Il marxismo eterodosso di Gyorgy Lukacs
Ricorre quest’anno il centenario della pubblicazione di Storia e coscienza di classe, il libro più celebre (e più contestato) di Gyorgy Lukacs. Uscito per l’appunto nel 1923, tale volume rappresenta il tentativo di privilegiare il giovane Marx – quello dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 – rispetto al Marx maturo de Il Capitale. Oggi la questione può sembrare di scarsa importanza dopo l’eclissi del pensiero marxista. Basti pensare che ai giorni nostri i testi marxisti, inclusi quelli dello stesso Lukacs, sono difficilmente reperibili e si trovano ormai, per lo più, solo sulle bancarelle dei libri usati. Eppure Lukacs, che era nato nel 1885 a Budapest in Ungheria, allora parte dell’impero asburgico, ha avuto un ruolo di grande rilievo nella cultura, non solo filosofica, del secolo scorso. Scopo del pensatore ungherese era quello di liberare Marx dall’influenza del positivismo, e di negare l’interpretazione puramente economica e meccanicistica del pensiero marxiano. Detta interpretazione fu assunta come una sorta di dogma di fede in Unione Sovietica. Si trattava del celebre “DiaMat”, il materialismo dialettico che diventò nell’URSS la filosofia di Stato con Stalin, e poi riconfermata anche dai suoi successori. Sulla scia di Max Weber e di altri pensatori storicisti non marxisti, Lukacs invece riteneva che il rapporto tra struttura economica e sovrastruttura ideologico-culturale fosse molto più complesso di quello proposto dall’ortodossia marxista di stampo sovietico. La sovrastruttura ha un costante rapporto di feed-back con la struttura, e spesso è la prima a indirizzare la seconda.
Tesi del tutto eterodossa, che costò al filosofo ungherese la scomunica ufficiale del Partito comunista sovietico. Ma Lukacs era un “credente” del marxismo, disposto anche a rinnegare le sue idee pur di non violare l’ortodossia. Rinnegò quindi Storia e coscienza di classe scrivendo opere più gradite ai censori di Mosca. Per esempio La distruzione della ragione, altro classico del marxismo novecentesco. Resta comunque il fatto che, nell’intero corso della sua vita (morì, sempre a Budapest, nel 1971) il pensatore ungherese continuò a riflettere sulla distinzione tra il giovane Marx, da lui interpretato in chiave umanistica, dal Marx maturo, a suo avviso prigioniero di una visione economicista e meccanicista del mondo. Come già Max Weber, riteneva che l’ontologia del mondo naturale e quella del mondo umano, storico e sociale, non potessero assolutamente essere assimilate. Criticò sempre, inoltre, la pretesa (dovuta soprattutto a Engels), di trasferire le categorie della dialettica hegeliana nel mondo della natura, che a suo avviso non si prestava a una simile operazione. Per farla breve, come molti autori successivi hanno rimarcato, non si può applicare lo stesso metodo nell’analisi della realtà naturale e di quella umana. In questo senso, Lukacs è stato un ispiratore del marxismo umanistico dei pensatori della Scuola di Francoforte come Max Horkheimer e Theotor W. Adorno. Appare quindi meritevole l’operazione dell’editore Meltemi, che ha deciso di pubblicare una nuova edizione dell’ultima opera di Lukacs, i quattro volumi de L’ontologia dell’essere sociale a cura di Carlo Formenti. Erano ormai introvabili, e gli studiosi interessati alle vicende del pensiero marxista hanno quindi a disposizione un ottimo strumento per meglio valutare i contributi del pensatore ungherese ai vari rami del sapere filosofico. |
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