La breccia di Porta Pia, 20 Settembre 1870

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Hubert Heyries, storico francese, esperto di storia militare, ammiratore di Piero Pieri e di Giorgio Rochat, ha evidenziato che la presa di Roma fu un evento storico inatteso, legato alla inimmaginabile sconfitta della Francia imperiale di  Napoleone III, protettore principale del papa, da parte della Prussia  con la battaglia di Sedan del 1 settembre 1870 e alla nascita della Terza Repubblica, che giustificó e spinse l’Italia a Roma, aspettandosi un aiuto, che fu dato solo dopo dal grande Garibaldi.1

La spedizione  non fu una passeggiata militare, ma una campagna vera e propria iniziata il 12 settembre e completata il 20 sotto la guida di Raffaele Cadorna collaborato da generali di fama come Bixio e Cosenz.

Pur essendoci sproporzione di forze (40-50 mila italiani contro 10-13.000 soldati papalini, per metà laziali e per metà stranieri e mercenari, spesso fanatici clericali, che si sentivano espressione della nona crociata a difesa della nuova Gerusalemme), la campagna militare era delicata, perché si svolgeva sotto gli occhi dell’Europa, che non sarebbe stata inerte se essa fosse stata lunga e sanguinosa (come sperava il papa coi suoi consiglieri), per cui bisognava fare presto e bene. E ci si riuscì con prudenza e decisione, come la conquista di Civitavecchia, unica cittá fortificata con Roma, con Bixio e con l’operazione su Roma con sole quattro ore di bombardamento e pochi minuti di assalto con morti e feriti minimi e la bandiera bianca innalzata già alle 10 del 20 settembre sulla cupola di San Pietro.

 

Complessivamente vi furono alla data del 26 settembre 38 caduti (di cui 34 a Roma) e 150 feriti (di cui 142 a Roma), anche se nel 1895 (quando fu approvata la legge istitutrice del XX settembre come festa nazionale) furono aggiunti altri dieci caduti morti successivamente, quindi 48. Di essi i bersaglieri morti furono 14 e 47 i feriti, creando la loro leggenda.

Da parte papalina vi furono solo 16 morti e 58 feriti.

Non fu fatta violenza a nessuno, fu dato l’onore delle armi ai militari papalini, ognuno potè tornare alle proprie case e ai loro paesi.

L’Europa rimase stupita  e quindi ferma di fronte alla decisione ed alla moderazione italiani.

La popolazione romana e laziale festeggió pienamente l’evento.

Vi fu il plebiscito del 2 ottobre (12 giorni dopo la breccia di Porta Pia).

«Voi volete l’unione al Regno d’Italia sotto il Governo Monarchico Costituzionale di Vittorio Emanuele II?»

Su 167 mila iscritti e 133 mila votanti votarono si 133 mila (il 98 per cento dei votanti) e 1507 no (l’1 per cento dei votanti). 

La legge del trasferimento da Firenze a Roma fu approvata il 3 Febbraio 1871, il 9 maggio fu approvata la legge delle guarentigie, il 2 luglio Vittorio Emanuele si insedió al Quirinale.

Non solo si completava la unificazione e si aveva Roma capitale definitiva d’Italia, ma giungevano alla fine storica un regime, un potere assolutisti, teocratici, clericali, polizieschi, arbitrarii, antisemiti, ancora feudali, nemici della modetnità liberale, democratica, laica, baluardo della reazione sociale e culturale.

Perció fu salutato con un respiro di sollievo e di speranza in tutta l’Europa e il mondo nei suoi ambienti moderni e liberali.

 

Pio IX, ultimo papa-re ottocentesco, condannò tutto il mondo moderno della Libertà, della Democrazia, del Repubblicanesimo, del Socialismo,  della Laicità dello Stato, con il Sillabo del 1864 e 1’enciclica Respicientes ea omnia del 1 novembre 1870 che è una requisitoria ed una condanna di tutto il Risorgimento dell’Unità e della Libertà della Patria, dell’Italia, finalmente diventata un Popolo grande tra i Popoli della Terra, con Roma sua necessaria e degna capitale, con la scomunica finale di tutti i protagonisti diretti e indiretti del Risorgimento a partire dal re Vittorio Emanuele II, padre della Patria Italia, all’ultimo garibaldino.

L’enciclica contiene, anche nel linguaggio, tutto l’Antirisorgimento cattolico (e suoi derivati), che ha devastato sul lungo periodo il nostro paese (compreso il fascismo, sua creatura e alleata) ed è stato e rimane causa dei suoi problemi irrisolti antropologici, culturali, civili, politici, economici.

Per essa, nemica millenaria dell’Italia, della sua Unità e della sua Libertà, il 20 Settembre è, come dice l’enciclica, “un giorno funesto”.

Per l’Italia una e libera è invece  “un giorno di festa”  reso festa nazionale nel 1895, poi fatta abolire per sudditanza e compiacenza al fascismo nel 1930.

Per noi eredi e fedeli del Risorgimento dell’Unità e della Libertà resta giorno di festa da celebrare e ricordare anche per gli ignari, gli strumentalizzati, per chi non sa avere lo sguardo lungo della storia e non capisce che quell’Antirisorgimento è una guerra dichiarata e che continua anche oggi.

Essa implica, richiede vigilanza, organizzazione, forza e unità per essere contrasta e speriamo vinta. E il XX Settembre, data memorabile nella storia d’Italia, d’Europa, del mondo, va fatta ritornare festa nazionale.

 

Cfr, H. Heyries, La breccia di Porta Pia. 20 settembre 1870, Il Mulino, Bologna, 2020, pp.224

 

 

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