Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Nuove ipotesi sulle origini della Collegiata di Manduria

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«Chiesa importantissima questa, per la storia e per l’arte: riedificata nell’XI secolo; rifatta ed ampliata a tre navate nel XV, ed ingrandita a cinque navate con grande presbiterio ed abside monumentale nel XVI secolo.»1

Con questa descrizione l’architetto Lorenzo Cesanelli apriva la relazione sui lavori di restauro della Chiesa Collegiata di Manduria, comunemente nota come Chiesa Matrice, da lui eseguiti negli anni ‘30 del secolo scorso.

Nel rapidissimo passaggio introduttivo egli illustrava, molto sinteticamente, le principali fasi costruttive dell’edificio sacro, per la cui precisa individuazione però non vi sono ancora state indagini sufficienti, tali da colmare le troppe lacune.

Indubbiamente, la lacuna più grande riguarda l’ampiezza ed anche l’ubicazione, rispetto all’attuale, della chiesa originaria, o almeno di quella di età normanna della fine dell’anno Mille, visto che molti considerano l'edificio come il risultato di una ricostruzione effettuata su una precedente struttura paleocristiana o bizantina.

 

Orbene, proprio la consistenza della chiesa medievale é avvolta ancora da fitte nebbie, sebbene generalmente si ritenga che fosse di dimensioni più ridotte dell’attuale e delimitata soltanto all’area dell’odierno presbiterio e della sottostante cripta.

Ma a ben guardare la comune opinione sarebbe da rivedere, in quanto già le due arcate ogivali, finora non sufficientemente valorizzate dagli studiosi, che si fronteggiano (con i relativi due capitelli superstiti, databili probabilmente all’età romanica) nella zona di accesso al coro (o presbiterio), individuate e riportate alla luce da Cesanelli durante i lavori di restauro, fanno pensare ad un interno più ampio, con impianto basilicale già articolato a tre navate, divise da archi a sesto acuto sostenuti da colonne (correnti al posto degli attuali archi doppi a tutto sesto).

Il tutto secondo modelli pure presenti in zona, quali la chiesetta di S. Maria dell’Alto nelle campagne di Campi Salentina (in cui, però, le arcate sono sorrette da pilastrini e non da colonne), quella di S. Maria d’Aurìo, verso Surbo, quella di S. Maria delle Cerrate a Squinzano, per citarne solo alcuni.

E, stante la minore apertura dei due archi acuti rispetto a quelli a tutto sesto, è verosimile ipotizzare, anche, che la pianta originaria della nostra Matrice, pur strutturandosi in una ripartizione costituita da cinque arcate sorrette da colonne (poi mantenuta nel progetto di ampliamento quattro-cinquecentesco), fosse di lunghezza inferiore rispetto all’attuale, ragion per cui la reimpostazione delle navate del tempio sulle nuove arcate avrebbe condotto, automaticamente, ad un prolungamento dell’edificio verso ovest. 

Conseguentemente, la facciata originaria della chiesa doveva esser collocata molto prima di quella odierna, forse in allineamento con l’antica via (di probabile impianto medievale) che corre ancora, trasversalmente all’asse longitudinale dell’edificio, sul lato destro.

L’imbocco della strada (ossia l’attuale Vico Campanile) si trovò, presumibilmente, arretrato rispetto al successivo prolungamento della chiesa, e per consentirne la comunicazione con la piazzetta antistante (lo slargo di Via Marco Gatti, su cui affaccia l’edificio sacro) fu forse tracciato l’altro tratto al cui accesso è oggi posto un vecchio cancello in ferro.

Per quanto riguarda le navate dell’antica chiesa è lo storico locale Leonardo Tarentini a confermarci che erano tre.

La navata centrale dell’edificio medievale, sebbene più corta, se si considera la distanza che intercorre tra le due arcate ogivali rimaste, doveva avere una larghezza più o meno eguale a quella odierna, e forse terminare, in fondo, con un’abside più sobria di quella presente, a tutta vista dall’esterno.

Le due navate laterali invece (che un tempo erano esterne ed ora, dopo l’apertura, nel XVII secolo, delle altre due, sono divenute interne) forse erano più strette delle attuali e potrebbero esser state allargate, nel corso dell’intervento quattro-cinquecentesco, spostando i muri laterali.

