Matilde Serao, una dedica al barone Vincenzo Pitocco
«Al barone Vincenzo Pitocco. Ogni persona, anche senza essere un artista, può creare un capolavoro: è quello della sua anima, della sua vita interiore Matilde Serao. Primavera del 1920.». È da quando ho avuto tra le mani questo documento, che penso alle parole scritte dalla Serao, a quanta sensibilità sia contenuta in questa semplice frase, e quanta conoscenza dell'animo umano e della psicologia Questa frase è una pennellata di speranza, un augurio ed insieme un’affermazione delle enormi potenzialità dell’animo umano disegnata sul foglio imbrunito dell'album degli ospiti, come ne avremmo trovati in ogni residenza nobile e borghese dell'epoca. Un nobile antenato del moderno selfie con dedica che ci facciamo in una serata qualunque passata con amici. Matilde, ormai famosa, avanti negli anni ma mai stanca, un po' delusa, ma mai doma, donna greca e napoletana dalle chiome ancora corvine e lucenti come l'ala di in corvo, come l'inchiostro della sua penna nero e ancora brillante come al tempo dei "Mosconi' de "Il Mattino". Donna di taglia forte, ma dal cuore fragile, donna imprenditrice, madre in guerra coi figli. Viveva un tempo assai complicato della sua vita caratterizzato da dispute legali per dissidi familiari che l'accompagnarono per sette anni ancora fino alla fine.
Ed io, con quella carta in mano, restituita dal tempo, la rivedo Donna Matilde e rivivo quella serata. Discesa con inaspettata agilità dalla solita carrozzella, salutati gli ospiti, si sarà seduta, raccolta e con una mano appoggiata al viso, al piccolo scrittoio nel salone del barone Pitocco. Avrà impugnato la penna e, chiudendo gli occhi, avrà scritto questa dedica, con la perizia di chi è allenata ad osservare le vicende umane, e a raccontarle. Una pittrice che con pochi tratti del suo pennello ti imprime un'emozione, fa cadere una scintilla d'anima su ciò che era un vuoto, un nulla. Il volto di Matilde è, infatti, sì quello di una donna stanca ma è il viso di chi ancora combatte per amore, piegata dalle difficoltà ma non vinta, sofferente nel corpo e nell'anima e tuttavia sempre indomita. Una donna che fa parlare il suo «cuore pensante». Aveva appena pubblicato il romanzo "evviva la guerra”, desiderando la pace e già si immergeva in un altro progetto ed ancora inseguiva il sogno del premio Nobel per la letteratura, che non si sarebbe mai avverato. In fondo, chi più di lei sapeva infondere con la sua arte speranza nell’animo, anche il più tormentato. Mai stanca, vulcanica, e fino alla fine fedele alla sua anima di scrittrice, tanto che la morte di lì a qualche anno (1927) l'avrebbe sorpresa così, seduta al suo scrittoio con la penna tra le mani, il suo cuore stanco ed enorme fermo, la testa reclinata dolcemente sul tavolo da lavoro. Fu trovata così Donna Matilde ed era mattina. Aveva lavorato dalla sera prima, aveva illuminato con l’arte il buio, aveva superato la notte.
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