La metrologia nel Regno di Napoli
L'uniformità dei pesi e delle misure fu prescritta nel Regno di Napoli da Ferdinando I d’Aragona con l’editto del 6 aprile 1480, per rimediare all’infinità di unità di misura, diverse non solo da una provincia all’altra, ma anche tra località finitime. Persino una stessa unità di grandezza, come quella per le misure lineari, aveva estensione diversa a seconda dei luoghi o delle cose da misurare: terreni, costruzioni, percorsi stradali, stoffe, cordami o altro. L’editto prescriveva che in tutto il regno i pesi e le misure fossero resi uniformi a quelli che erano in uso nella città di Napoli. I campioni originali delle misure e dei pesi, depositati in Castel Capuano (poi Vicarìa), opportunamente riprodotti, furono divulgati in tutte le province ma l’effetto del provvedimento fu molto limitato, a causa soprattutto delle resistenze del sistema feudale, caratterizzato da tante microeconomie chiuse e ancor più per gli sconvolgimenti politici avvenuti nel regno. Così, per ogni dove, si continuarono ad usare le misure di sempre.
Nel cortile di Castel Capuano, per lunghi anni, fu conservato un marmo con varie cavità che servivano quale campione per le misure di capacità degli aridi e le incisioni delle misure lineari, con relativa dedicatoria in latino. Al fine di porre rimedio a tanto sconquasso e alle continue truffe e concussioni perpetrate in primis dai commissari che si occupavano della divulgazione dei campioni, nel 1609 fu concesso agli amministratori comunali Il diritto di vegliare sulla integrità dei pesi e delle misure. Il rimedio fu peggiore del male perché da quel momento, per ogni dove, non fecero che proliferare le più disparate misure locali. Il sistema metrico francese La svolta epocale nella razionalizzazione di pesi e misure cominciò solamente nel 1792, sotto l’impulso dello spirito illuminista della Francia rivoluzionaria. Misurato con precisione dagli astronomi francesi l’arco di meridiano compreso fra l’equatore e il polo boreale, passante per Parigi (ossia la quarta parte del meridiano terrestre), di tese 5.130.740 e divisa la distanza per 10 milioni, l’unità derivante fu assunta come base del nuovo sistema con la denominazione di metro. Fu pure rigorosamente determinato il peso di un volume d’acqua distillata equivalente al cubo del lato di un decimetro, assunto come unità di peso e stabiliti gli esatti rapporti tra volumi e pesi. Nacque così un perfetto sistema metrico, che stabiliva rapporti semplici tra le misure e i pesi, adattandovi la progressione decimale (sistema metrico decimale), finalmente adatto ai bisogni delle scienze, delle arti, delle professioni e agli usi comuni. Per l’unità di peso, denominata grammo, fu assunto il peso assoluto di un cubo d’acqua distillata del lato di un centimetro (la centesima parte del metro) alla temperatura di gradi 31/2 del termometro Reaumour e nel vuoto. L’unità di misura di capacità, tanto per gli aridi che per i liquidi, corrispondente al cubo del decimetro, fu detta litro. Per i solidi fu stabilita l’unità di base del metro cubo o stero, impiegato soprattutto per la misura delle fabbriche. Pur tuttavia le abitudini consolidate da secoli erano dure da superare e così anche in Francia, per lunghi anni, il sistema faticò ad entrare nell’uso popolare, mentre ebbe ad affermarsi pienamente sia nelle scienze che nelle arti. Va sottolineato che simili operazioni di misura dell’arco di meridiano non erano mai state neppure concepite nel regno di Napoli e nei paesi dell’Europa del tempo. Le misure agrarie sono state impiegate nel Regno d’Italia, per la definizione delle superfici dei terreni in fase di attuazione del catasto, istituito con Legge 1° Marzo 1886, n. 3632 (in G.U. n. 49 del 1° Marzo 1886), apprestata con grande scrupolosità e competenza da Angelo Messedaglia.
Le leggi del governo Murat
Il sistema di pesi e misure nel Regno di Napoli rimaneva sempre caotico ed estremamente variabile finanche da comune a comune, dando origine a infinite variabili per la felicità dei commercianti e dei proprietari terrieri che, con l’abile arte della truffa, potevano ricavarne enormi guadagni. Il governo Murat, volendo razionalizzare il sistema di pesi e misure del regno, nel 1811 diede l’incarico ad una commissione della Reale Accademia delle Scienze di comparare i campioni di pesi e misure conservati nella Zecca di Napoli e nel Reale Osservatorio Astronomico con quelli francesi. La commissione stabilì così la corrispondenza tra le misure adoperate in Napoli e quelle del sistema metrico decimale. In particolare: Esaminato il campione di quattro palmi depositato sin tal tempo degli Aragonesi in Castel Capuano, (nel 1828 non ve n’era più traccia), stabilì la misura del palmo (1/4 della lunghezza del campione) in millimetri 263,67 pari a metri 0,26367. Calcolò che il peso del rotolo napoletano corrispondeva a Kg 0,8909972. Il tomolo, misura per gli aridi, equivaleva a litri 55, 234. Per i liquidi, la caraffa di vino per la vendita al minuto misurava litri 0,660419 e la misura da olio, detta quarto, litri 0,619534. Così, nel 1811, furono varate due leggi di rara saggezza. La legge, premettendo che “la molteplice varietà de’ pesi e misure che esiste nel regno arresta il commercio, produce sovente errori e dà luogo ordinariamente alla frode” e “considerando l’inconveniente degli attuali campioni, tanto relativamente alla loro struttura, quanto al materiale con cui sono costrutti”, ha stabilito, all’art. 1 di adottare nel regno, dal 1° gennaio 1812, “il sistema decimale de’ pesi e misure stabilito nell’impero francese”. Alla legge è unito il prospetto generale delle misure adottate e quello delle corrispondenze delle misure lineari, di capacità e di peso con quelle francesi. Legge 19 maggio 1811, n. 975. ”Legge per lo stabilimento del nuovo sistema monetario”. La legge prevedeva, dal 1° gennaio 1812, l’adozione del sistema monetario dell’impero francese, con la lira quale unità monetaria del peso di 5 grammi d’argento al titolo di 9/10 di fino e delle monete sussidiarie d’argento di ¼, ½, ¾, 1, 2 e 5 lire. Era previsto inoltre il conio di una moneta d’oro da 20 lire e delle monete di rame puro da 1, 2, 3, 5 e 10 centesimi. La legge 18 Agosto 1814, n. 2235. “Legge con cui, abolito il nuovo sistema monetario, vien rimesso in vigore l’antico”, seguita dal decreto di esecuzione in pari data. Lo scopo principale della revoca erano le difficoltà di applicazione pratica del nuovo sistema, in una nazione con poco meno di cinque milioni di anime e con un tasso di analfabetismo che rasentava la quasi totalità della popolazione contadina e operaia, ma anche la nobiltà e la stessa Corte di Napoli, in fatto di cultura, non erano messe meglio. Fu una delle poche riorganizzazioni mancate del governo che aveva fatto cadere, con ardite riforme, quelle grandi piaghe del regno che erano il feudalesimo, le corporazioni monastiche e creato un nuovo sistema d’imposizione fondato sulla rendita, un’amministrazione civile ordinata, soppressi gli assurdi vincoli delle dogane interne e i dazi di cabotaggio fra scalo e scalo. Re Ferdinando, al suo ritorno, trovando la casa ben spazzata e ordinata, si guardò bene dal revocare i provvedimenti emanati nel cosiddetto periodo della “occupazione militare”, poiché trovò le finanze meglio ordinate, la rendita pubblica accresciuta, gran parte del debito dello stato estinto, i comuni dotati di un cospicuo patrimonio e un migliore ordinamento giudiziario. Fece retromarcia invece sulla riforma dei pesi e misure, adottando un sistema misto di vecchio e nuovo, rifiutato nei fatti dalle popolazioni del regno.
