Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vittorio Emanuele III, una pecora tra i leoni

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Poco più che trentenne, Vittorio Emanuele III divenne re d’ Italia nel 1900 quando fu ucciso suo padre, Umberto I.

Nato a Napoli nel 1869, inizialmente si dimostrò attivo all'interno della politica italiana. Nonostante la triplice alleanza con l’Austria e la Germania preferì riavvicinare il regno d’Italia alla Francia e all'Impero russo. Così, quando nel 1914 le varie potenze europee si dichiararono guerra, fu dapprima un sostenitore della neutralità per poi divenire un moderato interventista.

Al termine del primo conflitto mondiale ottenne una vittoria sofferta che gli valse il nomignolo di re-soldato che mal si addiceva alla sua altezza di appena 1 metro e 53. 

«Effettivamente, come frutto, Vittorio Emanuele non era da vetrina» -racconta Indro Montanelli nella sua Storia d'Italia. «Era cresciuto, ma solo di testa e di tronco. Di arti era rimasto sottosviluppato, e sulle gambe rachitiche si reggeva a stento».

Nella difficile situazione del primo dopoguerra, dimostrando sfiducia nelle capacità di governo della classe dirigente liberale, non prese mai decisioni in difesa attiva delle istituzioni, un atteggiamento che si rese evidente il 28 ottobre del 1922, quando, in occasione della marcia su Roma delle camicie nere fasciste, rifiutò di proclamare lo stato d'assedio e affidò l'incarico di formare il nuovo governo a Benito Mussolini.

 

Durante il ventennio fascista Vittorio Emanuele III non separò mai le sorti e le responsabilità della dinastia da quelle del regime, non si oppose alla graduale soppressione delle libertà garantite dallo Statuto e accettò, di fatto, che si venisse a creare una “diarchia” tra il duce e la corona che lasciava a quest'ultima un primato solo nominale.

Il risultato fu un Paese lasciato alla deriva, in balia di leggi sempre più antidemocratiche, da quella sullo scioglimento di partiti e sindacati, a quella sulla soppressione delle libertà individuali e collettive, alle famigerate leggi razziali. Inoltre l’Italia fu trascinata in imprese militari sanguinose: dall’avventura coloniale in Etiopia, all'ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, seguito all’alleanza con la Germania di Adolf Hitler.

Il timore che il disastroso andamento del conflitto segnasse la fine non solo del regime, ma anche e soprattutto quella della dinastia dei Savoia, costrinse il re ad agire, arrestando Mussolini (25 luglio 1943) e nominando capo del nuovo governo il maresciallo Pietro Badoglio.

Ma le distanze furono prese troppo tardi: l'armistizio (8 settembre 1943) con gli anglo-americani, la resa incondizionata del nostro Paese, la fuga del monarca verso Brindisi sotto la tutela anglo-americana e l'abbandono della capitale nelle mani dei tedeschi, infangarono per sempre l’immagine del Savoia. La sua fuga ebbe effetti disastrosi, dando ai tedeschi il tempo di organizzarsi, prendere il controllo dell’Italia Centro-Settentrionale e liberare Mussolini, esponendo il Paese a ulteriori 20 mesi di guerra.

Di fronte alle pressioni delle forze antifasciste, che chiedevano l’abdicazione, Vittorio Emanuele III accettò una soluzione di compromesso, impegnandosi ad affidare la luogotenenza del regno al figlio Umberto II quando fosse stata liberata Roma, cosa che avvenne il 9 giugno del 1944.

Ma il re abdicò solo due anni dopo, il 9 maggio del 1946 a ridosso del referendum istituzionale del 2 giugno, illudendosi di favorire il successo monarchico. Il risultato del referendum istituzionale segnò la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana. Ritiratosi in esilio ad Alessandria d'Egitto, Vittorio Emanuele morì l'anno seguente.

Benché da parte filomonarchica gli pervenissero inviti a resistere in quanto si sospettavano brogli elettorali, il 13 giugno, accompagnato dai suoi più stretti collaboratori Umberto II partì in aeroplano da Ciampino.

Il “re di maggio” l’ultimo del Regno d’Italia non sapeva che non avrebbe rimesso più piede nel Paese. Pensava si trattasse di un allontanamento temporaneo, com’era stato per altri regnanti europei, che dopo un breve esilio avevano fatto poi ritorno nei rispettivi paesi. Non poteva immaginare che nel 1947 sarebbe stato pubblicato un articolo della Costituzione che recitava: «I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive. Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno sul territorio nazionale».

Il 18 marzo 1983, Umberto II di Savoia morì a Ginevra, lontano dall’Italia nonostante dal 1981 si fosse discusso dell’eventuale rientro, cosa che avvenne per i Savoia viventi solo diciannove anni dopo.

 

 

 

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