Il carattere ambiguo della liberaldemocrazia
Si è spesso detto che il termine “liberaldemocrazia” è un ossimoro, ed è vero. Ci siamo abituati a usarlo nei discorsi dotti e anche nella vita quotidiana, senza spesso capire che democrazia e liberalismo non solo sono diversi, ma possono pure risultare antitetici. Il fatto è che il dispotismo non è affatto come molti pensano il rovescio patologico della democrazia, quanto una componente che se ne sta annidata nel suo stesso principio, sempre pronta a entrare in campo quando il contesto della storia ne consente l’irruzione, in maniera più o meno drammatica. Il principio della libertà individuale teorizzato da Isaiah Berlin non è un antidoto sufficiente alla degenerazione della democrazia, poiché non esiste alcuna connessione “necessaria” tra libertà individuale e principio democratico. Il concetto di “democrazia” è intimamente connesso a quello di “uguaglianza” che, in termini democratici, è ben più rilevante della libertà dell’individuo. Per Tocqueville, invece, l’eguaglianza fa emergere la fragilità della natura umana, spinge al conformismo e porta al dispotismo e alla servitù. Insistere sull’uguaglianza significa mettere l’individuo a completa disposizione della comunità. Inoltre, come aveva notato con acutezza Augusto Del Noce, nella democrazia cade ogni archè trascendente e si manifesta la pretesa della vita di farsi immanente alla forma politica travolgendone ogni confine. Ciò richiama la necessità di un potere totale destinato a realizzare l’uguaglianza, collidendo con il principio della libertà individuale. Il singolo individuo non è più soggetto, bensì oggetto, uno strumento della volontà universale. La democrazia fa dunque entrare nella storia una potenza collettiva terrificante e che può assumere nomi diversi: il popolo, la nazione, la classe, la massa, e rappresenta così l’ingresso generale della vita, di un soggetto unitario e omogeneo, nella politica. Si trova pertanto in conflitto con il liberalismo e, stando alla vulgata corrente, con la libertà. Soltanto, però, se il termine “libertà” ha una connotazione univoca. Il comunismo è un sistema antiliberale e anti-individualistico, ma vuole realizzare nel modo più radicale la libertà dell’uomo affidata a un’idea di necessità storica, trasferendo la politica dall’individuo alla storia. A costo la di sfiorare la provocazione, si può aggiungere che anche il nazionalsocialismo, in un senso differente, voleva la piena libertà di una razza dominante, una volta liberato il mondo dalle anomie di una natura innaturale, da combattere e annientare. La “soluzione finale” si presentò proprio con tali caratteri. Ne consegue che organicismo e omogeneità sono caratteri originari e costitutivi della democrazia moderna, la quale è principio alternativo e inconciliabile rispetto a quello che aveva dato vita all’idea liberale. Fra Stuart Mill e Rousseau il divario è incolmabile, “e non per un punto di tangenza che però finisce con il disegnare ulteriormente il contrasto: ambedue mirano alla libertà dell’uomo, ma Mill la vede possibile solo in un sistema di vita dove la libertà di ciascuno è limite alla libertà dell’altro, Rousseau solo in un sistema dove la democrazia sia diventata principio vittorioso, e la libertà si costruisca in una comunità di destino e nel prevalere della volontà generale, dove quella individuale è organicamente incorporata e negata nella sua individualità. Tra queste due idee non esiste per il filosofo attento un ponte o un destino comune, anche se il termine “libertà” è fondamentale per entrambe. Non solo: l’una sembra poter vincere solo sulle rovine dell’altra. Si può quindi tentare il paragone tra Marx e Schmitt, per lungo tempo considerati pensatori antitetici. Per entrambi i diritti del singolo individuo sono una mera finzione qualora si prescinda dall’insieme organico di cui l’individuo stesso fa parte, e che fornisce un senso all’esistenza individuale.
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