Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Natale tra false teologie e verità evangeliche

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Ad ogni vigilia di Natale tutti diventano buoni, ma c'è sempre qualcuno che è più buono degli altri. 

Si moltiplicano presepi, alberi di Natale più o meno accuratamente addobbati e si fanno acquisti straordinari per alimenti e libagioni.

Qualcuno, per sentirsi più leggero, fa anche un poco di carità, preferibilmente per via telematica mediante interposte associazioni, magari religiose e di facciata, incessantemente martellati da lacrimevoli implorazioni pubblicitarie ma ignorando quale sia il vero significato di prossimo: colui con il quale si ha un diretto contatto umano fatto di amore, pietà e desiderio di lenire le altrui sofferenze.

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico …»  Anche qua il Vangelo ha qualcosa da insegnare.

Chi legge e ama i Vangeli non può che rimanere sconcertato difronte a tanta ipocrisia, superficialità, indifferenza e perché no, anche ignoranza della vera essenza del Natale.

«Or in quella medesima contrada v’eran de’ pastori che stavano ne’ campi e facean di notte la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore. E l’angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annunzio di una grande allegrezza che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, v’è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.» (Luca 2:8-11).1

 

Nella narrazione dei Vangeli le notizie riguardanti la nascita di Gesù sono poche ma ben circostanziate e saldamente inquadrate nel periodo storico.

I testi fondamentali sono il capitolo 1 e 2 del Vangelo di Matteo e i primi tre capitoli di Luca.

Al tempo di Re Erode (il Grande), in una oscura città della Galilea di nome Nazareth vivevano Giuseppe che di mestiere faceva il falegname e la sua promessa sposa di nome Maria.

Ambedue erano originari di una cittadella storicamente ben più importante, Betlemme, nella Giudea, che aveva dato i natali a Davide, figlio d’Isai, il quale aveva regnato su Giuda, dalla città di Hebron, per sette anni e sei mesi e poi su tutto Israele e Giuda da Gerusalemme, per trentatré anni (circa dal 1010-970 a.C.).

Gerusalemme, divenuta il centro di riferimento politico e religioso di tutta la nazione, era stata strappata da Davide al popolo dei Gebusei e aveva stabilito la sua dimora nella fortezza, più conosciuta come “La città di Davide” (II Sam 5:1-9).

Ambedue, Giuseppe e Maria, non solo erano originari di Betlemme, ma discendevano in linea diretta proprio da Davide (genealogie in Matteo 1:1-17 e Luca 2:2, 3:23-38), erano quindi ebrei e figli di ebrei, le cui origini risalivano addirittura ai Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe, attraverso quarantadue generazioni.

E’ opportuno, a questo punto, introdurre i pochi versi di Matteo che trattano l’episodio della Natività.

«Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo. E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente. Ma mentre avea queste cose nell’animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figliuol di Davide, non temere di prender teco Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo.

Ed ella partorirà un figliuolo, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.

Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figliuolo, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato, vuol dire: “Iddio con noi”.» (Matteo 1:18-25)

Ed ecco il formidabile annuncio dell’angelo Gabriele: «Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine». (Luca 1:30-31).

Più tardi Maria, in visita ad Elisabetta nella regione montuosa di Giuda, magnifica il Signore che «Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia, di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abramo e verso la sua discendenza per sempre».  (Luca 1:54).

Oltre alla perfetta ebraicità di Gesù, quei versi ribadiscono ciò che i Profeti avevano annunziato nel corso del precedente millennio: stava per entrare nel mondo il Messia, che avrebbe salvato il popolo dai peccati ed era annunziato l’avvento del Regno. 

Nel corso delle sue predicazioni, Gesù si rivolse unicamente al popolo ebraico, con rare eccezioni quali l’incontro con la donna Cananea: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele».  (Mt 15:24) e quello con la donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe: «Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei».

La funzione del popolo ebraico nel piano di salvezza dei Gentili sarà ben trattata successivamente dagli Apostoli, a cominciare dagli Atti e in tutto il rimanente del Nuovo Testamento.

