Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

I Borbone, stirpe dalla resilienza sovrumana

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I Borbone, una stirpe che è riuscita a rimanere sul trono di Spagna per più di tre secoli, salvo occasionali interruzioni, dopo le quali sono sempre riusciti a tornare. Una famiglia di trasformisti, in continua reinvenzione, dai mille espedienti e sotterfugi, abili corruttori, sempre attorniati da scaltri cortigiani pronti a tutto pur di ricavarne un profitto, se pur minimo.

La maggioranza di loro fu a volte incompetenti, negligenti, analfabeti, incapaci, altre volte corrotti, sessualmente insaziabili, retrogradi, traditori, codardi e ladri, talvolta squilibrati. Anche famosi personaggi della storia hanno voracemente “orbitato” intorno a loro, un esempio su tutti, l’ammiraglio Orazio Nelson.

Sostenuti in tutti i modi possibili anche dal basso, da un popolo ignorante e sottomesso sempre disposto a barattare dignità e libertà per miseri e effimeri vantaggi. A Madrid come nel sud Italia, oggi come nel 1799, nella coscienza dei popoli sembra che poco o nulla è cambiato, così come nei paesi ispanofoni, il sole dello “spirito” Borbonico davvero pare che non tramonti mai.

 

Questa breve rassegna biografica familiare va considerata una prudente ma necessaria introduzione, i fatti sono molto più ignominiosi, osceni quanto sorprendenti, ampiamente documentati da verbali, sentenze, corrispondenze, libri contabili, scampati dai roghi che i Borbone ciclicamente ordinavano per far sparire le tracce delle malefatte e dei loschi affari.

Alexandre Dumas giornalista, scrittore e romanziere, direttore dei musei di Napoli e del giornale l’Indipendente, ha ritrovato e restituito alla verità storica un’ampia documentazione sulla stirpe dei Borbone, opera meritoria che continua tutt’oggi grazie all’instancabile lavoro di ricerca della storica e scrittrice Antonella Orefice, fondatrice e direttrice del Nuovo Monitore Napoletano, con il quale nel 2011 ha raccolto l’eredità di Eleonora Pimentel Fonseca, giornalista e direttrice del Monitore Napoletano, repubblicana patriota e martire nel 1799.

Per decenni gli storici hanno ritenuto altamente improbabile che nella famiglia Borbone potesse nascere e prosperare qualcuno in grado di superare i suoi scellerati antenati, eppure è accaduto.

Nel casato spicca un vero campione, Juan Carlos I, soprannominato El Campechano, il semplice, il cordiale, il quale ha ottenuto grandi risultati con il minimo sforzo in termini di costi e investimenti.

Si è mostrato al mondo come Juan Carlos il re folk, un re illuminato che esprime l'anima popolare e che protesta contro le ingiustizie sociali, e così gli sarebbe piaciuto passare alla storia, ma la realtà moderna è molto più complicata, e non basta più dare alle fiamme un archivio ma bisognerebbe staccare la spina alla rete internet.

Le sue attività criminali hanno lasciato poco spazio alle leggende popolari, traditore e golpista negli anni ottanta, con riferimento alle sue attività eversive nei mesi precedenti al mancato golpe attuato dall’ingenuo Antonio Tejero Molina del 23 Febbraio 1981, golpe di matrice Borbonica di cui approfondirò in altra occasione. Per far fronte a tanta voracità criminale il sovrano, da cui ci si aspetterebbe un servizio pubblico, come da tradizione secolare invece si circondò da subito di una corte di ruffiani, faccendieri e truffatori tra cui spiccava l’ecuadoriano Manuel Prado y Colón de Carvajal, amministratore personale del re per più di vent'anni, finito dietro le sbarre per tre condanne.

Due anni di condanna per il caso Wardbase nel 2004, un anno per appropriazione indebita nel 2007 e tre mesi per il Grand Tibidade nel 2008. Vista la gravità dei reati che andavano dalla estorsione, al riciclaggio di denaro passando per la distrazione di fondi pubblici, non pochi hanno ritenuto che le condanne avrebbero dovuto essere più pesanti e che la grazia, concessa per motivi umanitari, fosse una farsa.

Il caso dell'amministratore dell’acclamato Re della transizione, dalla solida dittatura Franchista alla evanescente “democrazia” Borbonica, non è l'unico in famiglia: la figlia di Juan Carlos, l’infanta Cristina, è stata indagata insieme al marito, Inaki Urdangarin, per prevaricazione, malversazione, frode, traffico di influenze e per reati fiscali. Così come il padre, la infanta Cristina si è fatta scudo del suo fedele servo, il marito, il quale è stato condannato a sei anni e tre mesi, mentre lei ha sborsato “solo” 265mila euro a titolo di responsabilità civile.

Juan Carlos El Campechano, messo alle strette dalla famiglia e dai cortigiani imboccò l’ennesima via di fuga, abdicando a favore di Felipe, il quale diventato re entrò in scena chiedendo alla sorella Cristina di rinunciare al titolo ma, ricevendo un rifiuto, glielo tolse d’autorità per preservare il buon nome della famiglia agli occhi del popolo che applaudì al plateale gesto.

In realtà la sceneggiata dall’abdicazione e della revoca dei titoli è andata in onda in mondovisione per tutelare da ulteriori indagini giudiziarie la loro ingiustificabile fortuna accumulata, più di 1.800 milioni di euro, secondo stime prudenziali frutto di anni di investigazioni internazionali.

