionale e non ereditario – assegnato alla neonata abbandonata che è stato realmente registrato nei documenti dell’epoca. Si tratta del documento con cui viene registrata ufficialmente la nascita di una neonata che noi chiameremo “Maria Assunta Luce” (nome che, come già ho anticipato, non corrisponde a nessuna persona reale), una bambina abbandonata che ricevette una prima accoglienza nella cosiddetta “casa della ruotiera o dei proietti”, luogo destinato ai nati da genitori ignoti, situato proprio in quella zona della città dove esiste il piccolo immobile che un tempo ha ospitato la ruota degli esposti o dei proietti. Quella stessa strada, come diremo in seguito, è stata oggi denominata via della Ruotiera, toponimo scelto recentemente per rendere omaggio a questa pagina dimenticata della storia sociale e civile di Manduria. * Come spesso accadeva in quel tempo, i neonati non riconosciuti venivano condotti anonimamente nelle “case dei proietti”, luoghi destinati alla prima accoglienza dei bambini abbandonati, e registrati con nomi e cognomi fittizi o simbolici. Leggi tutto: La Ruota degli esposti di Manduria: l’infanzia abbandonata nell’Ottocento La Reale Casa dell’Annunziata in Napoli, ovvero, il cimitero dell’umana pietà
Con questi versi biblici tratti dal libro dell’Ecclesiaste , scritto da Salomone, Re d’Israele (circa 1001 - 931 a.C.), Antonio Ranieri (Napoli 1806 – Portici 1888) introdusse la sua opera più conosciuta, Ginevra o l’orfana della Nunziata.2 Il libro, un’opera di denuncia della brutalità umana esercitata sull’infanzia abbandonata, con particolare riferimento al brefotrofio partenopeo della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli, vide la luce in quel porto franco dell’editoria di Capolago (Svizzera) nel 1839, presumibilmente, com’era costume in epoca borbonica, in una delle tante stamperie clandestine di Napoli. Antonio Ranieri, che vide e studiò l’ospizio dei trovatelli della Nunziata, descrivendone molti particolari, soffrì la persecuzione di due loschi figuri in autorità: Francesco Saverio Del Carretto, ministro di polizia e Niccolò Santangelo, ministro dell’Interno. Leggi tutto: La Reale Casa dell’Annunziata in Napoli, ovvero, il cimitero dell’umana pietà
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