Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il fascino eterno del Graal

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Il termine “Graal” designa in francese antico una coppa o un piatto, derivando dal latino medievale “gradalis”, con il significato di “piatto”, o dal greco “krator” ("vaso").

In ogni cultura il piatto, il vaso, sono latori di numerosi significati.

In un’Europa abbandonata dall’egemonia della cultura romana, appena toccata dal cristianesimo, queste differenti tradizioni si sono fuse trovando un vettore comune nella figura di Gesù Cristo: il Graal (poi Santo Graal) infatti diventa la coppa usata nell’Ultima Cena da Gesù, utilizzata successivamente da Giuseppe d’Arimatea per raccogliervi il sangue del Cristo.

Il mito del calice o piatto di Gesù Cristo affonda le sue radici in epoche remote antecedenti il medioevo. La fonte di questa credenza è Jacopo da Varagine il quale, nel 1260 circa, racconta nella Legenda Aurea, che durante la prima Crociata (del 1099), i Genovesi trovarono il calice usato nell'Ultima Cena.

Uno dei primi reperti a cui si attribuì la leggenda, poi detta del Graal, fu quello che ad oggi viene chiamato il Sacro Catino, ovvero il piatto o calice utilizzato da Gesù nell’Ultima Cena.

Si tratta di un vaso, intagliato in una pietra verde brillante, recuperato dal condottiero della Repubblica di Genova Guglielmo Embriaco “Testa di maglio” dalla Terrasanta, quando al fianco di Goffredo di Buglione contribuì in maniera decisiva alla caduta di Gerusalemme.

Guglielmo fece scrivere sopra la porta del Santo Sepolcro: Praepotens Genuensium Praesidium, a ricordo della incredibile impresa dei Genovesi e riportò nel 1101 il reperto, che è ancor oggi conservato al Museo del Tesoro della cattedrale di San Lorenzo a Genova.

Le origini del Graal letterario possono invece essere ricondotte ad antiche saghe celtiche intorno a un eroe viaggiatore che si ritrova in un “altro mondo”, su un piano magico parallelo al nostro. In questi racconti il Graal è semplicemente un piatto o coppa, come l’inesauribile cornucopia greco-romana, presentato per significare la natura mistica dell’altro mondo.

Lo sviluppo di ciò che attualmente si conosce come “ciclo del Graal” è stato tracciato in dettaglio dalla ricerca storiografica.

Il nucleo deriverebbe da una leggenda orale gotica, derivata da alcuni racconti folcloristici pre-cristiani e trascritta in forma di romanzo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo.

Gli antichi racconti sul Graal sono imperniati sulla figura di Percival (o Parsifal) e si sono poi intrecciati con il ciclo arturiano.

I romanzi del Graal furono originariamente scritti in francese e successivamente tradotti nelle altre lingue europee, senza l’aggiunta di nuovi elementi.

Fu solo dopo che il ciclo dei romanzi del Graal si fu costituito che il Graal venne identificato con la coppa dell’ultima cena di Gesù Cristo, collegando l'etimologia dei termini francesi san greal (“Santo Graal”) e sang real (“sangue reale”).

Il Graal appare per la prima volta sotto forma letteraria nel Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (XII secolo).

 

In questo racconto il Graal non viene mai definito “santo” e non ha niente a che vedere col Calice che avrebbe contenuto il sangue di Cristo.

Non si sa neppure di preciso che forma abbia perché Chrétien, descrivendo il banchetto nel castello del Re Pescatore, dice semplicemente che “un graal tra le due mani una damigella teneva”, e descrive le pietre preziose incastonate nell'oggetto d'oro.

Il Graal viene citato di nuovo in una delle scene finali, quella in cui un eremita rivela a Perceval che il Graal porta al padre del Re Pescatore un'ostia, nutrimento spirituale.

Una successiva interpretazione del Graal è quella che si trova nel Parzival di Wolfram von Eschenbach, secondo il quale il Graal sarebbe una pietra magica (lapis exillis) che produce ogni cosa che si possa desiderare sulla tavola in virtù della sua sola presenza.