I tentativi di razionalizzare la materia nel regno di Napoli
Il 31 Dicembre 1809 fu approvata in Palermo, dal Re fuggiasco, la “Legge relativa al sistema metrico di Sicilia”, entrata in vigore il 1° Gennaio 1811. Dopo la Restaurazione, nella Sicilia Citeriore il sistema di pesi e misure rimaneva nel caos ma la situazione non era migliore al di là del faro, che aveva avuto una timida riforma, risultata però fallimentare e inapplicabile. Il tempo di una riforma generale del sistema di pesi e misure delle Due Sicilie era oramai divenuto improrogabile, si contavano al momento più di 200 misure agrarie, oltre 300 impiegate per la misura dell’olio e infinite altre per la misura degli aridi, dei liquidi, dei pesi e così via, ma il governo rifiutò a priori il sistema francese introdotto dal governo Murat, laconicamente visto come un tentativo “di toglierci ogni patrio ricordo delle nostre istituzioni” (Afan De Rivera). Re Ferdinando, nel 1817, diede l’incarico di un piano di riforma al P. Giuseppe Piazzi, direttore degli osservatori astronomici di Napoli e Palermo. «Questo celebre astronomo forse comprendendo che dopo i lavori scientifici fatti in Francia da valorosi astronomi matematici e fisici per la formazione del famoso sistema metrico, era difficilissima cosa il procacciarsi lode nel progettare un diverso sistema metrico fondato su principj scientifici, tenne il cammino opposto seguito già da lui nella formazione del sistema metrico siculo, combinando nel miglior modo un nesso tra le misure ed i pesi esistenti».1 P. Piazzi mise a stampa due progetti di revisione del sistema per la città di Napoli, da estendersi a tutto il regno ma il risultato, per dirla alla napoletana, fu un vero inguacchio. E difatti le commissioni provinciali cui furono sottoposti, intorno al 1821, o nicchiarono o ritennero le modifiche proposte semplicemente irragionevoli. Il progetto di legge che presentò nel 1826, sempre per la Sicilia Citeriore, non ebbe maggior fortuna ma non v’era da aspettarsi di meglio, poiché le variazioni proposte non poggiavano su alcun principio scientifico e neppure erano giustificate da ragionevoli motivi di utilità. Afan de Rivera scriveva sarcasticamente di “difetti” e “sconcezze” di quel progetto ma la fama dell’astronomo impediva, alle varie Commissioni Provinciali, di esprimerlo a chiare lettere. D’altronde, il celebre prelato era già noto per i danni che aveva in precedenza arrecati con la riforma del sistema metrico della Sicilia Ulteriore, che si era concretizzato nella legge del 31 dicembre 1809 firmata in Palermo dal Re fuggiasco che al momento assumeva il titolo di Ferdinando III. Per definire la questione intorno alla convenienza di correggere il palmo aragonese, La Real Segreteria di Stato degli Affari Interni, nel gennaio del ‘28 ingiunse alla Direzione Generale di Ponti e Strade l’incarico di calcolare quanti palmi e quanti passi conteneva il miglio misura itineraria di Napoli. La risposta, quasi immediata, fu che era opportuno correggere il palmo secondo la misurazione dell’arco di meridiano servito di base al sistema metrico dei francesi, misura universalmente ritenuta esatta. Nella tornata dell’8 luglio del 1828 dell’Accademia delle Scienze di Napoli il colonnello Ferdinando Visconti lesse un rapporto molto dettagliato nel quale, tenendo presenti i rapporti dell’apposita commissione speciale del 1811, metteva in relazione, con estrema precisione, i pesi e le misure di Napoli con quelle del sistema metrico francese, proponendo, come aveva stabilito l’Officio Topografico nel 1815 per i lavori geodetici, la misura lineare francese, per tutti gli usi.2 Morto P. Piazzi, cominciarono a farsi strada le idee del Col. Visconti lette all’Accademia delle Scienze nel 1828 ma intanto, con una circolare del 6 febbraio 1830 voluta da Afan De Rivera, direttore del Corpo di Ponti e Strade, Acque, etc., fu prescritto per quel particolare ufficio, l’uso della progressione decimale. Entrò così in uso, per quel particolare, delicato settore, la canna di dieci palmi e la divisione del palmo in decimi, centesimi e millesimi che facilitò molto la stesura di calcoli e progetti. Il sistema, collaudato negli anni successivi, incontrò non solo il favore dei tecnici preposti alla formazione dei progetti e dei cartografi addetti alle operazioni geodetiche, ma anche degli appaltatori e dei costruttori, per la maggior facilità nella misura dei lavori. Nel 1832 il Ministro degli Affari interni propose l’istituzione di un’apposita commissione di studio per esaminarne il progetto del col. Visconti, chiamato pure a farne parte. Il rapporto che ne venne fuori fu rimesso alla Consulta di Stato che però, con avviso dell’Aprile del 1837, non vi si uniformò, ritenendolo fra l’altro inadattabile ai territori della Sicilia Ulteriore. Di fatto il Visconti, nelle sue ricerche, si propose sempre di rispettare scrupolosamente gli usi esistenti.3 Nell’agosto di quell’anno Visconti presentò un rapporto a difesa del suo operato e in un’opera pubblicata l’anno successivo, illustrò ampiamente le modifiche proposte.4 Il dibattito sulla materia, che talora assunse l’aspetto di aspra polemica, non poteva mancare, anche da voci molto autorevoli. Tra le pubblicazioni più appariscenti, il rapporto di Ferdinando De Luca all’Accademia Pontiana su un opuscolo scritto dal Marchese di Pietracatella (Giuseppe Ceva Grimaldi)5 e il volume, sempre dello stesso autore, socio ordinario della Reale Accademia delle Scienze, dato alle stampe nel 1839.6 Intanto, nel 1838, Afan De Rivera aveva dato alle stampe un volume in cui decantava le virtù del sistema metrico di Ferdinando I d’Aragona, stabilito con editto del 6 aprile 1480, ritenuto talmente perfetto che “neppure i francesi hanno saputo inventarne uno migliore”, arrivando al puto di dichiarare che il sistema francese altro non era che “una fedele imitazione di quello de’ nostri maggiori”.7 Le frustate inferte dai francesi ancora bruciavano sulla pelle della Corte di Napoli e nulla di quanto veniva dagli odiati francesi poteva essere gradito. L’ inguacchio della riforma del sistema di pesi e misure stava per cadere sulla testa dei poveri napoletani. Soggiungo che la lettura degli scritti di Afan De Rivera, ossessivamente ripetitivi, autocelebrativi e involuti, è oltremodo spossante e una gran fatica per il corpo e per la mente. Il 22 aprile 1840 fu pubblicata la legge 6 aprile 1840, n. 6048 di riforma del sistema di pesi e misure, dal titolo “Legge sulla uniformità de’ pesi e delle misure né Reali Dominii al di qua del Faro” e il 5 gennaio 1841 venne pubblicato il Regolamento. Cessò quindi ogni polemica. Afan De Rivera, contraddicendo il colonnello Visconti, era riuscito a introdurre nella nuova legge, ma non per tutti i settori, l’elemento innovativo della progressione decimale applicato alle vecchie misure. Vent’anni dopo il Regno d’Italia rese vani tutti i tentativi borbonici di razionalizzare la materia, rimasta sempre grezza e inintelligibile, per il rifiuto preconcetto di adottare il sistema metrico decimale ideato dagli odiatissimi Giacobini di Francia, che avevano osato tagliate la testa alla sorella della moglie del Re e per averlo costretto, ben due volte, ad ignominiosa fuga verso i più sicuri lidi della Sicilia.
