Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’emigrazione femminile in Egitto nell’ultimo scorcio del XIX sec.

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«Son tutte belle le mamme del mondo quando un bambino si stringono al cuor» cantavano Gino Latilla e Giorgio Consolini al quarto Festival tenuto nel casinò di Sanremo dal 28 al 30 gennaio 1954. E vinsero con quella canzone melodica e orecchiabile, dal titolo “Tutte le mamme”, anche se la versione più nota rimane quella di Claudio Villa incisa su dischi Vis Radio.

Sarà sempre vero? Certamente si, l’affetto materno è sempre stata una costante nella storia del genere umano, permeando i più inaccessibili recessi del cuore.

«Una donna può forse dimenticare il bimbo che allatta, smettere di avere pietà del frutto delle sue viscere?» (Is. 49:15) e di seguito il Signore, rivolgendosi alla Sion d’Israele: «Anche se le madri dimenticassero, io non dimenticherò te».

Le eccezioni certo non mancano. Tutti abbiamo cognizione degli ospizi per trovatelli di cui si occupò anche in un’appassionante inchiesta Jessie White Mario, libro introvabile per ogni dove e di cui fornisco copia per la felicità degli estimatori dalla Signora Mario, e del commercio di bambini che commosse tanti italiani e la cui causa fu perorata in Parlamento da tanti nomi illustri (De Falco, Guerzoni, Oliva e tanti altri).1

Narra la Signora Mario che due volte sole vide piangere Garibaldi: la prima volta nel brefotrofio di Palermo, la seconda in quello dell’Annunziata a Napoli, nel 1860.

«Esso pareva un pandemonio. C’erano vecchie che sembravano le streghe di Macbeth, altre le Parche di Michelangelo; c’erano ragazze e donne d’ogni età, alcune sfacciate, pasciute, altre magre, affamate, spaventate … il pane infetto, i cibi scarsi, la mondizia negletta, il loro peccato rinfacciato. I volti sparuti di quelle dolorose, le pupille dilatate, le misere vestimenta, spandevano sinistro lume sulla loro patetica eloquenza».

Il 17 novembre 1869 era stato inaugurato con impareggiabile fasto il canale di Suez, costruito per la forte determinazione di Ferdinando De Lesseps su progetto di Luigi Negrelli.2

La Francia, madrina del canale e principale azionista, vi era rappresentata dall’imperatrice Eugenia.3

Nel quadro dei festeggiamenti, al Cairo fu rappresentato il Rigoletto di Verdi e in capo a due anni, il 24 dicembre del ’71, la prima dell’Aida.

Le province meridionali facevano parte del Regno d’Italia da poco meno di due lustri, ma in quel periodo si registrò un certo flusso migratorio di manovalanza verso l’Egitto, soprattutto calabrese e toscana, impiegata nelle operazioni di scavo e finitura del canale che oramai erano nella fase conclusiva.

I porti d’imbarco erano quelli di Napoli e di Messina e, dopo la navigazione di 7 giorni da Napoli e 5 giorni da Messina, percorso un braccio di mare di circa 850 miglia, i bastimenti giungevano in vista del vecchio porto di Alessandria.

Agli occhi dei viaggiatori la vista della costa rappresentava uno spettacolo deprimente.

«Le sue sponde da levante a mezzogiorno inarcandosi gialle, sabbiose ed arse dal sole affricano … contrastavano colle verdeggianti e fiorite piagge di Partenope e di Sicilia».4

Due erano le compagnie italiane (ve n’erano anche di straniere) che facevano servizio regolare per Alessandria con bastimenti a vapore e navi a vela: la Società Adriatico-Orientale e quella R. Rubattino e C. di Genova.

In particolare, la Soc. Rubattino faceva tre viaggi mensili di andata e ritorno con scalo a Livorno, Napoli e Messina.