Ovviamente nel Credo e nelle preghiere cattoliche l’ebraicità di Gesù e le promesse al popolo ebraico sono colpevolmente omesse, sull’onda dell’antisemitismo che ha perennemente caratterizzato la teologia cattolica, che ha pervicacemente inseguito il disegno di cancellare il ricordo d’Israele dall’annuncio cristiano.

Non per nulla la parola Israele non esce mai dalla bocca di questo Papa: Israele non esiste ma la Terra Santa sì e anche la Palestina.

Storicamente nei Vangeli è scritto che Giuseppe e Maria si recarono a Betlemme per essere registrati in conseguenza dell’editto di Cesare Augusto, che aveva disposto il censimento in tutto l’impero, al tempo in cui Quirinio era governatore della Siria ed Erode (il Grande) regnava sulla Giudea.

Nonostante la conoscenza di questi solidi elementi scritturali, sin dalla fanciullezza cattolici e clericali non hanno fatto altro che riempirci la testa di fronzoli quali la grotta, il bue e l’asinello, il numero dei Magi stabilito apoditticamente nel numero di tre di cui si sono inventati finanche i nomi e il loro immediato arrivo nella stalla quando, invece, arrivarono a Betlemme quando Gesù aveva circa due anni e alloggiava con la famiglia in una casa.

Ma tanto, anche secondo quel sorridente faccione di Papa Bergoglio, il Vangelo è tutto un optional, basta seguire le sue direttive, anche se a favore dei nemici di Israele e visceralmente antiebraiche.

Così, Il 27 dicembre di tre anni fa nella sua omelia natalizia ci ha fatto sapere che i bambini del Medio Oriente soffrono a causa del conflitto tra Israele e palestinesi (ma si può!) e che Giuseppe e Maria dovettero lasciare la loro terra per andare a Betlemme, ma lo sa che erano tornati a casa loro?

Quando Giuseppe, Maria e Gesù fuggirono in Egitto per salvarsi a seguito della decisione di Erode di uccidere tutti i bambini sotto i due anni nati a Betlemme, lo avrebbero fatto come migranti, e invece erano profughi e non vi misero radici, ma tornarono nella loro dimora di Nazareth alla morte di Erode.

Sono trascorsi sei anni da quando il Papa ha celebrato messa nella Basilica della Natività a Gerusalemme (25 maggio 2014), avendo come sfondo una gigantografia raffigurante Gesù bambino ricoperto da una kefiah e Giuseppe con la kefiah in testa, il tutto immerso nei colori palestinesi della capanna. L’ennesimo messaggio antisemita, nello stile della politica vaticana contro Israele, era partito.

Detto questo, invio al Direttore, ai Collaboratori e a tutti i Lettori del Nuovo Monitore non il papalino, stomachevole “volemose bene” ma la piena realizzazione del messaggio evangelico proclamato dal coro angelico ai pastori per le campagne di Betlemme: Gloria a Dio nei luoghi altissimi e pace in terra agli uomini ch’egli gradisce. (Luca 2:14). 

 

 

 

 

1. Nota. Il dipinto di Robert Giacaman, palestinese di religione cattolica residente a Betlemme, che ha studiato Arte in Italia, è stato esposto dietro l'altare durante la messa di Papa Francesco a Betlemme nel maggio 2014. In esso sono distinguibili tre Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per maggiori notizie e una visione d’insieme del quadro vedi l’articolo “Art and politics collide for a Christian artist living in Bethlehem” su “https://www.catholicworldreport.com/2017/03/29/art-and-politics-collide-for-a-christian-artist-living-in-bethlehem/

La foto di copertina è quella trasmessa da Fulvio Canetti a Informazione Corretta, 6 dicembre 2016

La foto di cui sopra è tratta da Terrasanta.net del 25 maggio 2014

Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Luzzi, stampata a cura della Società Biblica Britannica e Forestiera, Libreria Sacre Scritture, Roma, 1969.

 

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