Parenti, affini amanti sono stati coinvolti a vario titolo in casi di corruzione, tutto passato sotto silenzio, perché la stragrande maggioranza dei grandi media spagnoli ha fatto poco per indagare sulla stirpe dei Borbone.

In ogni consiglio di amministrazione dei mezzi di comunicazione, delle grandi aziende e nella pubblica amministrazione, c’è un referente della casa reale, grazie al quale presumibilmente nulla sfugge alla Zarzuela. Negli ultimi anni al trono, la vita di Juan Carlos sembrava quella di un tipico capo mafia hollywoodiano, che trattava provvigioni da uno a due dollari al barile di petrolio acquistato in Medio Oriente, che “consigliava” la sua ex amante, Corinna Larsen, usando il capo dei servizi segreti Spagnoli, di tenere la bocca chiusa sui 76 milioni di dollari ricevuti come liquidazione per i bei momenti passati insieme, in giro per il mondo, tra una battuta di caccia all’elefante e una vendita di armi d’assalto, oppure quando nel 2007 a Santiago del Cile sottomise pubblicamente un altro criminale, anch’egli golpista ma non di sangue blu, durante il vertice Iberoamericano di Capi di Stato e di Governo, un certo Hugo Chavez, il quale per salvare la faccia dichiarerà di non aver sentito “l’ordine” ricevuto, altrimenti avrebbe chiamato la cavalleria.

Ricordo bene gli sviluppi successivi di quell’episodio perché ero a Madrid, il “porque non te callas” diventò virale e fece salire alle stelle la popolarità de El Campechano, e nell’immediatezza nessun analista o giornalista d’inchiesta andò alla radice dello scontro con il leader della rivoluzione bolivariana, invece il popolo Spagnolo fu spinto dai media, ancora una volta, ad ammirare il re per il nobile intervento a difesa dell’orgoglio nazionale e della democrazia, sebbene la posta in gioco fosse ben altra, affari di famiglia insomma.

Affari che avrebbero risvegliato l’indignazione di qualsiasi paese, ma in Spagna tutto è avvenuto come se nulla fosse. Le inchieste internazionali su transazioni illegali e altri reati finanziari sono bazzecole, Juan Carlos ha accumulato la sua grande fortuna con il traffico di armi,  reato che gli fa compiere un grande salto di categoria nella gerarchia criminale.

Tra passare alla storia come un “mariuolo” qualunque, titolo consolidato già da anni da Juan Carlos, o essere ricordato come un signore della Guerra c’è una gran bella differenza, soprattutto per il suo infinito ego da re Borbone. Durante la sua reggenza ha commesso un’innumerevole quantità di crimini speculativi finanziati con i profitti del traffico di armi, prendendo posto tra i più grandi trafficanti di armi della storia dell’umanità.

L’attività criminale di Juan Carlos era già stata individuata dagli osservatori internazionali nel 2012 in occasione dello scandalo DEFEX, una società pubblica che si è ritrovata in competizione con il capo di stato del suo stesso paese e la sua amante, Corinna Larsen.

La coppia fedifraga, scavalcando i dirigenti pubblici a trattative già avviate, andarono mano nella mano a mediare direttamente con l'Arabia Saudita per la vendita di circa 250 carri armati Leopard. I media filo-borbonici fecero ingoiare l’episodio agli spagnoli come un'opera filantropica del re Borbone, benemerito mediatore circostanziale al servizio degli interessi del paese.

 E proprio nel 2012 la Repubblica Bolivariana del Venezuela di Hugo Chavez, quello che tacendo fece finta di non aver sentito, è stata la principale destinazione latinoamericana, la seconda a livello mondiale, delle esportazioni di armi spagnole, pagate dallo stato Venezuelano 236 milioni di dollari cash (fonte rapporto pubblico del ministero di Economia e Commercio di Madrid).

L’intellighenzia spagnola esperta nella negazione, e refrattaria alla spudoratezza Borbonica, ha sempre taciuto di fronte a fatti estremamente gravi, pochissimi media indipendenti hanno rilanciato la notizia.

Ed è singolare, se non sospetto, notare che nessun esponente di spicco delle comunità autonome, soprattutto quella Basca e  quella Catalana, che da tanti anni lottano, in passato persino armi in pugno, per l’indipendenza da Madrid, abbia gridato allo scandalo.

In questo modo, con il silenzio mediatico e politico generale, tipico dell’era Franchista, la maggior parte degli spagnoli non ha avuto consapevolezza di questo ennesimo episodio criminale. Silenzio che costituisce il paradigma perfetto della moderna censura: l'informazione esiste, ma non si deve diffondere. Informazione che per sua stessa natura non solo avrebbe dovuto far cadere subito e una volta per tutte Juan Carlos I, che non è mai stato processato grazie a una inviolabilità giuridica discutibile e medievale, ma che avrebbe dovuto provocare un terremoto politico e sociale di dimensioni tali che la continuità al potere dei Borboni sarebbe dovuta cessare, questa volta, definitivamente.

In uno Stato di diritto un capo di stato trafficante d'armi dovrebbe andare a processo e non perpetuare l’attività attraverso la famiglia nonostante gli embarghi.

Al popolo di questo Stato invece dovrebbe essere garantito il diritto di essere informato puntualmente, ma nel regime attuale solo dalla rete di informazione indipendente il popolo è al corrente delle continue incursioni di Juan Carlos nelle manovre della Zarzuela che gravano sulla Moncloa di Sanchez oggi, così come gravarono sulla Moncloa di Suarez prima del golpe farsa.

 

Luigi Speciale

 

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