I molti volti del realismo
Secondo una visione diffusa fino a qualche decennio fa, il progresso scientifico ci consente di ottenere una conoscenza sempre più adeguata del mondo circostante. Sorgono tuttavia dei problemi quando ci accingiamo a dare una definizione della nozione di “incremento della conoscenza”. Un empirista come van Fraassen, per esempio, identifica il progresso scientifico con la crescita della “adeguatezza empirica” delle teorie (formulate, ovviamente, da noi). Pragmatisti come Laudan e Rescher, invece, collegano il progresso scientifico alla nostra crescente capacità di risolvere i problemi posti dagli stessi fenomeni empirici. In genere, coloro che si proclamano “realisti scientifici” sostengono una nozione più forte di progresso scientifico, secondo la quale l’avanzamento della conoscenza conduce a un progressivo avvicinamento alla verità. Contrariamente a van Fraassen e ai pragmatisti, la loro opinione non si basa sulla valutazione dell’adeguatezza empirica delle teorie o della nostra capacità di risolvere problemi. Quando lo scienziato scopre, per dirla con Wilfrid Sellars, i processi causali che spiegano i fenomeni osservabili, egli finisce col postulare entità non-osservabili che sottendono tali processi giungendo quindi a un disvelamento - per quanto parziale - della verità intorno al mondo.
Come prima dicevo, un realismo scientifico inteso in questo modo presta il fianco a numerose critiche. Cerchiamo quindi di delinearlo in modo schematico per poi passare in rassegna almeno alcune delle obiezioni che ad esso si possono rivolgere. Innanzitutto Ian Hacking e Michael Devitt hanno chiarito che il realismo scientifico è, più che una dottrina monolitica, un insieme di posizioni tra loro correlate ma non identiche. In genere i suoi sostenitori concordano sulla tesi secondo cui lo scopo della scienza è la scoperta della verità intorno al mondo che ci circonda. Non si tratta tuttavia - o non si tratta soltanto - di una verità intesa alla maniera di Charles S. Peirce, vale a dire del risultato (ideale) raggiunto da una scienza giunta al termine della propria ricerca; ciò che interessa ai realisti scientifici è anche la verità (o le verità) conseguibili nelle singole discipline. Ne consegue tra l’altro che la nozione di “verità” e quella di “spiegazione” sono intimamente correlate; in questo senso ciò che realmente interessa è la spiegazione vera, cioè quella che, seguendo il celebre modello nomologico-deduttivo della spiegazione scientifica, parte da un explanans formato da teorie e leggi vere (o considerate tali), e arriva per via deduttiva a stabilire la verità di enunciati riguardati fatti empirici (gli explananda). Lo scopo precipuo della scienza consisterebbe pertanto nel fornire spiegazioni vere dei fatti che accadono nel mondo. Ecco perché un autore come Sellars insiste moltissimo sull’importanza della postulazione di entità teoriche ai fini della spiegazione: l’impegno ontologico nei confronti delle entità inosservabili è assunto in termini letterali. Al contrario di quanto affermano gli strumentalisti, le entità di cui sopra non vanno dunque intese alla stregua di mere finzioni o costrutti teorici utili soltanto nella misura in cui ci aiutano a formulare enunciati a livello predittivo. Piuttosto, chi sostiene il tipo di realismo scientifico di cui stiamo trattando è condotto naturalmente ad ammettere che l’impegno ontologico nei confronti delle entità teoriche è genuino, nel senso che di tali entità si può predicare l’esistenza indipendentemente dalla presenza di una o più menti. Ciò spiega un’altra affermazione sellarsiana secondo cui la filosofia della scienza altro non è se non la filosofia che prende la scienza sul serio. Qualcuno potrebbe a questo punto obiettare che quello riguardante le entità teoriche della scienza è un realismo piuttosto limitato, il che è senz’altro corretto. In effetti la tesi più caratterizzante del realismo (non solo scientifico) afferma che esiste una realtà indipendente dalla mente, dove l’indipendenza dal mentale significa concepire quell’esistenza come qualcosa che in ultima analisi nulla ha a che fare con ciò che gli esseri umani pensano e dicono a proposito della realtà. In altre parole, la struttura del reale non è affatto toccata dalla concettualizzazione e dal linguaggio. È importante allora notare che sul piano ontologico, secondo tale visione, le entità che compongono il reale “sono come sono” indipendentemente da come noi riteniamo che esse siano. Ne consegue un corollario piuttosto importante: se le entità inosservabili postulate da una qualsiasi teoria scientifica esistono, allora la loro esistenza non dipende dalla nostra attività né dalle nostre capacità cognitive. Partendo da queste premesse si può fare un passo ulteriore. Ogni teoria scientifica può essere corretta o meno, giacché un realista (e in particolare quello “metafisico”, nell’accezione putnamiana del termine) non si sognerebbe mai di contestare la possibile inadeguatezza di tutte le teorie. Ma ciò che importa è un altro fatto: la verità o falsità di qualsiasi teoria è determinata dal modo in cui il mondo è, e questo - è importante sottolinearlo ancora una volta - nulla ha a che vedere con i processi mentali e cognitivi o con le nostre credenze. Contrariamente a quanto sostengono gli anti-realisti vecchi e nuovi, non è ciò che facciamo, pensiamo o diciamo a rendere corrette o scorrette le teorie; è invece la realtà stessa a stabilire se le nostre credenze circa il mondo sono vere o false. Quando affermiamo che i quarks hanno certe caratteristiche, la verità (o falsità) di tale enunciato è stabilita dalla natura stessa dei quarks, e non dall’opinione che noi intratteniamo circa queste caratteristiche. Non è difficile vedere, a questo punto, che il realismo scientifico classico è portato spontaneamente ad adottare una teoria corrispondentista della verità, oggi rifiutata da numerosi autori tra i quali qui menzioniamo soltanto Davidson e Rorty. Inoltre la posizione appena delineata implica una precisa visione del progresso scientifico. Il realismo scientifico attribuisce grande importanza sia alle entità inosservabili postulate dalle teorie, sia al fatto - oggi contestato - che è la realtà indipendente dalla mente, e composta in gran parte da tali entità inosservabili, a determinare la correttezza o meno delle teorie. Di conseguenza la crescita della conoscenza scientifica dipende in buona sostanza dai progressi che facciamo nella conoscenza delle suddette entità inosservabili. Ed è proprio tale elemento a spiegare l’importanza della nozione di “progresso scientifico” per i realisti scientifici. Essi non possono accettare l’idea che l’incremento della conoscenza si riduca all’adeguatezza empirica di van Fraassen o alla capacità di risolvere problemi sottolineata dei pragmatisti. A loro avviso è piuttosto l’avanzamento della conoscenza prodotto dalle scoperte non riconducibili al piano della mera osservazione a determinare il progresso scientifico. Se qualcuno chiede dove tale progresso si verifichi, la risposta non può che essere una: nella scienza moderna e contemporanea. Tenere a mente questo fatto ci consente di comprendere nella sua vera portata la distinzione tra scienza e senso comune, che tanta importanza riveste nel pensiero di Sellars.
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