La città, rigorosamente divisa in quartieri abitati dagli orientali e in quelli abitati dagli europei, era prevalentemente abitata dagli Arabi e poi dai Copti, antichi abitatori dell’Egitto abbandonati alla miseria, Armeni, Greci e un gran numero d’Israeliti. Su tutti dominavano i Turchi a mezzo di un governo retto al momento da Isma’il Pashià (regnante dal 18 gennaio 1863 all’8 agosto 1879) il quale aveva seguito le orme del predecessore Said Pasha che volle essere sovrano e non governatore, catapultando l’Egitto in una forma di governo personale e arbitrario, dove la corruzione dominava in ogni livello sociale, a cominciare dalle fondamenta.

Il rapporto del R. Console Generale in Alessandria d’Egitto comm. De Martino del febbraio 1871, calcola in circa 14.000 il numero di abitanti italiani in Alessandria mentre circa altri 4000 erano dislocati tra Porto Said e gli altri paesi del basso Egitto, dediti a varie professioni e mestieri ma la gran parte erano operai che sovente vivevano nello stato d’indigenza.

Le delegazioni straniere avevano i loro uffici ed abitazioni ai lati di una vastissima piazza quadrangolare detta dei Consoli dove affacciavano anche il palazzo del governo, il municipio di Alessandria, negozi, caffè e alberghi.  

Le prime statistiche annuali sull’emigrazione furono pubblicate da Leone Carpi dal 1869 al 1875 e dalla Direzione Generale della Statistica dal 1876 in poi e rappresentano i primi tentativi di rilevazione del fenomeno migratorio italiano.5

Nella seguente tabella, rielaborata coi dati dei lavori del Carpi, è illustrato per grossi tratti il fenomeno migratorio italiano dal 1861 al 1871.

 

 

Sempre secondo i dati, seppur frammentari, raccolti da Leone Carpi, nel 1869 s’imbarcarono a Messina, per varie destinazioni, 268 individui, di cui 121 diretti ad Alessandria d’Egitto dei quali solo 4 erano calabresi, quasi tutti gli altri siciliani.

Nel 1870 s’imbarcarono da Napoli per varie destinazioni 2933 individui dei quali 167 diretti in Egitto, senza specificazione della provincia di appartenenza.

Il fenomeno migratorio verso l’Egitto, seppur molto flebile, durò ben poco e si esaurì del tutto nel giro di una trentina d’anni, sostituito dalla massiccia emigrazione verso i più promettenti lidi americani.

La statistica illustrata nella Tavola IX del poderoso volume di Taruffi, De Nobili e Lori con prefazione di Pasquale Villari, illustra l’emigrazione dalle province calabresi dal 1876 al 1905 ma difetta, per ovvi motivi di carenza di dati, degli anni dal 1861 al 1875, e non opera alcuna distinzione di sesso e professione.

Ho tradotto la tabella nel seguente diagramma, più intuitivo.6

 

 

Significativo è che Cosenza non diede alcun contributo all’emigrazione verso l’Egitto e Reggio vi contribuì molto limitatamente

Nel Regno delle Due Sicilie il fenomeno dell’emigrazione era del tutto sconosciuto a causa dell’isolamento più assoluto in cui versava ogni singola provincia.

Il flusso migratorio era costituito quasi esclusivamente da pochi suonatori, cantastorie e giocolieri che vivevano in stato di mendicità nelle principali città europee, soprattutto a Parigi, Londra e Berlino.

La mancanza di strade ostacolava finanche gli spostamenti tra i comuni della stessa provincia e non c’è da meravigliarsene, poiché i Borboni non solo non erano favorevoli allo sviluppo della viabilità ma finanche la ostacolavano.

Questo aspetto fu ben evidenziato dalla Commissione d’inchiesta sul brigantaggio, relatore Giuseppe Missori, che riferì alle Camere nel 1863. Magnifiche strade nelle vicinanze di Napoli, ma nelle province regnava la più assoluta desolazione.