La ”Legge sull’uniformità de’ pesi, e misure” approvata il 6 Aprile 1840, rappresenta la conclusione dell’affannosa ricerca di un sistema uniforme di pesi e misure da far valere in tutto il regno. Afan De Rivera insiste più volte e con soddisfazione nel sottolineare che la nuova legge, tranne alcuni perfezionamenti, “è quello stesso nostro antico sistema metrico che da Ferdinando I di Aragona fu restaurato coll’editto de’ 6 aprile 1480 che non è stato mai abrogato”.8 Di fatto la nuova legge tenta di scimmiottare il sistema francese, introducendo talora la progressione decimale. L’opinione di Afan De Rivera, ovviamente, non poteva che essere euforica: “il nostro sistema metrico … non cede per nulla in pregio al tanto vantato sistema metrico francese”.9 Di fatto la riforma è stata semplicemente fallimentare per la sua complessità generale, al punto che le nuove misure trovarono pratica applicazione solo negli atti pubblici (vi erano obbligati) e nelle scienze, compreso il settore delle opere pubbliche e della cartografia, continuando, nella vita pratica quotidiana, come se nulla fosse accaduto. L’art. 1 della legge stabilisce di applicare a tutte le province del regno, con le modifiche apportate, le misure e i pesi di Napoli. La legge, quindi, era valevole anche per la Sicilia. Alla legge, composta da 11 articoli, seguirà il regolamento di esecuzione, approvato il 5 gennaio del 1841. La norma è entrata in vigore il 1° gennaio 1841 ma in deroga, per il periodo di 5 anni, ossia sino a tutto il 1845, è stata consentita, per le sole contrattazioni tra privati, l’uso delle vecchie misure, purché nei contratti fosse indicata anche la conversione alle nuove misure (art. 11). Nonostante che il sistema metrico francese fosse stato rigettato dal regno di Napoli, rimaneva tuttavia lo scontento di una parte significativa del mondo scientifico, al punto che F. Amante, professore nel Real Collegio Militare e autore di un celebre trattato di Geodesia, scriveva nel 1841 che «il sistema metrico francese, per la solennità e l'esattezza con la quale furono stabilite le sue misure, sarà sempre il sistema metrico scientifico, il linguaggio universale in cui debbono tradursi le misure di ogni altro paese quando si vuol essere intesi dovunque. Ed a questo felicissimo risultamento contribuì anche non poco il concorso degli scienziati stranieri in quella grande operazione, ed il paragone diligentissimo che fu fatto delle nuove misure con le principali antiche misure europee.»10 Il decreto dittatoriale del 25 settembre 1860 e il R.D. 17 luglio 1861 sulla conversione monetaria. Fervevano alacremente i preparativi per la battaglia del Volturno (26 settembre – 2 ottobre) che vide l’esercito borbonico, forte di un esercito regolare di 50.000 uomini, sbandarsi e dissolversi al cozzo dei volontari dell’esercito meridionale composto da meno poco più di 24.000 uomini e quell’inguaribile ottimista di Garibaldi già firmava, il giorno prima, un decreto sulla conversione delle monete napoletane in lire italiane. Il 17 luglio dell’anno successivo, da Torino, veniva emanato il R.D. n. 123, pubblicato sulla G.U. n. 189 del 3 Agosto che stabiliva il ragguaglio in valuta decimale italiana delle varie monete in corso nelle province di Sicilia e Napoli, Toscana, Modena, Parma, province di Lombardia e province sarde. Lo stralcio riprodotto riguarda esclusivamente le province di Sicilia e Napoli.
Stralcio del R.D. 17 luglio 1861 n. 123, pubblicato sulla G.U. n. 189 del 3 Agosto che riguarda le province di Sicilia e Napoli. Così ad esempio, 1 ducato è pari a lire 4,25 e viceversa, 1 lira è pari a ducati 0,235290. 1 grano = lire 0,0425 e viceversa, 1 lira è pari a grani 23,5294
L’introduzione del sistema metrico decimale nel Regno d’Italia
Nel Regno d’Italia le cose furono definitivamente messe a posto con l’introduzione del sistema metrico decimale, entrato in vigore con la legge metrica del 28 luglio 1861, n. 132 e del regolamento di esecuzione in pari data, sostituendo così quella selva di articolate misure locali dei vari Stati preunitari. Le tavole di ragguaglio dei pesi e delle misure già in uso nelle varie province del Regno, coi pesi e misure del sistema metrico decimale, sono state approvate con R.D. 20 Maggio 1877 n. 3836 (G.U. n. 125 del 29 Maggio 1877) e pubblicate in apposito volume di 787 pagine dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, per i Tipi della Stamperia Reale, nel medesimo anno 1877.11 La pubblicazione, strumento fondamentale per la conversione dei pesi e misure in quelle ufficiali del Regno d’Italia, analizza, per ciascuna provincia, circondario e distretto, le misure localmente in uso e ne fissa la grandezza di conversione. In appendice include le tavole di ragguaglio dei pesi farmaceutici.
Vecchie e nuove misure nel regno di Napoli
Misure lineari Vecchie misure
Nella legge metrica del 6 Aprile 1840 come anche per il sistema già in uso nella la Sicilia di qua del faro, la base dell’intero sistema è il palmo, definito dal primo comma dell’art. 2 (legge 6.4.1840) come la «settemillesima parte di un minuto primo del grado medio del meridiano terrestre, ovvero la settemillesima parte del miglio geografico d’Italia e del miglio nautico di 60 al grado medio del meridiano medesimo». La misura del quadrante di meridiano terrestre assunta come base del palmo è quella eseguita dai francesi alla fine del secolo precedente.
In breve la circonferenza passante per i poli, definita meridiano terrestre, è suddivisa in 360 gradi sessagesimali e l’arco di meridiano (quadrante) che va dall’equatore al polo Nord ne rappresenta la quarta parte, ossia 90°. Ciascun grado a sua volta è diviso in sessanta primi e il suddetto arco comprende pertanto 5.400 primi. Ciascun primo corrisponde a un miglio geografico d’Italia che a sua volta è formato da 7.000 nuovi palmi napoletani. Il quadrante di 90° è composto quindi da 37.800.000 palmi. Lo stesso quadrante, nel sistema metrico francese corrisponde a 10.000.000 metri lineari Un palmo corrisponde quindi a metri 0,264550264 Viceversa, un metro corrisponde a palmi 3,78 L’antico palmo corrispondeva a metri 0,26367 = mm 263,67 quindi, sostanzialmente, poco discosto dal nuovo, a meno di 88 centesimi di millimetro. mm 264,55 – mm 263,67 = mm 0,88 In altri termini, il palmo nuovo è maggiore rispetto a quello antico di 33 decimillesimi, differenza trascurabile per gli usi comuni. La medesima legge del 1840 si è anche premurata di indicare quei rapporti (art. 2 ultimo comma): “100 metri uguagliano 378 palmi, e quindi un palmo è uguale a metri 0,26455”. Per ridurre i palmi antichi a quelli nuovi basterà moltiplicare per 26.367 e dividere per 26.455. Es: 520,73 vecchi palmi corrispondono a 518,9978 nuovi palmi. Il miglio, componendosi di 7000 palmi, sarà 700 : 378 = Km 1,851851852 Viceversa, un chilometro è di miglia 378 : 700 = miglia 0,54. Il Reale Officio Topografico, tuttavia, sin dal 1815, anno del trasferimento del gabinetto topografico diretto da Rizzi-Zannoni al Ministero di Guerra e Marina, sotto il nome di Sezione Topografica, si era avvalso, per le operazioni geodetiche, del palmo corretto, applicandovi la progressione decimale, esempio seguito dal 1830 dalla Direzione Generale di Ponti e Strade, che vi applicò pure la progressione decimale. Rizzi-Zannoni morirà il 20 maggio 1814 e quella sezione topografica verrà subito affidata a Ferdinando Visconti dell’analogo ufficio di Milano, giunto a Napoli il giorno innanzi la morte del suo illustre predecessore. Il miglio, equivalente, come detto, alla sessagesima parte dell’arco di un grado medio del meridiano terrestre, ossia all’arco di un minuto medio del meridiano medesimo, nei suoi sottomultipli seguiva la progressione decimale, dividendosi in 100 catene pari a 1000 passi (una catena = 10 passi). Il passo, però, non seguiva la progressione decimale ma era diviso in sette parti o palmi. Le vecchie misure lineari comprendevano: La canna (calamus neapolitanus), composta di 8 palmi, pari a metri 2,116 Il passo di 7 palmi, pari a m 1,85185 Il palmo, suddiviso in 12 once o 60 minuti, pari a metri 0,2645 L’oncia, suddivisa in 5 minuti = m 0,0220458 Il minuto, composto di 2 punti = m0,004409166 In definitiva, 1 passo = 7 palmi = 84 once 1 palmo = 12 once = 60 minuti = 120 punti = m 0,002204580. Un’altra misura lineare largamente usata nel commercio internazionale delle tele nazionali erano il braccio (cubitus degli antichi). Venivano usati bracci con differente numero di palmi. Ad esempio in alcune località della provincia di Napoli (Caivano, Pescarola, Casolla-Valenzano), per il commercio delle tele si usavano le seguenti misure: Braccio per le tele di palmi 21/3, pari a metri 0,617 Braccio per le tele di palmi 21/2, pari a metri 0,662 Braccio per le tele di palmi 22/3, pari a metri 0,706 Il passo, per le ragioni già esposte, non era costante ma variava da luogo a luogo.
