Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Papa Bergoglio, la lettera di Paolo Apostolo ai Galati e il mondo ebraico

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La Galazia, provincia romana aspra e montuosa nel cuore dell’antica Anatolia, era stata raggiunta dal Vangelo molto prima della distruzione di Gerusalemme, avvenuta ad opera delle falangi romane comandate da Tito, nell’anno 70.1

In quell’occasione Gerusalemme fu devastata, il Tempio raso al suolo e il vessillo dei legionari innalzato sulla Porta Orientale (checché ne vogliano dire le solite Jene ridens che imperversano sul web).

La Provincia era stata attraversata da Paolo Apostolo nel corso del suo secondo viaggio missionario, che lo aveva condotto ad Atene e a Corinto (Atti 16:6) e ancora nel terzo viaggio, quando aveva percorso «di luogo in luogo il paese della Galazia e la Frigia, confermando tutti i discepoli». (Atti 18:23)

Il Nuovo Testamento contiene una lettera di Paolo indirizzata alle Chiese della Galazia, composta di sei capitoli, presumibilmente scritta intorno alla metà del primo secolo.

«Il papa in due occasioni ha citato la Lettera ai Galati, testo che crea grande tensione tra cristiani ed ebrei.» Inizia così il lungo articolo in data 5 settembre 2021 di Vittorio Robiati Bendaud, coordinatore del Tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, pubblicato da Formiche.net.2

 

Non appena Papa Bergoglio cita la lettera di Paolo Apostolo ai Galati c’è sempre una parte del mondo ebraico – quella più attenta ai rapporti col Vaticano - che va in fibrillazione. Che sarà mai questa lettera ai Galati?

L’apostolo Paolo aveva appreso la notizia che alcuni intrusi si erano insinuati nelle chiese della Galazia insegnando che si, la giustificazione si ottiene per la fede, ma che quella era insufficiente, e che si dovevano aggiungere le opere della legge, anche quelle esteriori quali la circoncisione.

Così facendo tentavano di sovvertire il Vangelo di Cristo, causando gran turbamento nelle chiese.

«Io mi meraviglio che così presto voi passiate da Colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. Il quale poi non è un altro vangelo; ma ci sono alcuni, che vi turbano e vogliono sovvertire l’Evangelo di Cristo. Ma quand’anche noi, quand’anche un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che v’abbiamo annunziato, sia egli anatema.» (Gal. 1:6-8) Quella è l’occasione dello scritto.

Preliminarmente l’apostolo chiarisce di aver non aver ricevuto il Vangelo da alcun uomo, ma per rivelazione diretta di Gesù Cristo.

Così, spiega alle chiese della Galazia che dopo la sua conversione a Damasco si recò in Arabia, di nuovo a Damasco e - decorsi tre anni - a Gerusalemme, dove non incontrò alcuno degli apostoli ad eccezione di Cefa, con il quale stette per quindici giorni, e di Giacomo, il fratello del Signore.

Da quel momento, prima di tornare a Gerusalemme, dopo essere stato in Siria e in Cilicia, trascorsero altri quattordici anni ma anche qui, dove operavano gli Apostoli, dovette sostenere un’aspra lotta contro i falsi fratelli che vi si erano infiltrati.

«Ma neppur Tito, che era con me, ed era greco, fu costretto a farsi circoncidere; e questo a cagione dei falsi fratelli, introdottisi di soppiatto, i quali s’erano insinuati fra noi per spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, col fine di ridurci in servitù. Alle imposizioni di costoro noi non cedemmo neppur per un momento, affinché la verità del Vangelo rimanesse ferma tra voi.» (Gal. 2:3-5)

Nella circostanza la Chiesa che era in Gerusalemme prese atto della divisione dei compiti voluta non dagli uomini, ma da Dio stesso: a Paolo l’evangelizzazione degli incirconcisi e a Pietro quella dei circoncisi.

Lo scopo della lettera è quello di fare chiarezza su un tema fondamentale: la giustificazione si ottiene unicamente per la fede e non mediante l’osservanza della legge e di mettere in guardia coloro che avevano creduto affinché non cadessero nella trappola dei sobillatori.

