Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Luigi Tosti e la svolta epocale del Risorgimento italiano

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Il Vaticano cristiano-cattolico papale scomunicò il Risorgimento dell’Unità e della Libertà della Patria Italia, nata il 17 marzo 1861, sia perché coi suoi valori liberali e laici si contrapponeva (e si contrappone) ai millenari dogmatismo e fideismo, sia perché implicava la fine dei mille privilegi posseduti ed accresciuti nei secoli, sia perché nel 1870 produsse anche la fine epocale dello Stato della Chiesa, che, posto al centro della penisola, aveva impedito per più di 1500 anni l’unificazione politica dell’Italia.

Il Vaticano ha combattuto l’Italia una, libera, laica in modo aggiornato e moderno, con tutti i mezzi a disposizione, frontali o scaltri, a seconda delle circostanze storiche.

Ma nella chiesa cattolica ottocentesca, novecentesca, attuale ci furono e ci sono laici ed ecclesiastici avveduti e colti, che seppero cogliere la direzione dei tempi ed accettarono ed accettano sinceramente la svolta epocale unitaria e liberale.

 

Uno di essi fu il napoletano Luigi Tosti, nato il 13 febbraio 1811, morto a Montecassino il 24 settembre 1897, della cui Badia benedettina fu anche abate.

Fu entusiasta nella giovinezza dello spirito risorgimentale, in particolare della corrente cattolico-liberale di Gioberti, il neoguelfismo.

Quando l’Unità e la Libertà d’Italia si affermarono e si consolidarono, egli diede il suo contributo civile e culturale, partecipando ad esempio con il suo monastero ai festeggiamenti che Firenze italiana e capitale di essa organizzò nel 1865 per l’anniversario della nascita di Dante del 1265.

Tosti promosse una preziosa pubblicazione, Il codice cassinese della Divina Commedia, per la prima volta letteralmente messo a stampa per cura dei monaci benedettini della Badia di Monte Cassino, Tipografia di Monte Cassino, 1865.

Così recita la dedica «Al Comune di Firenze/ Patria/ di Dante Alighieri/ i monaci di S.Benedetto/ della Badia di Monte Cassino/ l’anno MDCCCCLXV/gratulanti/ mandavano offerendo/ questo volume.»

L’abate Tosti scrisse una delle tre prefazioni.

In fondo ad essa concluse: «Nell’anno 1302 Firenze era inabissata col sangue e col fuoco per intestine discordie, intrusione di forestieri pacieri, per improvvidenza di rimedi e l’anima più nobile che si avesse fu reietta dal suo seno col doppio ostracismo dell’infamia e dell’esilio (Dante cacciato dalla sua città natale). Questo fece Firenze, perché incapace a comprendere la breve idea di patria, serrata dal ‘muro’ e dalla ‘fossa’ del Municipio.

Oggi Firenze pacificata, festeggiante, gratulata da tutto il mondo, accoglie quell’anima splendente della doppia aureola del cittadino martirio e del Gran Poema. Questo fa oggi Firenze, perché dilatato il ‘muro’ e la ‘fossa’ del Municipio dalle Alpi al mare, è compresa dalla idea di una Patria, che si chiama Italia.» (p. XVIII).

Parole chiare e memorabili contro le visioni ristrette municipali, che producono grettezze e misconoscimenti dei veri, grandi valori umani e civili ed elogio della nuova Patria italiana pacificata e splendente di grandezza umana e civile, che sa riconoscere ed onorare i Grandi della sua storia.

Scrisse in altri due contesti il napoletano Tosti: «...le anime dei grandi trapassati per quell’amoroso consorzio, che non si rompe mai coi vivi, scendono negli umani petti, e a chi danno l’abito del loro pensiero, a chi quello della forma, a chi quello dei loro affetti cittadini.»  (p. VII).

E sul ruolo fondante epocale di Dante della Nazione Italiana scrisse: «Il Poema di Dante non è solo opera letteraria, che esprime l’anima di un popolo in un determinato tempo, ma è il fatto della creazione dell’anima italiana in tutti i tempi. La virtù del nostro pensiero, la scintilla dei nostri affetti, la coscienza dei nostri diritti nella famiglia degli altri popoli, il germe della nostra storia, e, direi quasi, il dogma della nostra lingua, è chiuso nel sacrario del divino Poema.» (p. V).

Dante dovrebbe stare con un canto del suo Poema in prima serata ogni giorno sulla televisione pubblica, per impararlo tutti quasi a memoria, per cogliere, sentire, vivere l’anima e l’orgoglio di essere Italiani. Invece di stordire, confondere, rendere anonimi e superficiali.

 

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