Nuove misure Con la nuova legge Il palmo, unità delle misure lineari, ha conservato, sostanzialmente, la sua misura, essendo maggiore dell’antico di 88 centesimi di millimetro, ma è stato suddiviso in parti decimali (decimi, centesimi e millesimi), abolendo la divisione in 12 once e 60 minuti. La canna è stata portata da 8 a 10 palmi e quindi corrisponde a una canna e due palmi dell’antica misura. La nuova misura, sotto il nome di pertica (di 10 palmi), abbiamo visto che era già in uso nel servizio di ponti e strade. 1 canna = 10 palmi = 100 once (o minuti) 1 palmo = 10 once (o minuti) Nell’agrimensura pratica è usata la catena (costruita in ferro) di 50 palmi ossia di 5 canne di dieci palmi ciascuna. Per convertire le vecchie misure alle nuove basterà moltiplicare: Il numero delle canne di 8 palmi (in canne misure legali di 10 palmi) per 8/10, ossia per 0,8. Il numero delle once per 10/12, ossia per 0,83333 e si ottengono i decimi lineari. Il numero dei minuti per 1 e 2/3, ossia per 1,66666 e si ottengono i centesimi lineari. La legge stabilisce il rapporto tra le misure indicate e il sistema metrico decimale. m 100 = palmi 378 m 1 = palmi 3,78 1 palmo = m. 0,26455026455 = dm 2,6455026455 = cm 26,455026455 = mm 264,55026455 Per ridurre le canne in metri si moltiplica il loro numero per 2,6455026455 e viceversa, per ridurre i metri in canne, si moltiplica per 0,378 Il miglio legale, misura itineraria, che consta di 700 canne o 7000 palmi nuovi, nel sistema metrico decimale equivale a metri 1851,85185, pari a Km 1,85185185. Viceversa, un chilometro equivale a miglia 0,54.
Misure di superficie Vecchie misure 1 miglio quadrato = palmi 10003 = palmi quadrati 1.000.000 1 canna quadrata = palmi (8 x 8) = palmi quadrati 64 1 palmo quadrato = once (12 x 12) = 144 once quadrate o 3.600 minuti quadrati 1 oncia quadrata = minuti quadrati 25 Il tomolo, la cui denominazione veniva usata anche quale misura di capacità per gli aridi, era generalmente composto da un quadrato con il lato di passi lineari 342/3 = 34,6666 o anche di passi lineari 3411/17 = 34,6470. Esso si divideva in 4 quarte, ciascuna quarta in 2 stoppelli, uno stoppello in 3 misure.
Nuove misure Unità di misura delle superfici è la canna quadrata, di 100 palmi quadrati La canna quadrata è un quadrato con il lato di 10 palmi, consta quindi di 100 palmi quadrati. Il palmo quadrato è un quadrato con il lato di 1 palmo L’oncia quadrata è un quadrato con il lato di un’oncia = palmi 0,01 1 canna quadrata = 100 palmi quadrati = 10.000 once quadrate 1 palmo quadrato = 100 once quadrate Per convertire le vecchie misure alle nuove basterà moltiplicare: Il numero delle once quadrate per 100/144 ossia per 0,69444 e si ottengono i decimi quadrati. Il numero dei minuti quadrati per 100/36, ossia per 2,7777 e si ottengono i centesimi quadrati. Il numero le canne quadrate di 64 palmi quadrati per 64/100, ossia per 0,64. Per convertire i palmi quadrati in metri quadrati, si moltiplicano per 0,069986842 Viceversa, per convertire i metri quadrati in palmi quadrati, si moltiplicano per 14,28840867 Per convertire le canne quadrate in metri quadrati, si moltiplicano per 6,99868 Viceversa, per convertire i metri quadrati in canne quadrate, si moltiplicano per 0,142884086
Misure di volume Vecchie misure 1 canna cubica = palmi (8 x 8 x 8) = palmi cubici 512 1 palmo cubico = once (12 x 12 x 12) = 1.728 once cubiche 1 oncia cubica = minuti (60 x 60 x 60) = 216.000 minuti cubici
Nuove misure Unità di misura dei solidi è la canna cubica (o canna cuba), composta da 1000 palmi cubici. Nella nuova misura, la canna cubica è un cubo con il lato di 10 palmi, equivale a 1.000 palmi cubi o a 1.000.000 once cube. Il palmo cubico è un cubo con il lato di 1 palmo e misura 1.000 once cube. L’oncia cubica è un cubo con il lato di un’oncia = palmi cubi 0,001 1 canna cubica = 1000 palmi cubi = 1.000.000 once cube. 1 palmo cubico = 1000 once cube. Per convertire le vecchie misure alle nuove basterà moltiplicare: Il numero le canne cubiche di 64 palmi cubici per 512/1000 ossia per 0,512 e si otterranno le canne cubiche legali. Il numero delle once cubiche per 1000/1728 ossia per 0,578070 e si otterranno le decine cubiche. Il numero dei minuti cubici per 1000/216, ossia per 4,62963 e si otterranno i centesimi cubici Per convertire i palmi cubi in metri cubi, si moltiplicano per 0,018515037 Viceversa, per convertire i metri cubi in palmi cubi, si moltiplicano per 54,010152 Per convertire le canne cubiche in metri cubici, si moltiplicano per 18,515038 Viceversa, per convertire i metri cubici in canne cubiche, si moltiplicano per 0.05401015
Misure agrarie Vecchie misure Nelle istruzioni di Ferdinando I di Aragona riguardo ai pesi e misure non era fatta menzione di alcuna misura agraria ma già agli inizi del XVII secolo si contavano nel regno più di 200 diverse misure agrarie diversificate per numero di passi quadrati o di canne quadrate che le costituivano e della diversa grandezza di questi fattori, al punto che Afan De Rivera scriveva di una “grande difformità e sconcezza di misure agrarie”. Nel Tavoliere delle Puglie, vasto demanio della corona esteso più di mille miglia quadrate, l’elemento di base per la misura dei terreni era il passo di 7 palmi ma si adoperava anche la catena lineare che constava di 10 passi. 1 passo = 7 palmi 1 passo quadrato = 49 palmi quadrati. 1 catena = 10 passi 1 catena quadrata = 100 passi quadrati = 4900 palmi quadrati. La versura, considerata come unità delle misure agrarie, era un quadrato con il lato di 60 passi ossia di 420 palmi. La sua superficie era quindi di 36 catene quadrate = 3.600 passi quadrati = 176.400 palmi quadrati. Essa poteva essere suddivisa in 3 tomoli di 1200 passi quadrati ciascuno o anche in 4 moggia di 900 passi quadrati ciascuno. Multiplo della versura era il carro, composto da 20 versure e quindi da 60 tomoli o anche da 80 moggia. Nella intera provincia di Napoli e in Terra di Lavoro come pure in molte altre province, era in uso il passo agrario di palmi 71/3 di lato, usato anche dal catasto quale misura di comparazione delle altre misure del regno, con esiti comprensibilmente molto incerti. Il moggio antico napoletano era composto da un quadrato con il lato di passi 30 e quindi di 900 passi quadrati. Moggio = passi 30 x passi 30 = passi quadrati 900 Dato che il passo misura palmi 71/3 il lato del quadrato sarà anche di passi 30 x palmi 71/3 ossia palmi 220. Moggio = Palmi 220 x palmi 220 = palmi quadrati 48.400 Il moggio napoletano si divide in 10 quarte, ogni quarta in 9 none, ogni nona in 5 quinte, ogni quinta in 2 passi quadrati, ogni passo quadrato si compone di palmi 71/3 x palmi 71/3 = palmi quadrati 537/9 1 moggio = 10 quarte = 90 none = 450 quinte= 900 passi quadrati Quarta = 90 passi quadrati = 90 x 537/9 = 4.840 palmi quadrati. Nona = 10 passi quadrati = 5377/9 = 537,7777 palmi quadrati Quinta = 2 passi quadrati = 1075/9 = 107,5555 palmi quadrati Passo quadrato = 537/9 = 53,7777 palmi quadrati Il moggio, con qualsiasi passo venisse misurato, conservava sempre la superficie di 900 passi quadrati, con rare eccezioni quali il circondario di Sorrento e quello di Lecce. Altra misura agraria usata in Napoli era il vignale, assimilabile a un quadrato con il lato di 40 canne, ciascuna di palmi 51/2 e quindi di 48.800 palmi quadrati (come il moggio). Il vignale a sua volta era suddiviso in 40 parti ciascuna di palmi quadrari 1.210 e ciascuna di queste parti in 40 viti di palmi quadrati 30,25, ossia la 1600.ma parte del vignale. In mezzo a tanta difformità di misure, è comprensibile come il catasto (era in vigore quello murattiano c. d. “provvisorio”, stabilito con la legge fondiaria del 1806) fosse largamente affetto da gravissimi errori, nonostante prevedesse la riduzione delle moggia locali in moggia napoletane. Alla mala fede dei dichiaranti si sommavano infatti gli errori secondo le antiche misure e quelli delle riduzioni.
