Sul liberalismo anomalo di Norberto Bobbio

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In occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Norberto Bobbio, si assiste a un profluvio di articoli celebrativi pubblicati da grandi quotidiani come “Repubblica”, “Corriere della Sera” e “Stampa”. Era già accaduto in passato e, ora come allora, tali articoli sono caratterizzati da toni trionfalistici, che esaltano il pensatore torinese come campione indiscusso della democrazia e del liberalismo.

Vale tuttavia la pena di notare che, fatto salvo lo spessore dello studioso, noto anche all’estero per i suoi saggi di storia delle dottrine politiche e della filosofia politica, un’attenta lettura delle opere di Bobbio dovrebbe indurre a una maggiore prudenza, e spiego subito perché.

In realtà Norberto Bobbio ha sempre adottato sul delicato tema dei rapporti tra liberalismo, socialismo e comunismo, posizioni che a buon diritto si possono definire ambigue. Se qualcuno però si permette di notarlo, viene subito accusato di “lesa maestà”. Il filosofo torinese è infatti diventato un’icona della sinistra quando era ancora in vita, per poi assurgere al ruolo di figura indiscutibile negli anni successivi.

Una sorta di “santino” insomma, da celebrare a tutto tondo e in modo acritico, senza avanzare dubbi e senza porsi problemi di interpretazione. Fino a che punto è corretto questo tipo di approccio, promosso soprattutto dai suoi allievi diretti e da altri studiosi che seguivano le sue lezioni e chiosavano con estrema attenzione i suoi scritti?

 

Inizio allora dicendo che sulla genuinità dell’ispirazione liberale di Bobbio i dubbi sono più che legittimi. Valga per tutti la sostanziale ammirazione che egli nutriva per le cosiddette “democrazie popolari”, vale a dire per la ex Unione Sovietica e i suoi Paesi satelliti. E come si spiega tale ammirazione, ben strana per un liberale autentico?

Lo studioso torinese era convinto che il marxismo fosse l’espressione più alta del pensiero contemporaneo. A suo avviso esso riprende ed espande l’eredità dell’Illuminismo, portando a termine la liberazione dai pregiudizi religiosi e confidando senza remore nel progresso costante e illimitato delle scienze, tanto nell’ambito della natura quanto in quello della società e dell’economia.

Di qui l’affermazione che il rifiuto del marxismo implica ipso facto anche il rifiuto dell’intero pensiero moderno. Di qui, inoltre, l’ammirazione, nonostante tutto, per il temerario esperimento sociale condotto dal comunismo sovietico, che a suo parere ci avrebbe finalmente insegnato a vedere la storia “dalla parte degli oppressi”.

Non stupiscono quindi le sue lunghe e cordiali discussioni con Palmiro Togliatti e con i suoi successori alla guida del PCI. Bobbio, che pur sapeva del gulag e dell’oppressione dei cittadini nell’URSS, era comunque convinto che quell’esperimento fosse giustificato poiché rispondeva a elementari criteri di giustizia sociale.

Stiamo allora attenti a non celebrare in modo acritico la sua figura. Il “socialismo liberale” da lui caldeggiato è soltanto un ossimoro, e la storia si è poi incaricata di dimostrare che l’esperimento sovietico poggiava su basi fasulle. Ciò non significa, come ho già detto, disconoscere la su statura di studioso. Significa piuttosto riconoscere che anche gli studiosi devono misurarsi con la realtà concreta.

 

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