Fu Robert de Boron, nel suo Joseph d'Arimathie composto tra il 1170 ed il 1212, ad aggiungere il dettaglio che il Graal sarebbe la coppa usata nell’Ultima Cena, nella quale Giuseppe di Arimatea avrebbe poi raccolto le gocce di sangue del Cristo sulla croce. Giuseppe avrebbe poi portato la coppa nelle Isole britanniche e lì fondato la prima chiesa cristiana.

La cristianizzazione della leggenda del Graal è proseguita dalla Cerca del Santo Graal, romanzo anonimo scritto verso il 1220, probabilmente da un monaco, che fa del Graal la Grazia divina.

Vari cavalieri intrapresero la ricerca del Graal in racconti annessi al ciclo arturiano. Alcuni di essi presentano cavalieri che ebbero successo, come Percival o Galahad; altri raccontano di cavalieri che fallirono nell’impresa per la loro impurità, come Lancillotto.

La leggenda del Graal è riportata anche in racconti popolari gallesi, dei quali il Mabinogion è il più vecchio dei manoscritti sopravvissuti (XIII secolo).

In seguito le leggende di re Artù e del Graal furono collegate nel XV secolo da Thomas Malory nel Le Morte d'Arthur (anche chiamato Le Morte Darthur) che diede al corpus della leggenda la sua forma classica.

Secondo il racconto dei Vangeli sinottici (Matteo 26,26-29; Marco 14,22-25; Luca 22,15-20), durante l’Ultima Cena Gesù prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi; poi prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza versato per tutti in remissione dei peccati.

Il giorno dopo, Venerdì di Passione, Gesù fu crocifisso. Quando venne deposto dalla croce uno dei suoi discepoli, Giuseppe d'Arimatea, lo avvolse in un lenzuolo e lo portò nella tomba di famiglia che si era da poco fatta costruire lì vicino.

Robert de Boron aggiunge a queste vicende un episodio che non compare né nei vangeli canonici né negli apocrifi: mentre il corpo di Gesù veniva lavato e preparato per essere sepolto, alcune gocce di sangue uscirono dalla ferita infertagli dal centurione; Giuseppe le raccolse nella stessa coppa che era servita per la consacrazione dell'Ultima Cena. Giuseppe lasciò poi la Palestina e si rifugiò in Britannia con il Santo Graal, raggiungendo la valle di Avalon (identificata già con Glastonbury) che sarebbe diventata il primo centro cristiano oltre la Manica.

Molte tradizioni esoteriche hanno inteso sotto il nome Graal il simbolo della Conoscenza, della Sapienza, Tradizione Arcaica o Primordiale. Il Graal rappresenterebbe dunque la “Parola Perduta” cioè quella conoscenza che doveva essere concessa all’"Uomo dell'Eden" e il cui simbolo era rappresentato dall'Albero della Vita.

In tale ottica le tradizioni esoteriche occidentali tracciano una breve storia del percorso che avrebbe subìto il Graal da dopo la caduta edenica del genere umano fino ad arrivare all’Ultima Cena.

Il Graal, caduto dalla fronte di Lucifero, perso da Adamo, recuperato da Seth e perso di nuovo, fu salvato durante il diluvio da Noè e successivamente fu utilizzato da Melchisedek per benedire Abramo e Sara.

In seguito fu nuovamente posseduto da Mosè e dai Patriarchi prima di scomparire nuovamente. Il Graal sarebbe stato poi recuperato da Veronica la quale lo consegnò a Gesù Cristo per celebrare l'Ultima Cena.

Secondo una recente e originale interpretazione, il santo Graal deriverebbe da “sang real”, ovvero il sangue della discendenza di Gesù, sposato con Maria Maddalena.

La Maddalena, assieme ad altre donne citate nei vangeli, dopo la crocifissione sarebbe fuggita dalla Palestina su una barca per approdare in Provenza assieme al figlio avuto da Gesù. Avrebbe poi risalito il Rodano raggiungendo la tribù dei Franchi, che non sarebbero stati altro che la tribù ebraica di Beniamino nella diaspora.