Nuove misure L’unità superficiale delle misure agrarie è il moggio composto di 10.000 palmi quadrati, ovvero un quadrato del lato 100 palmi pari a 10 canne. 1 moggio = 10 canne x 10 canne = 100 canne quadrate = 10.000 palmi quadrati. 1 canna quadrata = 10 palmi x 10 palmi = 100 palmi quadrati In tal modo, mentre l’antico moggio misurava 48.400 palmi quadrati, il nuovo moggio è di 10.000 palmi quadrati. Per trasformare il moggio napoletano il cui lato è di 30 passi di palmi 71/3 e di conseguenza di palmi 220, quindi con superficie di 900 passi quadrati equivalente a 48.400 palmi quadrati, nel moggio di nuova misura, basta moltiplicare le vecchie moggia per 4,808 (1 vecchio moggio corrisponde a 4,808 nuove moggia). Viceversa, per passare dalle nuove alle vecchie moggia, basta dividerle per 4,808. Nell’agrimensura pratica era usata la catena di 50 palmi, una catena di ferro lunga 5 canne di dieci palmi ciascuna. Per trasformare le nuove moggia agli ettari del sistema francese, misura adottata dal catasto terreni del Regno d’Italia, bisogna tener conto che la legge del 1840 stabilisce i seguenti paralleli: m 100 = palmi 378 m 1 = palmi 3,78 1 palmo = m. 0,26455026455 = mm 264,55026455 1 moggio = palmi quadrati 10.000 x 0,264550264552 = mq 699,8684218 1 Ha = mq 10.000 Modulo di passaggio da moggia ad ettari mq 699,8684218 : mq 10.000 = 0,069986842 Modulo di passaggio da ettari a moggia mq 10.000 : mq 699,8684218 = 14,28840006
La conversione dalle nuove moggia ad ettari si opera quindi moltiplicando le nuove moggia per 0,069986842. Viceversa, per passare dagli ettari alle moggia, bisogna moltiplicare le moggia per 14,28840006. Es: moggia legali 37,5 = moggia 37,5 x moggia/Ha 0,069986842= Ha 2,6245065, ossia ettari 2, are 62 e centiare 45,065. Ricordando che nel sistema metrico decimale 1 Ha = mq 10.000, un’ara mq 100 e una centiara mq1 Permanendo per ogni dove in Italia l’uso delle vecchie misure agrarie secondo le antiche abitudini locali, l’ISTAT, in una pubblicazione del 1951, ha ritenuto di pubblicare un volume che le illustra, comune per comune, trasformandole nelle attuali misure agrarie.12
Misure di capacità per gli aridi Vecchie misure L’editto del 6 aprile 1480 prevedeva una sola misura di capacità per gli aridi, il tomolo, equivalente a tre palmi cubici, impiegato unicamente per piccole quantità (grano, orzo, granturco detto grano indiano, legumi secchi, biada, identificata solitamente con l’avena, etc.). Per le grandi quantità veniva sempre associato il peso alle misure di capacità. 1 tomolo = Palmi (1 x 1 x 3) = palmi cubici 3. Esso si divideva in 24 parti denominate misure ciascuna delle quali corrispondeva al cubo di mezzo palmo di lato, ossia di palmi cubici 0,125 1 misura = palmi cubici (3:24) = Palmi (0,5 x 0,5 x 0,5) = palmi cubici 0,125 In definitiva: 1 tomolo = 3 palmi cubici = 24 misure di palmi cubici 0,125 La misura del tomolo variava sensibilmente, anche nelle suddivisioni, di luogo in luogo, per la felicità degli speculatori e dei commercianti. Il tomolo antico corrisponde a 55,3189 litri francesi (la Commissione del 1811 lo aveva calcolato in 55,234). Le suddivisioni del tomolo erano: Il mezzo tomolo o mezzetto equivalente alla metà del tomolo, Il quarto (quarto di tomolo), Lo stoppello (ottava parte del tomolo, detta cotula a Sorrento), La misura ventiquattresima parte del tomolo, La mezza misura La quartarola, quarta parte della misura. In alcune province la misura era ”a sacchi”, principalmente per i cereali, talora composti da 3 o anche da 4 tomoli e la soma o salma, composta da un numero variabile di tomoli, talora 3, altre volte 2 ½.
Nuove misure La nuova legge metrica ha conservato la stessa misura del vecchio tomolo napoletano ma non vi ha applicato la progressione decimale. Il tomolo è quindi la misura di capacità per gli aridi. Esso equivale a tre palmi cubici, ossia a un cubo avente lo spigolo di palmi lineari 1,44224957 Coi seguenti sottomultipli: 1 tomolo = 2 mezzette (1 tomolo = palmi cubi 3) 1 mezzetta = 2 quarte (1 mezzetta = palmi cubi 1,5) 1 quarta = 6 misure (1 quarta = palmi cubi 0,75) 1 misura = 1/6 di quarta (1 misura = palmi cubi 0,125) In definitiva 1 tomolo = 2 mezzette = 4 quarte = 24 misure ognuna delle quali eguaglia il cubo del mezzo palmo. Il tomolo è rappresentato da un cubo con lo spigolo di palmi 1,44224957 La mezzetta è rappresentata da un cubo con lo spigolo di palmi 1,144714243 La quarta è rappresentata da un cubo con lo spigolo di palmi 0,908560296 La misura è rappresentata da un cubo con lo spigolo di palmi 0,5 Come trasformare i vecchi tomoli in tomoli nuova misura e viceversa. Considerato che 1 palmo lineare corrisponde a dm 2,6455026455 e che, viceversa, un decimetro lineare corrisponde a palmi 0,378 nuova Considerato ancora che 1 palmo cubo corrisponde dm 2,64550264553 = dm3 18,515037768 e che, viceversa, 1 decimetro cubo corrisponde a palmi cubi 0,054 Un misura 3 palmi cubi e pertanto è uguale a 3 x palmi cubi 18,515037768 = palmi cubi 55,54511328 La legge (art. 4) impone che la misura degli aridi sia sempre praticata a raso e non a colmo. Così nella misura del grano, orzo, avena, mais, legumi secchi, castagne, ghiande, noci, nocciole, etc., il recipiente si riempie fino alla sommità e non oltre, dove deve formare una superficie piana (rasa), al chiaro fine di evitare ogni speculazione. Era invalso infatti tra gli usurai l’uso di anticipare ai contadini le sementi di grano “a raso” per le semine autunnali ma poi ne pretendevano la restituzione e gli interessi “a colmo”, realizzando enormi, illeciti guadagni. Fu accertato all’epoca che la quantità “a colmo” consisteva in un aumento che variava dalle 4 alle 8 misure, ossia da 1/6 ai 2/6 del tomolo. Questa nefandezza era uso corrente anche nella pratica commerciale, dove i mercanti acquistavano grano, castagne, ceci, ghiande, mais, fagioli, ceci, lupini secchi, etc. a colmo e rivendevano a raso. Nelle tariffe doganali la misura degli aridi era consentita unicamente a peso, evitando quindi l’uso delle misure di capacità per gli aridi.