Tornando invece alle arcate a sesto acuto, che, a questo punto, sarebbero le sole sopravvissute ai lavori di ampliamento, sempre il Tarentini (il quale attinge questa ed altre notizie dal Campione della chiesa) riferisce che «le due porte che dal pianerottolo del coro conducono alla sacrestia, l’altra sul campanile, non esistevano affatto, vi erano in vece …due archi fatti alla francese (a sesto acuto, n.d.a.)  in cui sono due coretti a diametro, sostenuti da tre colonnette, che formano due archi piccoli fatti di pietra di Carovigno».2

Quei due ingressi furono, secondo lo storico, chiusi nel ‘700 con muri di tamponamento, all’interno dei quali furono ricavate le due porte attuali, mentre le strutture preesistenti, in base alla descrizione appena trascritta, sembrerebbero essere delle loggette praticabili incluse nelle arcate, inserite in una struttura che richiama quella di una finestra bifora.

Restando sempre all’interno della chiesa, i resti di antiche colonne polistili, poste ai quattro angoli dell’attuale presbiterio (che sembrava realizzato nel XVI secolo), rinvenuti a seguito dei saggi di Cesanelli, e sui quali si impostano le quattro alte colonne che ora sorreggono la volta a crociera, fanno pensare ad un’ambiente precedente di dimensioni e funzioni analoghe, insistente sulla pianta dell’attuale (con il quale doveva forse raccordarsi direttamente la navata centrale della chiesa medievale), demolito per ragioni statiche (magari per un crollo legato ad eventi sismici), o per altre che non ci sono ancora note, e poi ricostruito.

Della stessa ampiezza sarà sempre stata la chiesetta sotterranea o cripta che solitamente, negli edifici sacri dello stesso periodo, corrisponde all’area del presbiterio.

Tutti questi resti architettonici dovrebbero portarci a rivedere quanto sostenuto dal Tarentini, secondo cui, invece, il presbiterio sarebbe stato eretto negli anni 1540-1560 in quanto “non avendo i sacerdoti opportuna località per la Divina Salmodia, vennero nella determinazione di costruirsi il coro” e poiché «si voleva però che avesse un piano più elevato di quello della chiesa… (si) ideò la chiesolina sotterranea».3

Diversamente da quanto ritiene lo storico conterraneo, é assai più probabile, invece, che la struttura, sebbene con forme diverse, già preesistesse e che nel ‘500 sia stata semplicemente ricostruita, ciò anche seguendo l’opinione di Cesanelli per il quale «il grande presbiterio che sembrava terminato nel 1560, mentre dai miei saggi è stato rivelato in due netti periodi (tenuto conto dei) resti di antiche colonne polistili poste ai quattro angoli e occultate dal coro ligneo di fine ottocento».4

Si potrebbe pure pensare ad una costruzione di forme gotiche avviata nel ‘400, coeva alla torre campanaria, sospesa per insufficienza di mezzi economici e poi ripresa e portata a termine nel secolo successivo con qualche variazione stilistica che avrebbe comportato l’abbandono delle erigende colonne polistili. Ciò potrebbe pure spiegare il motivo per cui sempre Tarentini riferisce che il presbiterio originariamente non comunicava con la chiesa e che questa sarebbe stata aperta nel 1560 «togliendo l’altare maggiore e trasportandolo ove presentemente si vede quello di marmo».5

Passando all’esterno, invece, è probabile che della facciata originaria della chiesa, in stile romanico, poi demolita e ricostruita sempre nel ‘500 in posizione più avanzata, restino solo i due leoni in pietra, con probabile funzione stilofora che, all’origine, dovevano fungere da basamento ad un piccolo protiro. Ciò sebbene vi siano, a mio modesto avviso, ragioni per ritenere che nell’attuale portale gotico-rinascimentale, opera del maestro Raimondo da Francavilla, possano esserci pure altri elementi architettonici di quello antico, reimpiegati per la realizzazione del nuovo.6

I leoni in pietra, più vicini, per la loro posizione, ai modelli dell’Italia centro-settentrionale, sono raffigurati accosciati su piedistalli e costituiscono un’anomalia rispetto a quelli presenti in altre chiese pugliesi che, solitamente, protendono l’avancorpo dal muro e sono sostenuti da mensole sporgenti.

Il frontespizio attuale, comunque, segue sempre, nella sagoma, un modello di età romanica, che è quello della facciata mocuspidata ripartita da bande pilastrate, con ciò conservando, probabilmente, l’impostazione di quello precedente che tuttavia Tarentini descriveva come incompiuto, nel senso che non sarebbe stato mai ultimato.