La polizia non permetteva neppure il viaggio da una provincia a quella limitrofa senza passaporto e il telegrafo ad asta era utilizzabile unicamente dell’esercito e delle amministrazioni pubbliche che ne erano autorizzate.

La gente viveva e moriva nelle contrade collinari e montuose del Regno senza aver mai visto il mare da vicino.

Verso i lidi egizi, a decorrere dal periodo immediatamente postunitario, s’imbarcò un modestissimo numero di donne che, lasciato il tetto domestico, si recavano in Egitto a far da nutrici ai figli di notabili italiani.

Di questo aspetto dell’emigrazione italiana non si è mai occupato nessuno, tantomeno le statistiche dell’epoca, ma da più parti oggi si è ricamato intorno all’argomento senza la benché minima cognizione di causa mediante le solite tiritere romantiche che esaltano quelle donne definite emancipate, avventurose e quant’altro.

Nelle ex province napoletane l’unica che diede un contributo a questo tipo di corrente migratoria fu quella di Catanzaro e di essa solo alcuni, ben circoscritti comuni.

L’unico scritto dell’epoca che accenna al fenomeno fu quello di Filippo Marincola S. Floro in una relazione alla Camera di Commercio di Catanzaro per l’anno 1895.7

Quello scritto, anch’esso infarcito di romanticherie, è talora citato nei pochi scritti odierni sull’argomento, ma se ne deduce che non lo hanno ben letto, altrimenti, citandolo, avrebbero appreso la cruda realtà: a causa della defezione di quelle madri, «il brefotrofio di Catanzaro si popolava d’inusitata affluenza».

Altro che donne emancipate! Per amore di guadagno, subito dopo aver partorito, abbandonavano i figli e fors’anche il marito e s’incamminavano a piedi verso Pizzo da dove via mare raggiungevano il porto di Messina per l’imbarco, direzione Alessandria (la ferrovia con partenza da Pizzo per Villa San Giovanni poteva essere utilizzata solo dal 1894, anno d’inaugurazione della tratta Pizzo-Ricadi).

L’unico scritto dignitoso sull’argomento ritengo che sia quello di Paola Corti che affronta l’argomento, seppur brevemente, con singolare competenza.8

Ricordiamo qua che i mammiferi producono latte solo dopo il parto e per un periodo variabile a seconda della specie, dell’età e delle condizioni di salute e ambientali, soprattutto nutrizionali.

 

 

Per la donna il periodo di lattazione dura solitamente intorno a un anno, e dopo?

E’ facile immaginare la vita che potevano condurre quelle donne sole, analfabete e senza lavoro in terra straniera.

Talvolta rientravano nei paeselli nativi, scaricavano un altro figlio e poi ripartivano per Alessandria o proseguivano per il Cairo.

Il mito romantico della donna nutrice-migrante, visto come occasione di emancipazione sociale non esiste proprio e va dunque sfatato.

Un esempio concreto.

Serafina Ferraro, madre del mio nonno materno, incinta, partorì il suo primo figlio, Tommaso, il 10 marzo 1887 e subito lo abbandonò alle cure di Rosa, nonna di mio nonno, ultrasessantenne (nata il 31 marzo 1826) e partì per Alessandria a fare commercio del suo latte.

Tornata in patria e nuovamente incinta, tornò ad Alessandria dove partorì la figlia Rosa il 3 luglio del 1889 che condusse infante in Italia, dopo finito il suo periodo di lattazione e vendita del latte, lasciandola analogamente alle cure della nonna per tornarsene in Egitto, dopo di che se ne è persa ogni traccia: Serafina Ferraro si era dileguata tra i vapori di questa fuggevole umanità.

Mio nonno ebbe cinque figli: tre maschi, due femmine e rinnovò il nome del padre, Bruno, ma rinnegò la madre e a nessuna delle figlie diede il nome di Serafina, chiamando invece una delle due Rosa, come la sua sventurata sorella, che visse e morì in povertà, trascinandosi seri problemi intellettivi per tutta la vita.

