Il narcotico castrista
Il regime cubano ha cancellato ogni libertà. Una lunga dittatura che ha colpito ogni tentativo di espressione sociale indipendente, dagli oppositori politici agli omosessuali, passando per gli artisti autonomi. Il paese è stato vittima di esperimenti sociali ed economici devastanti che lo hanno ridotto in estrema povertà e terreno di turismo predatorio. La politica castrista ha declinato progetti imperiali con interventi in Africa e promozione di guerriglie ideologico-criminali che hanno insanguinato l’America latina. Il successo principale è stato il sostegno e poi il controllo del regime chavista venezuelano, un caso unico, nel XXI secolo, di costruzione autocratica-ideologica e narco-criminale visibile nei milioni di rifugiati che affollano anche le nostre città. Tutto questo per molti è invisibile, per altri un racconto inaccettabile. Si tratta di una delle poche narrazioni sopravvissute alla Guerra fredda. Un potente narcotico che offre una visione densa di stereotipi efficaci, dall’eterno ritornello degli americani (di cui nessuno conosce il tipo di sanzioni) a richiami anticapitalisti (a cui invece il regime aspira), fino ai sogni di leggende di liberazioni tropicali o di piovre nascoste (senza conoscere la politica del DA). I difensori del regime hanno comunque in comune due cose. Non accetterebbero mai di vivere poveri e oppressi come a Cuba, ma sono del tutto indifferenti a chi lotta per un po' di libertà o di vita migliore se non ha un marchio di provenienza.
Reinaldo Arenas, intellettuale e scrittore, fuggito da Cuba e giunto a New York, ne descrisse perfettamente il profilo. I suoi libri erano esclusi e boicottati da parte dell’establishment intellettuale, come per altri esuli, se non si piegava al racconto conformista filo-castrista. Tutti i migliori intellettuali cubani condividono queste battaglie. Esistono migliaia di libri, romanzi, canzoni, blog. Eppure sono ignoti a chi si esalta difendendo il regime. Come per Arenas, i nomi di Carlos Franqui o Armando Valladares e oggi Yoani Sánchez o Maykel Osorbo y El Funky non gli dicono nulla. Non gli interessa conoscere o comprendere tante e articolate testimonianze, potrebbero mettere in discussione un narcotico politico-emozionale che auto assegna sicurezza celebrativa e consente arroganza digitale. Meglio non vedere quindi, a patto però di non vivere come a Cuba.
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