Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il perenne desiderio di prevedere il corso della storia

Condividi

Perché è così difficile, per non dire impossibile, prevedere il corso futuro della storia?

La risposta più ovvia rimanda ai limiti delle nostre capacità cognitive, anche se non tutti accettano il fatto che tali limiti siano in buona sostanza invalicabili.

Molti sono disposti a riconoscere che non si può prevedere il destino di un individuo, ma per vari motivi alcune tendenze comuni alla filosofia e alle scienze sociali non rinunciano all’obiettivo di formulare previsioni attendibili quando esse riguardano entità complesse come società, nazioni e imperi.

Si tratta di un sogno antico, presente in quanto tale sin dalle epoche più remote.

Nonostante gli insuccessi il sogno continua a essere perseguito anche ai giorni nostri. Pare insomma che l’uomo non sia disposto a cedere.

Dal momento che siamo noi a fare la storia e ad esserne i protagonisti, deve pur esistere un “metodo” in grado di condurci alla previsione storica, proprio come c’è (secondo alcuni) il metodo che consente di prevedere, entro certi limiti, i fenomeni naturali.

Il fascino che questo modo di pensare esercita sull’animo umano è perenne. Ne troviamo già tracce nelle civiltà antiche, che diventano poi più consistenti nel pensiero greco.

 

La situazione è piuttosto nota ed evito quindi di fornire troppi dettagli limitandomi ai tempi più recenti.

Si noti che non sto parlando di autori come Gibbon, che analizza le cause di declino e caduta dell’impero romano. Con lui si può non concordare circa le cause, ma è chiaro che in casi come questo non s’intende tanto prevedere il futuro, quanto comprendere perché la storia passata ha assunto un certo corso piuttosto che un altro.

Si tratta comunque di fatti già avvenuti, registrati e, pertanto, accessibili all’interpretazione dello storico.

Il fascino perenne della previsione storica è invece chiaramente percepibile negli scritti di altri studiosi. Si pensi ai grandi affreschi delineati da Arnold Toynbee e Robin Collingwood e, soprattutto, da Oswald Spengler in Il tramonto dell’Occidente. Qui siamo di fronte al tentativo di individuare per l’appunto un metodo in grado di farci capire “come andranno le cose”.

La storia passata può fornirci gli elementi per prevedere quella futura. Spengler, in particolare, era convinto che gli avvenimenti storici abbiano un andamento ciclico, ragion per cui in base alle sue analisi sarebbe possibile capire con precisione se la civiltà nella quale viviamo è nella fase iniziale, di apogeo o di declino.

Notissime sono anche le critiche feroci che Karl Popper ha rivolto a questo modo di concepire la storia, da lui definito sbrigativamente come “storicismo”. Il che ha poi causato una notevole confusione, poiché tale termine denota piuttosto una particolare corrente filosofica fiorita tra ’800 e ’900 soprattutto in Germania (Dilthey, Weber, Simmel) ma anche in Italia (Croce).

La confusione di cui parlavo è dovuta al fatto che lo storicismo inteso come corrente filosofica non ha molti punti di contatto con l’accezione popperiana del termine, e su questo punto la discussione è tuttora in corso.

Ciò che più interessa ai nostri fini, tuttavia, è notare che il fascino per la previsione storica coinvolge anche molti filosofi, politologi e storici contemporanei. In questa direzione si muove, in fondo, il criticatissimo Francis Fukuyama con il concetto (hegeliano) di “fine della storia”. Fatte le debite differenze lo stesso si può dire di Samuel Huntington, autore del celebre volume Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, e di Paul Kennedy con il suo Ascesa e declino delle grandi potenze.

Proprio Kennedy, in un’intervista al “Corriere della Sera”, affermò di progettare una seconda edizione del suo libro (l’originale è del 1988) poiché, ci dice, «nell’ultimo quarto di secolo il mondo è molto cambiato».

Lo storico inglese, che è assai più umile di Spengler, riconosce di non aver azzeccato parecchie previsioni. Eccone due.

