Visita a un santuario shintoista a Tokyo
Partecipo, a Tokyo, alla manifestazione “Go global, go Europe”, organizzata dalla UE nella capitale nipponica per favorire gli scambi di studenti e docenti tra le università locali e quelle europee. Coordinano i francesi di CampusFrance, ma abbastanza numerosi sono anche gli atenei italiani, tra i quali ovviamente il mio. Non ci sono migliaia di studenti come sempre avviene in analoghi eventi a Pechino o a Shanghai: i giapponesi sono più discreti. E poi loro, se decidono di studiare all’estero, preferiscono di solito gli Stati Uniti e i Paesi anglofoni in genere, in particolare Australia e Nuova Zelanda, geograficamente più accessibili rispetto a noi. Tuttavia l’interesse è alto, soprattutto per l’Italia. Saremo anche in crisi, ma continuiamo a godere di un’immagine tutto sommato positiva. L’arte, il design, la cultura e – naturalmente – la cucina italiane sono agli occhi dei giapponesi al top. E occorre faticare un po’ per convincerli che vantiamo settori di eccellenza anche nella tecnologia e nelle scienze. Dopo ogni colloquio il potenziale studente, spesso accompagnato dai genitori, ringrazia e saluta con il tradizionale inchino. A un certo punto apprendo, con una certa sorpresa, che il celebre santuario shintoista di Yasukuni si trova a brevissima distanza dal luogo che ospita l’evento, la Meiji University, uno dei migliori atenei nipponici. Dico “con una certa sorpresa” perché non immaginavo che un santuario potesse trovarsi esattamente al centro di una metropoli come Tokyo, e invece è proprio così.
Al termine del primo giorno dei lavori basta infatti un quarto d’ora di cammino per ritrovarmi a Yasukuni, immerso in un grande parco e con gli enormi “torii” che lo indicano con chiarezza anche in lontananza. Lo shintoismo è la religione autoctona del Giappone, quella che l’intera popolazione praticava prima che buddhismo e confucianesimo venissero introdotti dal continente asiatico. Semplificando molto, si tratta di una forma di animismo sofisticato, con una ricchissima mitologia che la rende per molti versi simile al politeismo. Importanti sono invece metodi e rituali, che mettono in relazione gli esseri umani e i “kami”, gli spiriti della natura che popolano l’intero universo e attraverso la natura stessa si esprimono. La flessibilità dello shintoismo lo rende inoltre compatibile con altre pratiche religiose, esempio tipico il buddhismo. Interessante notare che, dal punto di vista storico, dopo la Restaurazione Meiji divenne religione ufficiale del Giappone e fu utilizzato quale strumento per consolidare l’unità del Paese attorno alla figura dell’Imperatore, divino perché discendente della dea Amaterasu. La crescita della potenza imperiale giapponese è direttamente connessa a questi fatti. E chi conosce la storia contemporanea sa che l’enfatizzazione del nazionalismo – tratto del resto tipico del carattere nipponico – è in gran parte dovuta proprio alla proclamazione dello shintoismo quale unica religione ufficiale della nazione. Il resto è noto. Il fanatismo che animava i soldati in battaglia; la convinzione di essere un popolo unico perché governato da un imperatore di discendenza divina; la volontà di dominio giustificata dal collegamento diretto con il mondo degli dei; la prevalenza dello spirito sulla materia (che indusse, tra l’altro, a sottovalutare la maggiore potenza tecnologica degli Stati Uniti). Ebbene, Yasukuni è balzato agli onori delle cronache perché l’ex premier Shinzo Abe (come del resto altri prima di lui) si è recato in visita al santuario nonostante le proteste internazionali. Vi si onorano infatti le anime dei caduti in guerra per la patria e per l’Imperatore, incluse quelle di parecchi politici e generali giudicati – e a volte giustiziati dopo la fine del secondo conflitto mondiale – criminali di guerra. Il santuario è insomma diventato il simbolo del rifiorente nazionalismo patriottico, soprattutto dopo il crescere costante della tensione con la Cina. Passando sotto i grandi “torii” che ho prima nominato, i portali attraverso cui si accede ai templi shintoisti, la sensazione è di pace. Che prosegue sottoponendosi alla cerimonia di purificazione: lavaggio delle mani utilizzando dei mestoli adatti all’uopo, un primo inchino, l’introduzione di una moneta in una feritoia, e l’inchino finale. Ai giapponesi fa impressione che uno straniero si sottoponga al rito, ma alla fine ti sorridono contenti. Ma Yasukuni non è un tempio scintoista come gli altri. A parte l’onore reso anche alle anime di chi venne giudicato criminale di guerra, possiede pure un magnifico museo in cui vengono conservati con estrema attenzione i cimeli di esercito, marina e aviazione imperiali risalenti all’ultima guerra mondiale. Ho visto un esemplare del celebre caccia Zero Mitsubishi – a mio avviso ancora in grado di volare – che dominò per almeno due anni i cieli del Pacifico prima dell’avvento dei nuovi aerei americani. Molte bandiere imperiali, diverse da quella attuale, con i raggi rossi del sole che si espandono in ogni direzione. Parecchi cannoni usati per espugnare le piazzeforti inglesi di Hong Kong e Singapore. Spade da samurai appartenenti ad alti ufficiali. E i souvenir della corazzata Yamato, ammiraglia della flotta imperiale di Yamamoto, vanno a ruba tra i visitatori giapponesi (rari quelli stranieri). Un’esperienza senza dubbio interessante. L’interprete locale assegnato allo stand del mio ateneo mi ha detto che gli americani, che occuparono il Paese nel 1945, abolendo la natura divina dell’Imperatore su precisa disposizione del generale Douglas MacArthur, hanno certamente “modernizzato” il Giappone. Non sono però riusciti a “occidentalizzarlo”. E si tratta di una di una differenza non da poco, perché impedisce tuttora a europei e americani di comprendere sino in fondo l’anima del Sol Levante.
Santuario shintoista di Yasukuni
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