Crisi: Chi? Dove? Quando?
Dopo la caduta del muro di Berlino, 9 novembre 1989, si capì che un'esperienza, quella scaturita dall'Ottobre sovietico del 1917, si era conclusa. In verità anche abbastanza ingloriosamente. Allora vi fu anche chi si improvvisò Sibilla buttando il cuore oltre l'ostacolo delle previsioni più azzardate. Come, ad esempio, l'esponente socialista Claudio Martelli, il quale preconizzò che, unito l'Est con l'Ovest, scomparse le classi sociali e ogni altra categoria filosofica di marxiana memoria, si sarebbe aperta per tutti, da quel momento in avanti, un'era fulgida di benessere, pace, prosperità e gioia, nella quale, in soldoni, il lupo e l'agnello si sarebbero abbeverati allo stesso rivo senza che l'uno sbranasse l'altro e nelle vigne le viti si sarebbero legate con filze di salsicce. Ne ho citato uno, ma non fu il solo. Non ci volle molto, purtroppo, per constatare l'inconsistenza delle profezie martelliane. Sarebbe bastato per smontarle un poco di sano buon senso e di conoscenza della storia. Ma già era cominciato il periodo dell'apparire prevalente sull' essere, per cui strafare o strabordare era, più che abitudine, dovere. La crisi che oggi ci tormenta, infatti, allora era già cominciata da un pezzo, anche se la presenza degli stati nazionali riusciva a celarla abbastanza bene. Infatti, il grande, immenso debito che gli Stati Uniti hanno oggi - 14 mila mld di dollari - aveva incominciato ad accumularsi senza rimedio proprio in quegli anni, ma l'economia nel suo complesso era ancora in relativa espansione.
La svolta in negativo era cominciata per gli USA con la guerra nel Vietnam, che aveva visto il paese importare quantità enormi di merci dall'Europa, avendo concentrato gran parte delle sue capacità manifatturiere nello sforzo bellico. Tanto è vero che nell'agosto del 1971, non potendo più sostenere il cosiddetto "Gold Standard" (un'oncia d'oro per 35 dollari) aveva praticamente abrogato gli accordi internazionali di Bretton Woods (1944) nei quali erano stati sanciti quei riferimenti. In sostanza neppure tutto l'oro di Fort Knox poteva coprire l'immensa massa di dollari-carta circolanti all'interno e all'estero. Era una tacita ammissione di fallimento e tutto cominciò da lì. Venne poi Carter nel 1976, il quale pensò di poter ripianare il debito con l'estero nella maniera più ovvia possibile. Effettivamente, quando lui entrò alla Casa Bianca, la situazione si era aggravata ulteriormente, perché nel 1974 era scoppiata la guerra del Kippur tra Arabi e Israeliani, che si fermò ad un passo dallo scoppio della III Guerra Mondiale. Gli stati arabi produttori di petrolio a quel punto avevano limitato le esportazioni del combustibile verso quelle nazioni che sostenevano Israele. Gli USA continuarono a pagare le transazioni in dollari, pretendendo poi che questi fossero reinvestiti in certificati di credito verso lo stato americano. Fu da allora che gli Stati Uniti cominciarono a diventare debitori anche degli Stati Arabi. Stando così le cose, Carter cercò semplicemente di cambiare i consumi degli americani nvitandoli alla parsimonia, con l'obiettivo di convincerli a far uso di nuove fonti di energia. In sostanza consigliava a tutti di smetterla di pensare all'american dream e di tornare con i piedi per terra. Con quei risparmi si sarebbe potuta incrementare la ricerca scientifica al fine di poter trovare nuove fonti energetiche, tanto da potere un giorno raggiungere un'indipendenza dal petrolio, se non proprio piena, almeno sufficiente. Ma a causa di ciò, in breve, divenne estremamente impopolare, forse il più impopolare di tutti i presidenti degli States dal 1776. La CIA, inoltre, in questa circostanza, ci mise abbondantemente del suo per coprirlo di ridicolo e far vincere Reagan. Molto spesso, in politica, aver ragione non basta. Dal canto suo colui che gli succedette fu semplicemente una marionetta nelle mani degli gnomi di Chicago, che nel frattempo avevano cominciato a sperimentare le loro teorie nel corpo vivo dei lavoratori britannici. Semplicemente si trattava di un uomo immagine, un attore che recitava la sua parte per tenere buona la massa degli elettori con l'uso accorto di TV e altri massmedia, proprio come faceva qui da noi un certo nanerottolo con le scarpe rialzate all'interno fino a poche settimane fa. Il neo liberismo cominciò lì, ma l'applicazione scrupolosa dei suoi princìpi - taglio delle tasse ai ricchi e alle imprese, licenziamenti, privatizzazioni, abbattimento di ogni forma di welfare, ecc. - non produsse gli effetti sperati. Si ebbe progressivamente un aumento del debito, che in un periodo successivo, quello di Bush II, assunse una consistenza immane, essendosi sommate le situazioni debitorie dello stato con quelle private di milioni e milioni di famiglie. In questo tempo gli USA avviarono due guerre, che ancora di fatto sono in corso, accompagnate per tutti i due mandati presidenziali da un'applicazione puntigliosa e maniacale delle regole d'ingaggio del neoliberismo più fondamentalista. Ciò nonostante, a riprova dell'estrema fallibilità delle