Rodolfo d’Asburgo Lorena, la sofferenza di un reale liberale

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È risaputo che i traumi infantili lasciano segni indelebili nella psiche umana condizionando il normale sviluppo della personalità.

Un bambino inerme di appena cinque anni, costretto a vivere con un tutore che lo sottoponeva a torture psicologiche allo scopo di rafforzarne il carattere, non poteva diventare un uomo capace di affrontare le normali vicissitudini di una vita, figuriamoci poi quella di un principe ereditario della casa d’Austria.

Unico figlio maschio del potente imperatore austriaco Francesco Giuseppe e della leggendaria Elisabetta di Baviera, era nato il 21 agosto del 1858 nei castelli di Laxenburg, presso Vienna.

Le notti trascorse da solo al freddo e sotto la pioggia nei boschi di Linz, esposto a tanti pericoli, gli spari assordanti dietro la porta della sua camera e la lontananza dalla madre, secondo la logica dell’imperatore padre, erano delle prove di resistenza da impartire senza alcuna pietà allo scopo di formare e rafforzare il carattere di un valoroso soldato.

 

Il risultato fu lo sviluppo di una personalità complessata e dalla salute cagionevole.

Quando dopo anni di traumi irreparabili l’educazione del giovane fu affidata a Joseph Latour, un insegnante più coscienzioso, Rodolfo riuscì a coltivare dei sani interessi per gli studi e soprattutto uno spirito liberale che nel tempo lo mise in netta contrapposizione con il ferreo conservatorismo dell’imperatore Francesco Giuseppe.

Viaggiò e studiò tanto sviluppando delle discrete conoscenze scientifiche e soprattutto una visione politica spiccatamente “rivoluzionaria” e molto vicina agli ambienti socialisti. Scrisse articoli politici sotto falso nome, appoggiando la cultura indipendentista del “rinascimento ungherese” che, se da una parte gli fece guadagnare la stima da parte degli esponenti politici ungheresi tanto da volergli affidare la corona, dall’altra costrinse Francesco Giuseppe a ridurlo ad un mero ruolo di rappresentanza.

Eppure Rodolfo cercò tante volte di guadagnarsi la stima del padre sottoponendogli le sue opere scientifiche, idee e progetti che però finivano sistematicamente inconsiderati dal genitore arroccato nel suo egocentrismo.

Nel tempo il divario tra i due divenne insanabile ripercuotendosi sul carattere difficile e conflittuale del giovane principe che nemmeno nella madre riuscì a trovare una parvenza di conforto.

Elisabetta di Baviera, meglio conosciuta come la “principessa Sissi”, personaggio cinematografico reso celebre negli anni ’50 dall’attrice austriaca Romy Schneider, fu lei stessa insofferente alla disciplina di corte viennese ed alle politiche imperiali, tanto da allontanarsi dall’Austria per lunghi periodi cercando di superare crisi depressive ed un’anoressia di origine nervosa.

Intanto nel 1881, il 10 maggio, così come da rituale e per scelta diplomatica, Rodolfo fu costretto a convolare a nozze con Stefania del Belgio.

La sposa non era di una grande bellezza, tantomeno era ben vista dalla suocera e dalle cognate che la definivano «una torre ingioiellata, senza grazia e portamento».

Rodolfo, invece, nonostante la salute cagionevole, era un uomo decisamente affascinante, dai lineamenti delicati, il personale statuario e lo sguardo eloquente. Raccontavano tutta la sua storia quegli occhi cerulei patinati di tristezza. C’era ancora quel bambino impaurito dietro quella divisa militare e gli alti gradi di comando. C’era lui, un uomo con tutto il suo bisogno di amore e soprattutto di considerazione.

Forse per sopperire alle mancanze affettive, forse per un’iniziale condivisione di intenti, il principe riuscì a legarsi alla giovane moglie vivendo un periodo se non felice, almeno più sereno.

La scambio di lettere intercorse tra i due testimonia la tenerezza sincera, il desiderio di vicinanza vissuto da entrambi quando lui era costretto a partire per esigenze diplomatiche. Stefania, almeno all’inizio, corrispondeva con amore, desiderosa di partecipare attivamente alla costruzione di un rapporto felice cementato anche dalla nascita di una bambina.