Nel sistema metrico decimale un tomolo di misure 24 (tre palmi cubici) o due mezzetti equivale a metri cubi 0,0555451. Viceversa, per convertire i metri cubi in tomoli, si moltiplicano per 18,003384 Un mezzetto di due quarti di 12 misure equivale a litri27,772 Il quarto di sei misure equivale a litri 13,886 Una misura di 1/24 di tomolo equivale a litri 2,31438.
Misure di capacità per i liquidi (Vino, aceto, acqua e simili) Vecchie misure Il sistema aragonese non contemplava misure di capacità per i liquidi, che venivano misurati a peso e pertanto nelle istruzioni del 6 aprile 1480 non se ne fa menzione. Per la sola vendita al minuto del vino, tuttavia, fu introdotto e tollerato l’uso di piccole misure quali la caraffa, la foglietta, la cannata e il quartuccio, per la cui misura si faceva riferimento al peso dell’acqua pura ivi contenuta. Al momento di approvazione delle nuova legge metrica erano in uso a Napoli e in altre province la caraffa, la cui denominazione è rimasta invariata e resa applicabile per tutto il regno. La caraffa si divideva in due mezze caraffe e in 4 bicchieri. A Napoli ve n’erano di due tipi: La caraffa per la vendita al minuto conteneva poco più di 26 once d’acqua distillata. La caraffa detta “da barile” ne conteneva poco meno di 29. Quanto al peso, la caraffa conteneva in alcuni luoghi un rotolo, cioè 331/3 once di liquido, in alcuni altri 28, in altri 36, in altri ancora 40, fino a 60. Il barile è composto da un numero variabilissimo di caraffe. Il barile napoletano poteva contenere 60 caraffe per la vendita al dettaglio o 66 “caraffe da barile”. Quest’ultimo era il solo ammesso per le tariffe doganali nel commercio del vino e conteneva circa 28 once di acqua naturale. La botte, a seconda dei luoghi, poteva contenere un numero variabilissimo di barili (12 in Napoli). Il carro, in uso nel Principato Citeriore, era composto da due botti. In tutto il regno, nel ’40, si contavano circa 372 diverse misure di capacità dei liquidi.
Nuove misure Il barile è l’unità di misura di capacità per alcuni liquidi come il vino, l’aceto e l’acqua. Le misure imposte con la nuova legge per tutto il regno, sono quelle appresso elencate. La botte si compone di 12 barili ed equivale a un cilindro retto del diametro di tre palmi e di quattro palmi di altezza. Due botti fanno il carro del vino, misura in uso nel Principato citeriore. Il barile si divide in 60 caraffe. Esso è rappresentato da un cilindro retto con il diametro di un palmo e tre palmi di altezza. Il mezzo barile e il quarto di barile sono le misure reali per la vendita all’ingrosso. La caraffa, sessantesima parte del barile, è suddivisa in 27 once. Negli usi comuni veniva suddivisa in 2 mezze caraffe o in 4 bicchieri. In definitiva: 1 botte = 12 barili = 720 caraffe.
Per ridurre le misure di capacità in misure di peso, bisogna tener conto che un palmo cubo di acqua distillata alla temperatura di 16,144 °C e alla pressione barometrica di palmi 2,865 pesa 20.736 trappesi, ossia 20 rotoli e 736 trappesi (rotoli 20,736). Il peso specifico dell’acqua distillata nelle suddette condizioni e per gli usi comuni, poteva essere assunto per il vino, l’aceto e simili, con i seguenti risultati. Il peso del contenuto di una botte è di palmi cubi 28,27433388 x trappesi/palmo c. 20,736 = trapp. 586,2966 Il peso del contenuto di un barile è di palmi cubi 2,35619449 x trappesi/palmo c. 20,736 = trapp. 48,8580 Il peso del contenuto di una caraffa è di palmi cubi 0,03926991 x trappesi/palmo c. 20,736= trapp. 0,8143 L’equivalente nel sistema metrico decimale del barile è di litri 43,62503 (ettolitri 0,4362503) Quindi, la botte ha la capacità di litri 523,50036 (ettolitri 5, 2350036) Il barile ha la capacità di litri 43,62503 (ettolitri 0,4362503) La caraffa per la vendita al minuto ha la capacità di litri 0,727083833 L’oncia ha la capacità di litri 0,02692903 Viceversa 1 ettolitro = botti 0,1910218 1 ettolitro = barili 2,29226209 1 litro = caraffe 1,375357 1 litro = once 37,134646 Nelle tariffe doganali, per la misurazione del vino, si faceva esclusivamente uso del barile di Napoli.
Misure di capacità per l’olio Vecchie misure L’olio, prodotto in grande quantità nel regno e impiegato soprattutto per usi alimentari e per l’illuminazione domestica, formava oggetto di una intensa attività commerciale ed era oggetto di massicce esportazioni. Come per gli altri liquidi, anche l’olio veniva misurato a peso ma per il commercio al minuto era stato introdotto l’uso delle piccole misure di capacità, con forti speculazioni sulle grandi quantità così minutamente frammentate. Per complicare il settore, alla difformità e varietà delle misure si aggiungeva la notevole differenza delle denominazioni, soprattutto delle piccole misure: caraffa, ambola, boccale, cannata, foglietta, quartuccio, bombolo, coppa, pignatta e così via, differenti da comune a comune e variabili da 12 a 135 once. Le medie misure (stajo, metro, pesa, quarantino, lancella, cafiso), variavano da 9 a 27 rotoli e quelle grandi (salma e botte) da 160 a 500 rotoli. La misura comune per l’olio era lo stajo. Lo stajo napoletano è un vacuo contenente libbre 31, once 4 e scrupoli 15 di acqua naturale. Di olio chiaro libbre 28, once 8, scrupoli 13, acini 6666/1000 che equivalgono a rotoli 101/3 Lo stajo si divide in 6 quarti, il quarto in 16 misurelli. 1 stajo = 6 quarti = 96 misurelli 1 quarto = 16 misurelli La soma (o salma) era composta da 16 staja napoletane mentre la botte da olio era composta da 3 some, ossia da 48 staja napoletane. La Camera di Commercio di Napoli stabiliva per la compravendita dell’olio le seguenti misure, alle quali erano abituati i commercianti stranieri e quelli del regno, largamente impiegate sino alla legge metrica decretata dal Regno d’Italia: Lo stajo di rotoli 101/3 per le vendite al dettaglio La salma di 16 staja, o di rotoli 1651/3 per il comune commercio Nelle altre province del regno la situazione era molto diversificata. Così in alcune località della Puglia e della Basilicata lo stajo era composto da 16 rotoli di olio, dividendosi in 16 caraffe, ciascuna di once 331/3 mentre in altre località si usavano staja di 10 rotoli, 11 rotoli e così via. In alcuni luoghi costieri della Calabria venivano ancora usate antiche misure dai tipici nomi greci come il militro, la mina e così via. In tutto il regno si contavano circa 300 differenti misure praticate per l’olio. Gli acquirenti stranieri, per ovviare a tutta quella confusione di misure, riconoscevano solamente le tre unità di misura appresso specificate per l’olio, sempre a peso. La salma di Gallipoli, composta di 16 staja napoletane di rotoli 101/3 ciascuna e pertanto di rotoli 1651/3. Era la salma più conosciuta tra i commercianti stranieri. 