Putin e la filosofia
Chi si sforza di comprendere le motivazioni che hanno spinto Vladimir Putin a invadere e devastare l’Ucraina incontra – come ho già scritto altre volte – grandi difficoltà. Senza dubbio svolge un ruolo la nostalgia per l’Unione Sovietica. Non intesa, però, quale patria del “socialismo reale”, bensì come grande potenza militare in grado di imporre lo spirito e lo stile di vita russi alle nazioni confinanti e sottomesse. Si è ormai capito che, per lo zar moscovita, Russia, Bielorussia e Ucraina formano un blocco unico nel quale lo spirito della “Russia eterna” si esprime al meglio, contrastando i valori borghesi e decadenti dell’Occidente. Gli ucraini non hanno accettato tale narrazione e devono quindi essere puniti severamente poiché, dopo il crollo dell’Urss, si sono “occidentalizzati”. Nonostante spetti a loro il merito di aver fondato la Rus’ di Kiev in epoca medievale, vera origine spirituale e politica della “Russia eterna” dianzi citata. Putin, cresciuto nella scuola laica e marxista-leninista del Kgb, ha capito che, per realizzare il suo progetto di rivitalizzazione del “mondo russo”, deve identificarsi totalmente con la Chiesa ortodossa prima distrutta dai bolscevichi, e poi ritornata potente dopo il crollo dell’impero sovietico.
E, com’è noto, il patriarca di Mosca Kirill ha assecondato in pieno il suo disegno. Risulta tuttavia sorprendente che lo stesso Putin, a dispetto della sua educazione laica e marxista menzionata in precedenza, abbia riportato in auge e imposto all’attenzione del mondo intellettuale russo dei filosofi reazionari e spesso filofascisti che erano in pratica stati dimenticati. Caso emblematico è quello di Ivan Aleksandrovic Il’in (1883-1954). Anticomunista e antisovietico, Il’in fu un fervente sostenitore dell’Armata Bianca che combatté aspramente contro i bolscevichi durante la guerra civile, venendo alla fine sconfitta dall’Armata Rossa comandata da Lev Trotsky. Il’in nel 1922 fu espulso dall’Urss dallo stesso Lenin ed emigrò prima in Germania e poi in Svizzera, dove morì. Esponente della destra hegeliana, Il’in credeva in una “politica dell’eternità”, vale adire in uno Stato che coincidesse in toto con i suoi governanti e nel quale ogni tipo di dissenso fosse bandito. Un’esaltazione, insomma, della Russia zarista e profondamente ortodossa. La Verità si è a suo parere incarnata nella Russia eterna, e ogni tentativo di sovvertirla costituisce un atto di disobbedienza ai piani divini. È ovviamente presente anche l’antisemitismo, mentre grande spazio viene riservato alla decadenza morale dell’Occidente, dovuta all’individualismo, che la Russia deve assolutamente evitare. Monarchico e simpatizzante del fascismo, Il’in scrisse molto. Le sue opere erano proibite nell’Unione Sovietica, anche se continuarono a circolare in forma clandestina. Per capire la loro influenza su Putin, basti dire che il leader del Cremlino ha promosso personalmente il trasferimento della sua salma dalla Svizzera in territorio russo, partecipando anche alla consacrazione della sua nuova tomba a Mosca nel 2005. Filosofi di questo tipo, dunque, sono gli ispiratori della politica interna ed estera di Putin e del gruppo dirigente che lo affianca. L’obiettivo è il ritorno al passato imperiale, tanto bolscevico quanto zarista. Si capisce allora perché sia così difficile – per non dire impossibile – avviare trattative con lo zar moscovita per porre fine alla guerra in Ucraina. |
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