Ma purtroppo fu una parentesi di breve durata. Le insicurezze caratteriali, la volubilità e la vita libertina che Rodolfo aveva condotto prima del matrimonio ripresero qualche tempo dopo con conseguenze drammatiche sia sul piano fisico che nella sfera coniugale.

Assiduo frequentatore di case di tolleranza, il principe contrasse la gonorrea, una malattia venerea provocata da un batterio in grado di infettare le vie uretrali. La malattia segnò la fine del matrimonio con Stefania, anch’ella contagiata irreparabilmente tanto da rimanere sterile. L’impossibilità di assicurare un erede maschio alla discendenza diretta degli Asburgo-Lorena si ripercosse drasticamente sulla monarchia di Francesco Giuseppe, rendendo ancora più profondo il divario tra l’imperatore e il figlio.

Le uniche consolazioni di Rodolfo rimasero l’alcool e l’amante amica, Mizzi Kaspar, un’attrice che per anni raccolse le confidenze personali del principe ed alleviò i suoi momenti di sconforto.

I passi di riavvicinamento a Stefania più volte tentati da Rodolfo furono del tutto vani e a nulla valsero gli interventi di amici e parenti. Stefania, troppo delusa e mortificata, aveva già trovato conforto tra le braccia di un amante, il conte Elmer de Lonyay. L’amore per Rodolfo, se mai fosse nato, era irrimediabilmente finito.

Alcool, morfina, ore ed ore di solitudine. La vita di Rodolfo sprofondò in un abisso esistenziale buio e disperato. L’ossessivo pensiero della morte divenne onnipresente in ogni suo pensiero. Andò per mesi alla ricerca di qualcuno che volesse condividere con lui l’esperienza del suicidio: lo chiese all’amica Mizzi e ad altri confidenti, ma tutti cercarono di dissuaderlo da quel tragico proposito.

Il male fisico andava di pari passo con quello mentale. Le forti dosi di morfina per ledere i dolori diffusi in tutto il corpo avevano fatto di lui un tossicodipendente incapace e inaffidabile. Perse di credibilità anche politicamente, deludendo le aspettative di quegli ungheresi che avevano visto in lui un monarca illuminato e capace di attuare riforme che avrebbero segnato la storia.

Qualcuno aveva sperato in un redivivo Giuseppe II, il figlio di Maria Teresa, che cento anni prima aveva dato all’Impero delle leggi illuminate pur se troppo avanguardistiche. Ma quella di Giuseppe fu un’altra storia ed un destino completamente diverso.

Rodolfo non aveva avuto intorno una famiglia amorevole, tantomeno la possibilità di interferire nelle questioni politiche, tutte accentrate nelle mani del padre. Giuseppe era stato imperatore dapprima al fianco della madre e poi da solo dimostrando grandi capacità e realizzando notevoli opere. Ciononostante nel dettare l’epitaffio da incidere sulla sua tomba volle far scrivere «Qui giace Giuseppe II, colui che fallì qualsiasi cosa che intraprese».

Giunto ad un punto di non ritorno, Rodolfo, invece si arrese e vide nella morte l’unica soluzione a tutte le sofferenze. La sentì approssimarsi quando sullo stentato cammino incrociò una giovane donna disposta ad accompagnarlo in quell’ultimo drammatico viaggio.

Si è tanto detto e scritto sulla baronessa Maria Vetsera, l’ultima amante del principe ereditario. Qualcuno con la fantasia di un romanziere ha cercato trasformare la breve relazione tra i due nella storia romantica di un amore folle, irrefrenabile, travolgente, che spinse addirittura il principe a chiedere il divorzio da Stefania per poter coronare quella fiaba troppo ovvia e stucchevole. E tutto questo per travisare una verità ben diversa.

La baronessa diciassettenne fu in realtà una delle tante amanti che costellarono la vita di Rodolfo. È indubbio che, data l’età e la portata del principe, ne fu infatuata oltre ogni ragionevolezza, tanto da essere disposta ad assecondare qualunque follia pur di legarsi a lui per sempre.