1 salma = Staja 16 x rotoli/staja 10,3333= rotoli 165,3333 Il peso in olio era di rotoli 165,3333 x Kg/rotolo 0,089123163 = Kg 14,73500 Nella pratica, a Napoli si negoziava però a staia di rotoli 101/5, ciascuno dei quali corrispondeva alla sedicesima parte della salma di Gallipoli. La botte, composta da 44 staja napoletane o di salme 23/4 di rotoli 165 1/3 e del peso di rotoli 4542/3 1 botte = Salme 2,75 x rotoli/salma 165,3333 = rotoli 454,6666 La salma di Bari e di Monopoli, avente il peso di 170 rotoli e di Kg 15,147. Per le suddette ragioni anche i prezzi di borsa erano riferiti a quelle misure: la salma di 16 staja, la botte di 44 staja e la salma di 170. Conversione in litri del sistema metrico decimale. Salma di staia 16 = litri 158,600 Staio di quarti 6 = litri 9,913 Quarto di misurelli 16 = litri 1,652 Misurello per la vendita al minuto = litri 0,103 Nuove misure L’olio d’oliva è un liquido viscoso, soggetto a variare di volume secondo la composizione e la temperatura. Il suo peso specifico (peso per unità di volume) è inferiore a quello dell’acqua distillata, che alla temperatura di 4 °C è 1000. Difatti un litro d’olio pesa mediamente Kg 0,915 ossia 915 grammi. A confronto l’aceto ha un peso specifico superiore, che varia da 1015 a 1020 e il vino da 900 a 1000. La legge metrica del 1840 ha stabilito che l’olio sia misurato esclusivamente a peso e cioè a cantaia, a rotoli e a frazioni decimali di rotolo. Solo per il commercio al minuto è tollerata la misura a capacità, però in recipienti cilindrici che ne garantiscano sostanzialmente il peso, e per piccole misure, non superiori al rotolo. Va qui ricordato che 1 cantajo = 100 rotoli 1 rotolo = 1.000 trappesi (peso Kg 0,891) 1 oncia = 30 trappesi In sostanza: 1 cantajo = 100 rotoli = 100.000 trappesi 1 rotolo = 1.000 trappesi = 30.000 acini
Scompaiono quindi lo stajo e la salma, sostituiti con i pesi di 10 e 100 rotoli. Per trasformare i rotoli a cantaja e viceversa bisogna operare come segue. Il passaggio da rotoli a cantaja si fa moltiplicandoli per 165,3333/100 ossia per 1,653333. Viceversa, per passare da cantaja a rotoli si moltiplica per 100/165,3333 ossia per 0,604851 Il peso dell’olio contenuto in una botte legale è di 5,366 cantaja Nel sistema metrico decimale, 1 salma di 16 staia corrisponde a litri di olio 158,600 1 staio di 16 quarti - litri di olio 9,913 1 quarto di 6 misurelli - litri di olio 0,619 1 misurello per la vendita al minuto - litri di olio 0,103 Quanto al prezzo dell’olio esso variava, nelle diverse piazze, per ogni cantaio legale, da un minimo di ducati 17,09 (ducati 17 e grani 9) sulla piazza di Rossano a un massimo di ducati 17,79 su quella di Bari. Per le contrattazioni già in essere e per la liquidazione dei vecchi conti la legge ha consentito che per cinque anni ancora si potesse fare ricorso alle vecchie misure, a condizione di indicare la corrispondenza con i pesi legali.
Misure di peso Vecchie misure Sin dall’epoca normanna l’unità di peso delle Due Sicilie era l’oncia d’oro, il cui peso era esattamente identico all’oncia-peso. L’una e l’altra, poi, di dividevano in 30 parti uguali a loro volta divisibili in 20 parti: Oncia peso = 30 trappesi o tarì-pesi, ciascuno di 20 acini chiamati altrimenti grani. Oncia moneta = 30 tarì ciascuno di 30 grani Partendo dal peso delle monete d’oro si formarono e si conservarono presso la regia zecca i campioni di peso. Così, il peso di 12 monete d’oro di un’oncia formavano il campione di peso di libbra, il peso di 100 monete d’oro di un’oncia formavano il campione di tre rotoli. Le misure di peso impiegate in Napoli erano le seguenti: 1 rotolo = 33 once e 1/3, 1 oncia = 10 dramme = 30 trappesi, 1 dramma in 3 trappesi, 1 trappeso = 20 acini o grani L’acino o grano assumeva quel nome poiché il suo peso equivaleva pressappoco a quello di un grano di frumento maturo di media grandezza. Di modo che 1 rotolo = once 331/3 = dramme 333,3333 1 oncia = dramme 10 = 30 trappesi = 600 grani o acini 1 dramma = trappesi 3 = 60 grani o acini 1 trappeso = 20 acini o grani Una commissione di scienziati nel 1811 comparò il rotolo napoletano con il chilogrammo francese e ne stabilì il rapporto. 1 rotolo = Kg 0,8909972 Viceversa, 1 Kg = rotoli 1,122337983 In altre realtà locali e per i prodotti più disparati, la misura del rotolo era estremamente variabile, da 30 a 56 once. Esempi di conversione di vecchi rotoli: I rotoli di 48 once si convertono in rotoli legali moltiplicandoli per 1,44 (il rapporto inverso è 0,69444) I rotoli di 52 once si convertono in rotoli legali moltiplicandoli per 1,50 (il rapporto inverso è 0,64102) I rotoli di 54 once si convertono in rotoli legali moltiplicandoli per 1,62 (il rapporto inverso è 0,61728) I rotoli di 56 once si convertono in rotoli legali moltiplicandoli per 1,68 (il rapporto inverso è 0,59524) La libbra era solitamente considerata pari alla quarta parte del rotolo di 44, di 52 o di 56 once e quindi misurava 11 once, 13 once o 14 once. La libbra di 12 once (vedi pesi farmaceutici) equivaleva a 120 dramme o a 360 trappesi o a 7200 acini. La misura di 4 rotoli, che traeva la sua origine dalle istruzioni del 16 aprile 1480, era detta decina poiché ricavata moltiplicando per 10 il peso del cubo d’oro puro avente lo spigolo di 1/10 di palmo (vedi capitolo sulle monete). La decina era molto usata nel commercio della lana, lino, canapa e carne suina.
Nuove misure Il nuovo sistema ha conservato, quale unità fondamentale delle misure di peso, l’antico rotolo, il cui campione era conservato nella regia zecca. Di modo che il peso intrinseco del rotolo è rimasto invariato, solo che segue la progressione decimale, dividendosi in decimi, centesimi e millesimi di rotolo, anziché in once 331/3. Per la sua parte millesimale si è conservato il nome di trappeso. In tal modo sono state bandite dal sistema metrico la libbra e l’oncia, che erano state la causa di tante difformità e confusione. 1 cantajo = 100 rotoli = 100.000 trappesi (usato per merci di grande peso) 1 rotolo = 1.000 trappesi (usato merci di peso medio) 1/10 di rotolo = 100 trappesi 1/100 di rotolo = 10 trappesi 1 trappeso = 1/1000 di rotolo (usato per merci di piccolo e piccolissimo peso) Nelle tariffe doganali si fa uso del rotolo e del cantajo da 100 rotoli mentre la libbra (v. pesi farmaceutici) viene usata solo per le piante officinali e per le sostanze medicinali. La legge (art. 7) ha stabilito il rapporto tra rotolo e chilogrammi del sistema francese: 1 rotolo di trappesi 1000 = Kg 0,890997 (Viceversa, 1 Kg = rotoli 1 : 0,890997 = 1,122337983) Conversione delle altre misure di peso 1 cantajo di rotoli 100 = kg 89,0997 Il decimo di rotolo di 100 trappesi= Kg 0,08910 Il centesimo di rotolo di 10 trappesi = Kg 0,00891 Libbra tollerata di once 12, o 360 trappesi = Kg 0,320758920 = g 320,758920 Oncia di 30 trappesi = Kg 0,02673 Trappeso di 20 acini = Kg 0, 000890997 (unità per piccoli pesi) La legge ha indicato anche il rapporto esistente tra unità di capacità e di peso. “Un palmo cubico di acqua distillata pesa in Napoli nell’aria rotoli 20 e trappesi 736 alla temperatura di 16°,144 del termometro centigrado, e alla pressione barometrica di palmi 2,856 (76 centimetri circa)”. Il rapporto tra il palmo cubico e il peso di un ugual volume di acqua distillata rappresenta la base di paragone per i pesi unitari di tutte le altre sostanze (peso specifico), tralasciando quindi la relazione stabilita nel vecchio sistema tra il cubo d’oro avente lo spigolo di 1/10 di palmo e il suo peso di quattro rotoli. La conoscenza del valore del peso specifico delle varie sostanze era – e rimane - di fondamentale importanza, soprattutto nelle scienze e nelle costruzioni. Così erano state redatte apposite tabelle che individuavano il peso del palmo cubico di alcuni corpi, paragonato al palmo cubo dell’acqua distillata, come quella comparsa a scopo divulgativo sul “Calendario Repubblicano per l’anno 7° della libertà e 1° della Repubblica Napoletana” pubblicato a Napoli nel 1799, che riprendeva quelle precedentemente pubblicate negli almanacchi del regno.
