Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

I limiti del provincialismo italiano

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Essendo stata l’Italia per secoli in gran parte un paese agricolo, si sono stratificate sia tutte le qualità, sia tutti i limiti della mentalità contadina.

All’operosità quotidiana, giorno e notte, di uomini e donne si deve lo straordinario risultato storico di aver trasformato dovunque era possibile (anche in luoghi ardui e quasi impossibili) le terre italiane in giardini, capaci di dare sussistenza e orizzonti di maggiore benessere.

Ma le necessità e le ardue difficoltà della vita contadina, esposta alla precarietà delle condizioni meteorologiche ed ai vincoli sociali e culturali storici, spesso soffocanti, oppressivi, di tipo politico e religioso, hanno prodotto l’analfabetismo e l’incultura contadine.

A ciò si aggiunge il dogmatismo mentale, la superstizione religiosa e il loro difendersi con “la furbizia” dalle situazioni o per sfruttarle con la costante lamentazione, la critica spesso superficiale, schematica, la strategia di difesa, da cui deriva la famosa frase, realistica e cruda «piangere, piangere, piangere sempre, per ottenere o fottere», e infine la loro tendenziale caduta, di fronte alle inevitabili difficoltà del vivere e della condizione quotidiana dura, nella prepotenza, nella invidia sociale, nella cattiveria, nella violenza individuale, familiare e di clan.

Queste secolari tradizioni antropologiche sono state al fondo dell’endemico brigantaggio italiano e sono l’alimento ancora oggi di fenomeni criminali organizzati specialmente nelle Isole e nel Sud, date anche la lontananza e la marginalità geografiche di esse con aree di maggiore vivacità economica, sociale, culturale.

Questa è la zavorra storica da cui bisogna liberarsi, per poter avere, specialmente per le aree più caratterizzate dal fenomeno sopra descritto, processi di deciso e permanente progresso civile e culturale, oltre che economico.  

 

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