Dopo aver ricevuto l’ennesimo schiaffo paterno in seguito alla richiesta di divorzio, consensualmente ricercato anche da Stefania, Rodolfo era giunto all’apice della depressione. La penosa compassione degli amici si era resa gelidamente tanto palpabile quanto insopportabile. Stefania era ormai troppo lontana sentimentalmente per recuperare o per dissuaderlo da un gesto estremo e così gli altri familiari. Tutti avevano preso le distanze da quell’uomo malato, folle e sull’orlo dell’abisso.

Mayerling e Maria furono allora l’ultima spiaggia. Rodolfo pianificò nei dettagli un macabro rituale con lucida follia. Scrisse lettere di addio indirizzate a tutti i familiari, tranne che al padre, a dimostrazione di un perdono mai concesso.

La giovane e ingenua Maria lo raggiunse lontano da Vienna, nella tenuta di Mayerling pronta ad unirsi al suo principe nell’eterno abbraccio della morte. Ne era consapevole? Dall’ultima lettera alla madre pare di si.

Rodolfo mise fine dapprima alla vita di Maria a colpi di rivoltella. Ne ricompose il corpo adagiandolo sul letto con le mani congiunte sul petto. Lasciò poi trascorrere un po’ di tempo osservando calare sul quel giovane volto il pallido velo della morte, il sangue arrestarsi nelle vene, e quel respiro rantoloso smorzarsi per sempre. Poi rivolse l’arma verso se stesso e senza alcun rimpianto la puntò alla tempia. Un solo colpo, la e in uel gelido mattino calò il sipario su una monarchia secolare.

Era cominciata nel 1273 con un Rodolfo d’Asburgo, e con un Rodolfo finì il 30 gennaio del 1889.

Appena trentenne il principe ereditario mise fine alla sua vita così come l’aveva vissuta. Quei colpi di rivoltella che da bambino lo avevano tante volte risvegliato nel cuore della notte furono forse il presagio di quell’ultimo sparo. Non supererò mai quelle paure, le angosce, la mancanza di affetti e gli incolmabili vuoti esistenziali, fino a lasciarsi sopraffare dalla mano armata del fantasma di se stesso.

La notizia sconvolse la corte imperiale. Paura, vergogna, sgomento. Corsero le più disparate versioni sull’accaduto alimentando intrighi e leggende. Addirittura in Ungheria ci fu chi mise in dubbio la vera morte del principe pensandolo nascosto da qualche parte sotto falso nome. Non mancarono le dicerie sullo stesso suicidio che si disse fosse stato architettato per coprire un assassinio ordito dall’imperatore padre.

In effetti per arginare l’inevitabile scandalo, subito dopo l’accaduto furono ufficialmente diffuse delle false notizie, attribuendo la causa della morte ad un attacco cardiaco. D’altronde non era tanto difficile in quelle circostanze falsificare i referti medico-legali. Inoltre, per insabbiare la relazione con Maria Vetsera, il cadavere della giovane venne tradotto in un cimitero lontano in tutta segretezza.

Poco tempo dopo Francesco Giuseppe trasformò la tenuta di Mayerling in un convento penitenziale delle suore carmelitane, per riparare al gesto sacrilego commesso dal figlio, ma non bastò questo a mettere a tacere le ipotesi più fantasiose e soprattutto ad arginare la sventura che da allora si abbatté sulla monarchia asburgica.

Elisabetta venne assassinata da un anarchico nel 1898. Stefania sposò il suo amante perdendo tutti i titoli imperiali, venne diseredata dal padre e rimase vedova pochi anni dopo.

Francesco Giuseppe resistette sul trono fino alla morte nel 1916. Il designato erede al trono, suo fratello minore, Carlo Ludovico, non governò mai e morì nel 1896.

Il di lui figlio Francesco Ferdinando venne assassinato a Sarajevo il 28 giugno del 1914 causando lo scoppio della prima guerra mondiale. Il titolo passò allora al nipote di quest’ultimo, Carlo, figlio dell'arciduca Ottone morto di sifilide nel 1906.

Carlo I d'Austria fu unico che riuscì a succedere a Francesco Giuseppe, ma per pochissimo tempo. Morì in esilio nel 1922.

Nel 1919 con il Trattato di Saint-Germain nacque la Repubblica d'Austria.

 

 

 

 

 

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