L’espatrio per il mercimonio del latte materno non era mai un atto fortuito ma ben premeditato e pianificato nel periodo della gestazione, dovendo superare le lungaggini burocratiche per il rilascio del nulla osta da parte del sindaco e per il conseguimento del passaporto da parte dell’autorità di Pubblica Sicurezza, operazioni che divennero più speditive solo dopo il R.D. del 30 gennaio 1901, ma a quel tempo il flusso migratorio verso l’Egitto si era già esaurito.

Il fenomeno, che oggi strumentalmente alcuni tendono a dilatare e a idealizzare, era stato chiacchierato nel mondo politico e culturale italiano come semplice curiosità, al punto che Leopoldo Franchetti, nel suo viaggio in carrozza da Nicastro a Catanzaro nell’autunno del 1874, il lunedì 5 ottobre annotò brevemente nel su diario che

«Vicino Tiriolo mi fecero vedere un paese da dove c’è emigrazione l’uno disse l’America, l’altro per Alessandria. Unico della provincia mi dissero (conversazioni in carrozza con prete, ispettore scolastico e dottore).»9

Nel 1871 sulla Illustrazione Popolare (pag. 382) comparve un curioso trafiletto intitolato “statistica dell’ignoranza” che non ha bisogno di commenti ma che voglio completare con una semplice citazione sicuramente di grande popolarità tra i tanti professoroni saccenti e mistificatori della storia, dell’informazione e manipolatori dei più profondi sentimenti di questa umanità, per i quali le vittime diventano carnefici e gli invasori sono definiti aggrediti.

«Tutto ciò di cui hai bisogno in questa vita è ignoranza e fiducia, poi il successo è assicurato.»
Mark Twain.

Con ciò abbandonando ogni più elementare principio di moralità.

«Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che mutano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che mutano l’amaro in dolce e il dolce in amaro!» (Isaia 5:20)

 

 

 

Note

1.  Jessie White Mario, Le opere pie e l’infanticidio legale, Rovigo, 1897.

2. Cfr. AA. VV, Il canale di Suez 1869-1969, Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, Trento, 1969; T. Wilson, Il canale di Suez. Il suo passato, presente e futuro, con prefazione di L. Villari, Milano, Fratelli Bocca editori, 1934; AA.VV., Il congresso di Trento per il centenario del progetto italiano per il taglio dell’Istmo di Suez, Istituto Italiano per l’Africa, Roma, 1956.

3. La Francia era sottoscrittore della metà delle 400.000 azioni, il governo egiziano di 178.000. Delle rimanenti erano titolari varie monarchie europee tra cui l’Italia.

4.  G. Regaldi, Memorie d’oriente. Alessandria d’Egitto, Nuova Antologia, volume XVIII, Firenze, 1871.

5. L. Carpi, Delle colonie e dell’emigrazione d’Italiani all’estero, quattro volumi editi dalla Tip. Editrice Lombarda nel 1874.

6. D. Taruffi, L. De Nobili, C. Lori, La questione agraria e l’emigrazione in Calabria, Firenze, Barbera, 1908.

7. F. Marincola S. Floro, Le forze economiche della provincia di Catanzaro, Catanzaro, Tip. Giuseppe Dastoli, 1896, di cui riproduco il solo capitolo relativo all’emigrazione.

8. P. Corti,  Donne che vanno, donne che restano. Emigrazione e comportamenti femminili, in «Istituto Alcide Cervi», Annali, n. 12/1990, Il Mulino.

9. L. Franchetti, Condizioni economiche e amministrative delle provincie napoletane, Firenze 1875.

 

L’immagine di copertina rappresenta un dipinto di Gioacchino Toma (1836-1891), La guardia alla ruota dei trovatelli, 1877, conservato nella Galleria Nazionale dell’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

 

 

 

 

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