Quelli che hanno combattuto contro la camorra
Non c’è un prima o un dopo. Non esiste una “politica dei due tempi” nella strategia di attacco alla camorra casalese costruita dalla Procura di Napoli. Giandomenico Lepore, il “grande capo”, come lo chiamano i suoi, tra due giorni andrà in pensione. Ieri era raggiante. “Ho chiuso in bellezza. I miei ragazzi e gli investigatori della Polizia mi hanno fatto il regalo più prezioso”, la cattura Michele Zagaria, l’ultimo grande capo dei casalesi. E’ lui ad aver stimolato l’analisi sulla vera natura del clan e ad aver disegnato, insieme a Federico Cafiero de Raho, il coordinatore della Dda napoletana, le strategie di attacco. L’organizzazione dei “casalesi” è un tutto unico, non c’è un’ala militare e una affaristico-politica. Non serve colpire prima un livello per poi arrivare a quello più alto e sofisticato. La violenza, gli omicidi, le stragi, il controllo ferreo del territorio, sono funzionali al rapporto con la politica. La capillarità dell’organizzazione nell’area aversana (il triangolo Casapesenna, San Ciprano D’Aversa, Casal Di Principe) serve ad eleggere consiglieri comunali, assessori, consiglieri provinciali e regionali, è indispensabile per portare deputati a Roma. E’ questa la strategia alla quale abbiamo assistito soprattutto negli ultimi anni, l’attacco deve essere unitario. Si arrestano picciotti e killer, ma anche i loro referenti politici sul territorio. Zagaria è il capo di un esercito, ma anche il grande imprenditore del cemento, degli appalti e della monnezza. La dimostrazione è nella straordinaria contemporaneità delle operazioni delle ultime quarantotto ore. Martedì mattina il blitz che ha colpito una serie di colletti bianchi (consiglieri comunali, funzionari di istituti di credito a Roma) e ha indotto i magistrati a richiedere nuovamente l’arresto dell’onorevole Nicola Cosentino, nella notte l’inizio delle operazioni per la cattura di Michele Zagaria. Una strategia vincente.
Terra bruciata intorno ai “casalesi”, non più invincibili, non più potere politico-criminale intoccabile. Iovine, Setola, oggi Zagaria, sono in galera e non usciranno più. Francesco Schiavone è chiuso in una cella per sempre. Sono finiti, le loro ricchezze vengono sequestrate a centinaia di milioni di euro. Ci sono voluti anni di lavoro, scelte coraggiose come quella di aprire una sezione distaccata della Squadra Mobile a Casal di Principe in una villa sequestrata a un boss. Ci sono voluti magistrati tenaci, cresciuti nella lotta ai casalesi, uomini che hanno resistito ai feroci attacchi dalla politica sferrati ogni volta che si osava mettere le mani nel vero potere di uomini come Capatosta, Sandokan, ‘o Cecato: il rapporto stretto con gli intoccabili che siedono nei consigli regionali e a Montecitorio. Per questo appaiono fuori luogo e pietose le parole di circostanza e i complimenti di Nicola Cosentino, Nick ‘o mericano, che oggi plaude allo sforzo delle forze dell’ordine e della magistratura. Ma ci sono altri uomini nell’inferno dell’Aversano che hanno vinto. Quelli che hanno combattuto, spesso con armi spuntate e a loro rischio, il potere dei casalesi. “Nel summit che anni fa la cupola del clan organizzò per decidere la mia eliminazione c’era anche Zagaria " Capastorta". Davo fastidio, c’era il processo Spartakus, dicevano che avevo acceso i riflettori, per questo Schiavone, Iovine e Zagaria si riunirono per risolvere il problema”. E’ una bella giornata per Lorenzo Diana, per anni senatore del Pci-Pds in Commissione antimafia. Vive ancora sotto scorta, perché ancora vogliono fargliela pagare. “Siamo invecchiati, io Renato Natale, ma ce l’abbiamo fatta”. Lorenzo ora è in Idv e continua il suo impegno antimafia, Renato Natale è nel Pd. E’ stato l’unico sindaco comunista di Casale, la camorra lo odiava, gli faceva trovare quintali di sterco di bufala davanti alla porta del Comune, lo minacciava, progettò attentati contro di lui. Renato non ha mollato, è medico e fa il volontario nelle associazioni che aiutano gli immigrati di colore. A Casal di Principe e nei paesi vicini sono nate cooperative sulle terre di camorra, ci sono giovani che lavorano, prodotti col marchio di Libera che ricordano don Peppino Diana, il parroco ucciso nella sua chiesa perché “in nome del Signore” decise di non tacere. Antonio Cangiano, invece, non ce l’ha fatta. Alla fine degli anni Ottanta era vicesindaco comunista a Casapesenna, il paese di Zagaria. Voleva mettere ordine negli appalti, il 4 ottobre del 1988 gli spararono e lo ferirono gravemente. Ha vissuto per anni su una sedia a rotelle prima di morire.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2011) |
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