«Noi che siam Giudei di nascita e non peccatori di fra i Gentili, avendo pur nondimeno riconosciuto che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma lo è soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù affin d’esser giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della legge; poiché per le opere della legge nessuna carne sarà giustificata…perché se la giustizia si ottiene per mezzo della legge, Cristo è dunque morto inutilmente»(Gal. 2:15-21).

E quindi il solenne rimprovero: «O Galati insensati … avete voi ricevuto lo Spirito per via delle opere della legge o per la predicazione della fede?» (Gal 3:2)

L’esempio viene da Abramo il quale «credette a Dio e ciò gli fu messo in conto di giustizia» (Gal. 3:6) avendo ricevuto, ben 430 anni prima che fosse promulgata la legge sull’Horeb, la promessa: «In te saranno benedette tutte le genti».

«Talché la legge è stata il nostro pedagogo per condurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede. Ma ora che la fede è venuta, noi non siamo più sotto pedagogo; perché siete tutti figliuoli di Dio, per la fede in Cristo Gesù…. Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. E se siete di Cristo, siete dunque progenie d’Abramo; eredi, secondo la promessa». (Gal. 3:24-26)

Dunque, Io, incirconciso che ho creduto in Cristo, giustificato per la fede, sono divenuto figlio di Abramo per la promessa. Dov’è lo scandalo?

Eppure tutto questo per il Vaticano suona come un’eresia: la giustificazione si ottiene mediante una commistione di fede (in chi o in che cosa?) e opere, con il concorso delle sofferenze, anch’esse personali, viste come meritorie e dopo un periodo indefinito da trascorrere in un inesistente purgatorio, con il suffragio di messe e preghiere.

Anche per l’ebraismo le affermazioni di Paolo Apostolo sono eretiche. Un ebreo, figlio di ebrei, un tempo estremamente zelante nelle tradizioni dei padri, che ha respirato ebraismo sin dalla fanciullezza, non doveva scrivere tali spropositi!

Eppure, nonostante l’abisso teologico e culturale che separa il mondo cattolico da quello ebraico, la pulsione al dialogo si fa sempre più forte.

Ma com’è possibile che vittime e carnefici, persecutori e perseguitati, carcerieri e segregati nel corso dei secoli, si incontrino attorno a un unico desco? Papa Bergoglio, che tanta familiarità ha con i dittatori e i terroristi, potrà mai fraternizzare con le pecore che quegli aspirano a macellare?

Qua dovrebbe valere l’antico adagio calabrese che non ha bisogno di traduzione: «Crapi gemiti e pecuri ciangiti ca lupi e cani si sunnu fatti amici».

La mia preghiera più fervida è che Israele si riunisca sotto l’unico vessillo a cui deve la sopravvivenza, il ritorno nella terra dei Padri dopo duemila anni e la Nazione: il Dio di Giacobbe, e che rinverdiscano i giorni di Nehemia, quando tutto il popolo, uomini, donne e tutti quelli che erano capaci d’intendere, si radunarono come un sol uomo sulla piazza ch’è davanti alla porta delle acque, chiedendo ad Esdra di leggere il libro della legge. Ascoltavano tutti con le orecchie tese, stando in piedi, e piangevano (Nehemia, cap. 8).

E per i cattolici di buona volontà, che vadano ai Vangeli, scavalcando le trincee, i fossati e le muraglie costruitevi intorno dalla perversione umana al solo scopo di renderne inaccessibile la comprensione.

Al difuori di quelli ogni Gesù Cristo che viene raccontato, pubblicizzato, illustrato, ritratto, fosse anche da un angelo del cielo, non può che essere un falso.

 

 

1. V. Robiati Bendaud, Cosa non va nel dialogo tra cristiani ed ebrei, Formiche.net, 05/09/2021.

2. C. Rinaudo, Atlante storico. Il mondo antico, I parte, Paravia, Torino, 1955.

Tutte le citazioni provengono dalla Bibbia versione Riveduta (Luzzi) stampata a cura della Società Biblica Britannica e Forestiera, Tip. R. Coppini & C, Firenze, 1969 e principalmente dall’epistola ai Galati, pp. 953 - 958.

 

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