I Merovingi, i primi re dei Franchi, proprio a causa di questa origine avrebbero avuto l'appellativo di re taumaturghi, ovvero guaritori, per la loro facoltà di guarire gli infermi con il solo tocco delle mani, come il Gesù dei vangeli.

Questa tesi si trova esposta nel bestseller Il santo Graal di Baigent, Leigh e Lincoln, un libro del 1982 che ha dato lo spunto a moltissimi altri testi sulla “linea di sangue del Graal”, ma non è suffragata da alcuna fonte storica a parte l’ovvia citazione della famosa leggenda medievale dello sbarco della Maddalena in Francia, resa popolare da Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea.

Le uniche fonti citate dai tre autori per sostenere che i Merovingi discenderebbero da Gesù e dalla tribù ebraica di Beniamino sono infatti Les dossiers secrets del Priorato di Sion, una serie di documenti dattiloscritti depositati presso la Bibliothéque Nationale di Parigi negli anni Sessanta.

Questi testi contengono complicate linee di discendenza ed elenchi di presunti Gran Maestri del Priorato (descritti come i custodi del vero segreto del Graal), ma le ultime ricerche hanno confermato che sono stati inventati da Pierre Plantard per millantare una propria discendenza nobiliare dai Merovingi.

Una recente ipotesi (Sudbury - Il Graal è dentro di noi - 2006) vede nel Graal un simbolo denso che si presenta come oggettivazione medievale di concezioni morali di verità e giustizia, di probabile origine egizia.

Partendo dalla concezione del Graal come pietra e ripercorrendo il cammino del simbolo-pietra nella tradizione occidentale e medio-orientale, è possibile risalire, infatti, al nucleo tematico egizio legato agli attributi della dea Maat, solo successivamente integrati in ambito religioso giudeo-cristiano.

Jessie Weston afferma che la storia dell’origine cristiana del Graal “non regge di fronte al fatto sconcertante che non c'è nessuna leggenda cristiana che riguardi Giuseppe d'Arimatea e il Graal. Non vi è nessuna traccia della storia né nel mito né nell’arte; essa non esiste al di fuori della letteratura del Graal, è una invenzione romanzesca senza un’autentica tradizione” (Jessie L. Weston, Indagine sul Santo Graal, Sellerio, Palermo).

Conosciuto semplicemente come il calice che avrebbe custodito il sangue di Gesù, il Graal assume un suo connotato letterario nel Medioevo, con la nascita del ciclo britannico e bretone, della figura semi-leggendaria di Re Artù.

È ormai accertato che la materia narrativa di base dei racconti arturiani non proviene dalla cultura latina né dalla Bibbia, e non è nemmeno stata inventata dagli scrittori del XII secolo. Ha invece le sue origini in un remoto passato che non è possibile fissare con precisione dal punto di vista cronologico.

Secondo alcuni archeologi sarebbe esistito un popolo primitivo che ha originato i popoli storici indo-europei. Se ne situa la sede originaria a nord del Mar Nero, tra il fiume Dnjepr e il fiume Volga, dove il ritrovamento di antichi tumuli chiamati “kourgan”, risalenti a un'epoca compresa tra il 4500 e il 3500 a.C, sarebbero caratteristici di questo antichissimo popolo.

Questa prima comunità si sarebbe progressivamente estesa per occupare regioni precise del continente euroasiatico. Verso il 2500 a.C le principali culture nate da questo mondo indoeuropeo primitivo si insediarono nella rispettiva area geografica che avrebbe visto il loro sviluppo: Indo-Iranici, Sciti, Ittiti, Italici, Greci, Germani e Celti.

Se ci si interroga su quale sia il mito che, in Occidente, è più diffuso nello spazio e più resistente nel tempo, pochi dubbi possono sorgere: sono i cicli arturiano e del Graal. Non c’è nazione in Europa priva di racconti, monumenti, reliquie, edifici e miti medievali o ancor più antichi in cui si affaccino, in forme varie, questi cicli di saghe.