teorie liberiste, la situazione debitoria andò sempre peggiorando. Gli unici ad arricchirsi furono quelli che erano già molto ricchi in partenza, come il vice presidente Dick Cheney con la sua società di appalti, la Halliburton, che fece miliardi di dollari di profitti sia in Afghanistan sia in Iraq, e la segretaria di Stato Condoleeza Rice, consulente della società petrolifera texana Caltex, che le tributò l'onore, a causa dei favori da lei elargiti, di battezzare una grande petroliera col suo nome. Di fatto anche questa presidenza finì con un fallimento annunciato, come tante volte si vide qui da noi, nel nostro piccolo: il padrone che fallisce coi soldi da una parte; dall'altra gli operai disoccupati, in strada, senza alcuna prospettiva di reintegro in qualsiasi altra azienda, con lo spettro della povertà incombente. Le banche di tutto il mondo finirono allora con le casse vuote, ubriacate dal loro stesso metodo di moltiplicazione del denaro, con il quale avevano illuso tanta gente di essere diventata se non ricca almeno benestante: debiti usati come crediti, prodotti bancari tossici, carte di credito prosciugate..... Oggi, a causa dell'effetto domino delle banche, quei 14 mila mld di dollari si vorrebbe farli tornare, al più presto possibile, nelle casse di quelle stesse banche che, vent'anni prima, avevano sconsideratamente iniziato a far soldi con lo schema Ponzi (=pagare un debito con un altro debito. Marchingegno finanziario ideato dal finanziere italiano Alessandro Ponzi nel 1933. Se famo riconosce sempre per quelli che semo!), dando l'avvio alla tempesta monetaria che oggi ci flagella, come fa quella dantesca del Canto V dell'Inferno con i Lussuriosi. In Italia nel decennio 80-90 il debito passò dal 50% del PIL al 100%. Si formarono nuove e grandi fortune perché in finanza il debito di qualcuno (lo Stato) è allo stesso tempo il credito di qualcun altro (protagonisti della speculazione). Si giocò in borsa come mai era accaduto prima. Si crearono nuove fortune (indovinate?), si accesero egoismi e livori da nuovi ricchi. Si sfarinarono così i grandi partiti di massa per non avere più un progetto politico all'altezza dei tempi. Più precisamente: la DC perché la mafia al sud e la Lega al nord avevano fatto presa nel suo corpo elettorale, sostituendola in ogni cosa con i loro opposti corporativismi; il PCI perché non aveva capito proprio nulla dei cambiamenti in corso. L'Italia assunse perciò i caratteri ibridi e negativi della maggior parte dei suoi cittadini nuovi ricchi: gente incolta con tanti quattrini, perciò incapace e inadatta a gestirli, esibizionista, pacchiana, improvvida ed edonista, inconsapevole di qualsiasi storia, memoria, cultura pregressa, identità nazionale e locale. Individui uniti solo dal possesso dei beni materiali, calati in un eterno presente, attratti e uniti unicamente dalle mode passeggere. Non a caso una delle voci principali del nostro PIL fu a partire dagli anni 80 la moda: scarpe, accessori, capi di vestiario, confezionati in paesi poverissimi, spesso sfruttando manodopera infantile, rivenduti in Italia a dieci quindici volte il loro valore reale: pura immagine senza sostanza. Questo mentre negli altri paesi capitalistici si faceva ricerca avanzata sulle tecnologie dell'elettronica, sulla robotizzazione del lavoro, sulla chimica, sulla biologia, ecc. Emblema di questo trapasso fu il film di Nanni Moretti "Palombella rossa", dove in una scena il protagonista schiaffeggia una giornalista che lo intervistava, usando un raccapricciante gergo italo-anglofono, urlando: "Io non parlo così, io non penso così!". L'Italia quindi colonizzata nell'economia e persino nella lingua, conquistata e invasa ancora una volta. Con tutti i suoi vizi storici ancora bene in essere. Anzi, in aumento per via dell'accresciuto tenore di vita: corruzione, servile conformismo, evasione fiscale, soldi all'estero, delocalizzazioni, distruzione del paesaggio, dei beni comuni storici e culturali, dell'ambiente naturale composto dai quattro elementi fondamentali della mitologia classica. La libertà intesa come assenza assoluta di ogni obbligo verso la collettività. Spostamento progressivo e sempre più massiccio della ricchezza verso le elìtes del potere. E parallelamente, proporzionalmente, diminuzione della democrazia reale. Questa è la condizione di oggi, dalla quale, molto probabilmente non riusciremo a risollevarci se non nel volgere di decenni. A meno di eventi traumatici e tragici, quali le rivoluzioni, che hanno la funzione catartica di uccidere il tiranno e di unificare le ragioni dei deboli. Ma noi siamo una nazione, un popolo, che non ha mai saputo giungere alla decapitazione del re fondendosi e aggregandosi in uno spirito di rinnovamento. Siamo quelli dei pugnali dietro i tendaggi e dei veleni nelle vivande, quelli che la calunnia è un venticello, mentre per i popolani è ancora quanto mai attuale la massima aurea di Franceschiello: feste, forca e farina. E allora sarà assai dura uscirne, malgrado i demiurghi di turno.
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