Il grande e ricco rosone, invece, dovrebbe aver preso il posto di uno più piccolo, forse costituito da un oculo, aperto sulla cuspide dell’antica facciata romanica, che proiettava la luce nella navata centrale della chiesa. 

La circostanza è confermata dal Tarentini, secondo cui l’antico frontespizio «aveva pure nel centro un finestra di forma sferica molto più piccola della presente, provveduta di tela cerata per tramandare la luce in chiesa e difenderla dal vento e dalla pioggia.»7

Sempre per l’esterno è possibile ipotizzare che la chiesa medievale fosse munita, inizialmente, di un semplice campanile a vela. Questo sarebbe stato poi sostituito, nel Quattrocento, dall’attuale torre campanaria (collocata forse sulla linea dell’antica abside) che, prima dell’ampliamento della chiesa, doveva innalzarsi libera da tutti e quattro i lati, mentre attualmente i lati nord ed ovest sono occupati dalla successiva fabbrica. 

Il modello seguito per la torre, che ha perduto i piani più alti dopo il terremoto del 1743, è un in buona parte quello romanico con vari piani illuminati da finestre a partire dal secondo: una monofora per lato nel secondo e nel terzo, una finestra bigemina nel quarto. Tale distribuzione delle finestre, oltre che ad esigenze estetiche, rispondeva alla necessità di alleggerire gradualmente, procedendo verso l’alto, la pesantezza del muro.

Sempre risalente all’edificio medievale dovrebbe essere la prima sacrestia, illuminata da tre finestre, di  cui quella ad ovest, murata dopo la costruzione delle cappelle laterali (che compongono la navata esterna di sinistra), è una elegante bifora, mentre le altre due sono delle monofore, coronate da motivi decorativi costituiti da archetti dentellati.

 

 

 Note:

1. L. Cesanelli, Restauri ideali e progetti esecutivi. Roma, Istituto Grafico Tiberino, MCMLXVI.

2. L. Tarentini, Manduria sacra, D’Errico editore, Manduria, 1899, p.95. Per arco “francese” o “fatto alla francese” nei manoscritti degli antichi autori locali si intendeva appunto l’arco a sesto acuto, che probabilmente era ritenuto di importazione d’oltralpe, come lo stile gotico nell’ambito del quale ha avuto largo impiego. Su tale accezione del termine vedi pure Tarentini, cit., p.77, che a proposito della chiesetta della Madonna della Misericordia riporta lo stralcio di un manoscritto di Gregorio Schiavoni, cronista locale del sec. XVIII, il quale descrivendo la galleria sotterranea della cappella riferiva che «si vede tagliata ad arco francese», ossia a sesto acuto.

3. Tarentini, cit. p. 91. Il Campione del Capitolo della Collegiata Insigne di Manduria, più volte consultato dall’autore, è un grosso volume, conservato nell’Archivio capitolare, nel quale, annota l’autore, «…si descrive la chiesa, i legati annessi, i benefattori che la dotarono, la provenienza dei fondi.»

4. Cesanelli, cit.

Della stessa opinione è l’Arnò secondo cui «il Tarentini opina che questa cappella (n.d.a. la cripta sottoostente) sorse nella prima metà del ‘500 per sollevare il piano del presbiterio. Negli ultimi restauri dela Chiesa scoprendosi le antiche colonne a fianco della porta della sacrestia e di quella del campanile e le basi polistili degli antichi pilastr del presbierio, si è potuto constatare che il piano della vecchia fabbrica era quello che è attualmente». V. G. B. Arnò, Manduria e manduriani, Scuola Tipografica Antoniana, Oria, 1954, pp.34-35.

5. Tarentini, cit., p. 92.

6. Sull’argomento cfr. G. P. Capogrosso, Il portale del duomo di Manduria e il committente celato, Manduria Oggi, 4 ottobre 2019.

7. Tarentini cit., p.84.

Le immagini della Chiesa Matrice nell’ordine riproducono: il prospetto esterno; l’arcata finale a sesto acuto della navata interna di destra; particolare del capitello dell’arcata anzidetta con il presbiterio e l’abside sullo sfondo; interno della chiesa.

Si ringrazia per la gentile concessione delle fotografie l’amico dott. Salvatore Cimino.

 

 

 

 

 

 

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