Artù e i suoi cavalieri godono di una straordinaria longevità, come dimostrano ancora, oggigiorno, il cinema (da “Excalibur” sino a “King Arthur”), la letteratura fantasy e il romanzo storico medievaleggiante. Molti esempi sulla diffusione delle leggende arturiane si possono trarre anche al di fuori dei confini del nostro continente.

Esistono tre possibili approcci al “Graal”. Il primo considera il Graal come un oggetto dalle precise caratteristiche fisiche, nella maggioranza dei casi legato alla figura di Cristo. Tale connessione risale al 1200, quando il francese Robert de Boron scrisse il Roman de l'Estoire du Graal, dove il Graal venne identificato con il calice utilizzato da Gesù durante l’Ultima Cena; nello stesso si dice che fu raccolto il sangue versato durante la Crocifissione da Giuseppe d'Arimatea.

Esistono numerose altre teorie circa la natura fisica del Graal: è stato variamente identificato con una pietra caduta dal cielo, di origine forse meteoritica, con l'Arca dell'Alleanza, con un libro scritto da Gesù stesso, con la Sindone di Torino, con un gioiello caduto dal cielo insieme a Lucifero, con la macchina che Mosé utilizzava per produrre la manna. Motivo comune degli studi dedicati a questa categoria “fisica” del Graal è il tentativo di identificare con assoluta precisione il luogo ove dimorerebbe l’oggetto.

Una seconda categoria di studi preferisce accantonare le ricerche “sul campo”, ritenendole soltanto l’aspetto volgare di una ricerca dai tratti più simbolici e spesso esoterici. All'interno di questa visione, il Graal diventa un simbolo dal valore universale che si presenta in varie forme all'interno di differenti sistemi mitico-religiosi. Secondo Julius Evola, ad esempio, il Graal rappresenterebbe la Tradizione occidentale ghibellina, contrapposta a quella giudaico-cristiana. Per René Guenon sarebbe simbolo del Sacro Cuore di Cristo. Per Carl Gustav Jung, un archetipo dell’inconscio.

Per Jesse Weston, un simbolo sessuale e di fertilità. Come si potrebbe determinare con rigore storico-scientifico quale tra queste interpretazioni è la più aderente alla realtà? E' evidente che ognuna possiede una ricchezza di significato d una funzionalità ben specifica nel contesto all'interno del quale è sorta.

Una terza categoria si limita a considerazioni di natura filologica intorno al tema del Graal, studiandone le origini letterarie e individuando il progressivo evolversi del mito attraverso i secoli, con l'analisi delle diverse simbologie che man mano si sono delineate intorno a esso.

Non è possibile identificare una fonte univoca che abbia determinato la nascita del mito del Graal.

Si può, invece, individuare con precisione l’anno in cui l'Europa vide comparire, per la prima volta, in un romanzo il termine “Graal”: è il 1190, anno in cui morì lo scrittore Chrétien de Troyes, lasciando incompiuto il suo ultimo romanzo cortese, il Perceval ou le Conte du Graal.

Il fatto che il Perceval sia il primo romanzo a citarlo, però, non ci autorizza a concludere che sia stato Chrétien a creare quello che diventerà l'archetipo del calice, della coppa “Graal”. In Europa già erano presenti nella cultura celtica oggetti miracolosi in forma di vasi, caldaie e coppe.

La sovrabbondanza di fonti e la evidente difficoltà a dipingere uno scenario semplice e coerente ha fatto sì che nel corso dei secoli venissero avanzate le interpretazioni più bizzarre sulla genesi del mito del Graal.

La letteratura cavalleresca fiorita intorno al Graal si affolla inesplicabilmente in un breve periodo, suscita un intenso interesse e poi scompare: nessun testo è anteriore al primo quarto del XII secolo e nessuno è posteriore al primo quarto del XIII secolo. Pertanto, l’impressione che si ha è quella di qualcosa di sotterraneo, affiorato momentaneamente, ma subito respinto e soffocato da un’altra forza: rimandando a una tradizione segreta che sotto “spoglie strane” tramandava un insegnamento poco riconducibile a quello della Chiesa.

 

 

 

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