Nel volume dianzi citato predisse al Giappone un futuro da superpotenza, mentre il Paese asiatico è in ristagno dal 1990. Non previde inoltre il crollo dell’Unione Sovietica, pur individuando i molti fattori che ne facevano presagire la crisi.

Ma qui Kennedy è in buona compagnia. Quasi tutti, negli anni ’80 del secolo scorso, avevano capito che l’Urss era una superpotenza militare afflitta da una grave crisi sociale ed economica. Nessuno però riuscì a intravedere un’implosione così subitanea e repentina come quella che poi si verificò. Quali i motivi?

Kennedy non li precisa, ma a me pare di poter dire che non si può prevedere il futuro quando abbiamo a che fare con entità collettive esistenti. Troppi sono i fattori in gioco e troppo evidenti le conseguenze inintenzionali delle azioni umane.

Un altro esempio. È di moda oggi discettare della crisi degli Stati Uniti e del possibile avvento della Cina come superpotenza dominante. Quando si parla con politici, diplomatici e accademici Usa si percepisce quasi un senso di “stanchezza”, una rassegnazione impensabile, per esempio, ai tempi di Ronald Reagan e persino in quelli – assai più vicini – di Bill Clinton. E tuttavia non è detto che gli Usa siano avviati verso un declino certo.

La Cina è sicuramente un concorrente pericoloso, ma occorre vedere fino a che punto il regime che oggi la domina riuscirà a contenere i conflitti sociali latenti da un lato, e la spinta all’occidentalizzazione dall’altro (particolarmente forte nelle nuove generazioni).

Kennedy, a differenza di Fukuyama, è molto prudente ed evita di formulare previsioni di lungo respiro, limitandosi a considerazioni minimali che tutti, o quasi, possono condividere.

E fa certamente bene, visto che nessuno è mai riuscito a fare previsioni certe sul corso futuro della storia. Eppure resta alla fine un senso di delusione e di scontento: a ognuno di noi piace pensare che ci siano “teste d’uovo” in grado di dirci con una certa sicurezza cosa accadrà nei prossimi 50 o 100 anni.

Il fatto è che, se si vuole qualcosa di quel tipo, filosofia, storia e politologia non bastano. Bisogna ricorrere alla fantascienza. Proprio così, per quanto possa sembrare incredibile. E in particolare occorre leggere le opere di Isaac Asimov, il più grande scrittore di fantascienza del secolo scorso che probabilmente resterà insuperato anche nel nostro.

Nel ciclo asimoviano della Fondazione troviamo infatti Hari Seldon, scienziato ideatore della “psicostoria”. Quest’ultima è una disciplina che, grazie all’uso di metodi matematici e statistici, può prevedere sul piano probabilistico l’evoluzione futura della società.

Naturalmente vi sono limiti. In particolare si applica solo quando è disponibile un numero assai elevato di intelligenze umane che non devono essere al corrente delle predizioni psicostoriche, né è compatibile con la presenza di alieni o mutanti.

E infatti la comparsa del Mulo, individuo mutante non controllabile, sconvolge ogni piano mettendo in grave pericolo il progetto seldoniano di indirizzare secondo certi criteri lo sviluppo futuro dell’umanità.

Ovviamente Seldon è un personaggio di fantasia e la psicostoria è una scienza immaginaria, anche se molti sostengono che in futuro si potrebbe elaborare qualcosa di simile. Ora non ne disponiamo. Per fortuna secondo alcuni, sventuratamente a parere di altri.

È chiaro, in ogni caso, che una vera previsione storica sarebbe possibile solo se vivessimo nei romanzi di Asimov. Dovendo condurre le nostre esistenze nel mondo reale, occorre rassegnarsi al fatto che, per dirla col titolo di un libro di Karl Popper e Konrad Lorenz, il futuro è aperto.

 

 

Statistiche

Utenti registrati
136
Articoli
3164
Web Links
6
Visite agli articoli
15138795

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 330 visitatori e nessun utente online