Realismo e idealismo
Ogni volta che prendiamo in considerazione i rapporti tra linguaggio e realtà - e tra logica e metafisica - ci muoviamo in una sorta di circolo praticamente inevitabile. Afferriamo il concetto di verità soltanto quando possiamo comunicare agli altri i contenuti delle esperienze condivise, e per far questo abbiamo bisogno del linguaggio. Ma solo allora, cioè quando la comunicazione viene stabilita, possono svilupparsi in modo compiuto linguaggio, pensiero e logica. Quali sono, infatti, le condizioni necessarie affinché ci sia del pensiero - ivi incluso il pensiero dell’essere - e ci siano degli individui in grado di pensare? Sembra difficile credere che il pensiero abbia potuto nascere in una mente totalmente isolata, in assenza di altre menti con le quali condividerei un mondo. Le posizioni anti-realiste si manifestano in molte forme e in diversi contesti. Nel pensiero dei nostri giorni, per esempio, spesso si sottolinea che non possiamo riferirci ad enti che si situano oltre la nostra capacità di riconoscerli. Se si imbocca questa strada, si può ammettere che ci sia “qualcosa” nel mondo che rende veri i nostri enunciati, aggiungendo al contempo che questo “qualcosa” deve essere accessibile a noi dal punto di vista epistemico. Non è scontato che la definizione classica della verità come corrispondenza conduca necessariamente a sostenere il realismo. Per ottenere tale risultato dobbiamo aggiungere che la realtà non dipende da alcunché al di fuori di essa per la sua esistenza e, in particolare, occorre aggiungere che essa non dipende dalla mente. Già a questo livello, tuttavia, si può notare che basare sull’indipendenza dagli esseri umani la definizione della realtà causa problemi, poiché sembra quasi implicare che noi non siamo parte della realtà. Dunque, appena limitiamo la definizione di realtà a ciò che siamo in grado di riconoscere, la teoria della verità come corrispondenza può ancora essere accettata, ma perde i suoi connotati realisti. Si verifica, cioè, il passaggio dalla “realtà” senza ulteriori specificazioni alla “realtà-per-noi”. Secondo un’opinione diffusa, tale passaggio conduce immediatamente dal realismo all’anti-realismo, ma non è così. Se ciò che esiste è auto-sussistente, non può dipendere dall’osservazione o da altre attività di riconoscimento per essere ciò che è. Ne segue che potrebbe esistere anche senza che nessuno fosse in contatto - dal punto di vista mentale e concettuale - con esso. Questo è il nucleo del realismo metafisico, ed è precisamente quello che l’anti-realista nega. Si tratta indubbiamente di una disputa circa ciò che si può dire che esista, ma il realista metafisico si sente obbligato ad aggiungere: è una disputa circa ciò che potrebbe esistere anche quando non fossimo in una posizione tale da dire alcunché a questo riguardo. Siamo insomma di fronte ad un problema di metafisica, piuttosto che ad un’argomentazione concernente una definizione logico-linguistica. La verità è, nella filosofia contemporanea, un concetto essenzialmente semantico. Tuttavia le restrizioni riguardanti il significato, riguardanti ciò che può essere ammesso come vero in un linguaggio, presentano sempre implicazioni metafisiche. Una teoria verificazionista del significato attribuisce alla metafisica la patente di non-senso, poiché i suoi enunciati non risultano verificabili adottando “certi” criteri scientifici (lo si noti: “certi” equivale a “relativi ad un particolare periodo storico”). In ultima istanza, tuttavia, le considerazioni che riguardano quello che si può dire in modo significante, comportano necessariamente il prendere in considerazione ciò che si può dire tout court. È importante notare che l’adeguatezza del linguaggio nel descrivere la realtà, e lo status della realtà indipendentemente dal linguaggio, non sono questioni logico-linguistiche. È possibile che una preoccupazione esclusiva per il linguaggio conduca ad avvicinarsi all’idealismo. Accade quando si afferma che nulla esiste a meno che non possa essere espresso nel linguaggio. La realtà diventa la realtà-così-come-viene-rappresentata dal linguaggio. E quando la “mente” viene equiparata a “capacità linguistica”, la somiglianza con l’idealismo diventa evidente.
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