Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Fiducia e consenso in medicina

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Fiducia e consenso sono termini intimamente legati tra loro per etimologia e semantica; fiducia, dal latino fides, sottintende la speranza che il credito che concediamo ad altri sia ben usato oppure che avvenimenti futuri abbiano un esito positivo. È un termine relativamente popolare in rete con 90 milioni di item. Il potente significato semantico deriva immediatamente da fides.

Anche consenso ha una etimologia latina, da consensus, la popolarità in rete è molto maggiore, oltre 300 milioni di item; anch’esso ha potenza semantica derivante da “con-sento”, sentire insieme ad altro/i; è di solito preceduto dalla fiducia.

Fiducia e consenso sono alla base delle società civili e sono ovviamente variabili nelle innumerevoli situazioni che possono verificarsi nella storia dell’umanità.

La fiducia può essere tradita ed il consenso rimanere definitivo o esser ritirato.

Un esempio del consenso variabile nei rapporti interpersonali è quello del matrimonio religioso e civile: nel primo il sacerdote (o il diacono) si rivolge alla divinità: «Il Signore onnipotente e misericordioso confermi il consenso che avete manifestato davanti alla Chiesa… L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce.» Il consenso religioso è per sempre, in quello civile è implicita una continua riconferma.

 

Il consenso può manifestarsi all’interno delle società verso argomenti o problemi particolari oppure espresso da tutto un popolo verso istituzioni o governanti.

È spesso valutato con metodi statistici di cui il più conosciuto è il sondaggio che di solito rappresenta uno strumento di democrazia.

Può avere tuttavia significati ambivalenti in politica quando raggiunge percentuali elevate, positivi come ad esempio per l’approvazione della Costituzione italiana nel dopoguerra o della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, negativi e tragici come per l’adesione quasi unanime del popolo tedesco al regime nazista.

È riportato attualmente un elevato consenso del popolo russo all’insensata aggressione all’Ucraina, a dimostrazione della ridottissima possibilità di un libero pensiero all’interno di quel popolo.

Un aspetto particolare della fiducia e del consenso è quello che riguarda il rapporto del paziente verso il medico e/o le istituzioni sanitarie, e/o la scienza medica.

Per quanto riguarda quello medico-paziente fino dall’antichità aveva dominato il celebre detto ippocratico «i medici sono filosofi dotati di caratteri divini», il consenso alla cura era stato quasi sempre orale, quello scritto riservato a argomenti non medici.

Dopo l’ultimo conflitto mondiale, che aveva mostrato in modo tragico come fossero stati calpestati i diritti degli esseri umani, nelle società industrializzate ed in particolare negli Stati Uniti ed in Europa si è diffusa in medicina la procedura del “consenso informato” scritto.

Il paziente riceve un modulo con le informazioni riguardanti la procedura diagnostica o terapeutica alla quale deve sottoporsi e appone la sua firma contestuale a quella del medico o dell’operatore sanitario.

Si è verificata pertanto una profonda trasformazione del modo d’interpretare il rapporto medico-paziente, fino ad allora dominato dall’autorità scientifica e morale del medico, spesso di tipo paternalistico e certamente non esente da conseguenze negative.

Lo scopo del consenso scritto era quello di tutelare il paziente rendendolo cosciente delle proposte diagnostiche o terapeutiche che gli venivano fatte.

Era ed è, tuttavia, inevitabile che la procedura desse luogo ad obbiezioni e critiche.

Una prima, anche se formale, potrebbe riguardare la ovvietà del termine “informato” dato che un consenso deve necessariamente essere preceduto da informazioni.

Nella letteratura medica anglosassone si omette spesso.

Altre obbiezioni più meditate e non formali furono riassunte in una pubblicazione di A. Zuppiroli, G. Santoro, A. Dolara, L’uso dei moduli di consenso informato. Alcune riflessioni critiche. (G. Ital Cardiol. 1995; pp.25, 1223-29), quando l’uso del “consenso informato” era ormai diffuso anche nel nostro Paese.

Prima di tutto si sottolineava come l’adesione del paziente alla procedura non esimeva da responsabilità di tipo medico legale per eventuali errori come alcuni potevano supporre.

Tuttavia l’obiezione principale era che un modulo consegnato distrattamente dal medico e/o dal personale sanitario al paziente poteva divenire un adempimento burocratico, un modo per evitare il colloquio faccia a faccia, sostituendo una modalità di comunicazione che richiede esperienza, doti di empatia per mettere in luce dubbi e perplessità del paziente, che sottintende prendersi cura piuttosto che curare, to cure vs to care.

L’articolo teneva conto di una esperienza clinica ultraventennale ospedaliera degli autori in cardiologia una branca della medicina ad alta tecnologia con procedure diagnostiche e terapeutiche complesse e non prive di rischi.

Una ulteriore obbiezione espressa nell’articolo riguardava le possibilità del paziente di comprendere i dati tecnici del modulo in rapporto ai problemi personali.

Una conferma viene oggi dalle perplessità di quanti consultano internet, il cosiddetto dott. Google, trovando una quantità enorme di dati, ma con difficoltà a riferirli a loro stessi.

Infine con l’approccio burocratico manca una valutazione sia da parte del medico che dal paziente dell’appropriatezza delle cure mediche.

La letteratura medica abbonda di descrizioni di procedure diagnostiche o terapeutiche inutili o dannose che potrebbero essere evitate con una migliore comunicazione.

In conclusione l’uso del consenso informato scritto ha un significato solo se accompagnato da un adeguato colloquio finalizzato alle necessità del paziente.

È necessario sottolineare ancora una volta che questo tipo di approccio richiede il tempo che deve essere concesso al personale sanitario. Per quanto riguarda i medici è da tenere presente il commento di Nanni Moretti in Caro diario: «I medici sanno parlare, però non sanno ascoltare».

Il consenso alle cure mediche assume un’importanza particolare nelle fasi terminali della vita da quando lo sviluppo della tecnologia ne ha consentito il prolungamento con mezzi artificiali; dopo casi clamorosi riportati anche dai media di pazienti in coma irreversibile nei quali era del tutto immorale proseguire con le terapia e l’accanimento terapeutico era evidente, è stata finalmente approvata la legge. 219 nel 2017 che al comma 5 dell'articolo 1 recita: «Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte… qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario proposto dal medico… anche se necessario per la propria sopravvivenza».

Questo diritto viene confermato dal testamento biologico che la persona redige in vita.

Rimangono ancora controversi, altri aspetti che riguardano i diritti delle persone che ancora pienamente coscienti hanno tuttavia una qualità di vita estremamente ridotta e che richiedono l’interruzione delle cure messe in atto per prolungarla. Occorre dare una risposta positiva anche a queste drammatiche richieste, ognuno ha il diritto di disporre della propria vita.

 

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