Rimaneva tollerata, sino a nuova disposizione, per il solo settore farmaceutico, l’uso della libbra con le sue suddivisioni.
Pesi farmaceutici La legge metrica del 1840 (art. 8) stabilisce che, sino a nuova disposizione, e per i soli usi farmaceutici, rimanga in vigore il peso della libbra e le sue suddivisioni, e cioè: la libbra in 12 once, l’oncia in 10 dramme, la dramma in 3 scrupoli o trappesi, lo scrupolo in 2 oboli e l’obolo in 10 acini o grani. Così, 1 libbra = 12 once = 120 dramme = 360 trappesi = 720 oboli = 7200 grani
Sottomultipli della libbra La libbra venne impiegata tuttavia nella regia zecca, anche dopo la legge metrica, per il peso delle monete e dei metalli preziosi, nonostante la difformità dalla progressione decimale. Le ragioni della preferenza stavano nel fatto che alcune frazioni constavano di un numero intero di once. Per trasformare le libbre di 360 trappesi in rotoli legali di 1000 trappesi basta moltiplicarne il numero per 0,360 e viceversa, per passare da rotoli a libbre, per 2,77777. Le Libbre si riducono moltiplicandole per 320 Grammi e 724 centigrammi g 320,758920 Le Once si riducono moltiplicandole per 26 grammi e 751 centigrammi. g 26,729910 Le Dramme si riducono moltiplicandole per 2 grammi e 675 centigrammi g 2,672991 Gli Scrupoli o trappesi si riducono moltiplicandoli per 891 centigrammi. g 0,890997 L’acino si riduce moltiplicandolo per 40 centigrammi g 0,044550
Misure di peso per orafi e gioiellieri Per i diversi lavori in oro prodotti dall’industria dei gioiellieri e dagli orefici erano ammessi titoli più bassi rispetto al ducato, dov’erano prescritti 996/1000 di oro puro e i rimanenti 4/1000 di lega. S’intuisce bene che essendo difficile verificare l’esattezza dei titoli, il settore si prestava a facili truffe, anche per i lavori in argento. I gioiellieri utilizzavano per i loro bisogni un sistema di misura difforme dai pesi comuni ed esclusivo di quel settore, la cui scomposizione fu definita “strana suddivisione” da Afan De Rivera. L’oncia, dodicesima parte della libbra e i suoi sottomultipli (dramme, scrupoli, oboli, acini), servivano anche a pesare l’oro e l’argento 1 libbra = 12 once 1 oncia = 10 dramme 1 dramma = 3 trappesi 1 trappeso = 2 oboli 1 obolo = 10 grani 1 grano Riassumendo: 1 libbra = 12 once = 120 dramme = 360 trappesi = 720 oboli = 7200 grani L’unità di misura per le pietre preziose e le perle era l’oncia di 30 trappesi, uniforme in tutto il regno, divisa però in 130 parti dette carati. Il carato era diviso in 4 grani e ciascun grano in 16 parti dette sedicesimi.
1 oncia = 30 trappesi = 130 carati = 520 grani= 8320,0159 sedicesimi 1 trappeso = carati 4 1/3 =171/3 grani =2771/3 sedicesimi 1 carato = 4 grani = 64 sedicesimi 1 grano = 16 sedicesimi 1 sedicesimo 1
Viceversa, 1 carato = trappesi 0,230769408 1 grano = trappesi 0,057692751 1 sedicesimo = trappesi 0,00360579
Monete Mediante accurate misurazioni era stato accertato che un cubo di oro puro con lo spigolo di 1/10 di palmo, ossia di palmi cubi 0,001 pesava esattamente 400 trappesi ossia 4/10 di rotolo. La decina che pesava 4 rotoli fu impiegata come campione, secondo le istruzioni della legge 16 aprile 1480. In questo modo era stabilita una ben definita relazione tra palmo, peso e valore delle monete. Così il cubo d’oro di cui sopra avente lo spigolo di 1/10 di palmo e del peso di 400 trappesi, aveva il valore di 400 tarì d’oro, ossia 13 once d’oro e dieci tarì. Abbiamo già visto che sin dall’epoca normanna l’unità di peso delle due Sicilie era l’oncia d’oro, il cui peso era esattamente identico all’oncia-peso. L’una e l’altra, poi, di dividevano in 30 parti uguali a loro volta divisibili in 20 parti Oncia moneta = 30 trappesi o tarì-pesi, ciascuno di 20 acini chiamati altrimenti grani. Oncia peso = 30 tarì ciascuno di 30 grani Sia l’oncia moneta che l’oncia peso erano quindi suddivisibili in 600 parti uguali (acini o grani o granelli). Il principio era quello classico di considerare come merce le monete dei metalli preziosi. 1 oncia d’oro = 30 tarì = 600 grani 1 tarì = 20 grani Negli anni a seguire la dominazione normanna e quella sveva, il sistema monetario non subì cambiamenti di sorta se non nel valore delle monete. Così, l’unità monetaria rimase l’oncia d’oro e non già l’oncia peso, con la sua suddivisione in 30 tarì e ciascun tarì in 20 grani. Il sistema era stabilito secondo la progressione decimale, con il ducato quale unità, che si divideva in 10 carlini e in 100 grani. Con la legge del 19 maggio 1811 fu prescritta l’abolizione del sistema monetario e l’introduzione di quello francese che comprendeva lire e centesimi dove il rapporto del ducato con la lira era di 100 a 23 ma la riforma trovò applicazione solo nei conti delle amministrazioni pubbliche mentre nei rapporti tra privati si continuarono ad usare ducati e grani. Viste le difficoltà di applicazione delle nuove norme, il medesimo governo, con legge del 17 agosto 1814 abrogò la precedente e richiamò in vigore l’antico sistema monetario. Prescrisse tuttavia che, seguendo la progressione decimale, il grano si dividesse in 10 cavalli o calli, disposizione confermata poi dalla legge di riforma borbonica del 20 aprile 1818, che statuì l’ultimo sistema monetario del regno.
La legge stabilì, a priori, che rimanessero in corso, secondo il loro valore nominale, “le monete coniate in tempo d’anarchia del 1799 e de’ due ultimi occupatori de’ nostri reali dominj al di qua del faro”, permettendo a chiunque di acquistare le monete, di fonderle e di avvalersene per lavori, esportazioni o per altro uso. Monete d’argento. Il ducato. La legge stabilì di considerare il ducato d’argento come l’unità monetaria delle Due Sicilie, cui rapportare i prezzi dei beni e servizi, stabilendone il peso in argento di 515 acini e il titolo di millesimi 8331/3 ossia contenente millesimi 833,3333 di “argento puro di coppella” e i rimanenti 1662/3 ossia millesimi 166,6666 di lega. In peso, acini 429,1666 di argento puro e acini 85,8333 di lega. Il rapporto era dunque di 5/6 di argento puro e 1/6 di lega. Il ducato, benché molto raro in circolazione, fu la moneta di riferimento per tutti i conteggi e le contrattazioni commerciali. Il ducato si divide in 100 centesimi denominati grana nei domini di qua del faro e bajocchi in quelli al di là del faro. Il conio era previsto per le seguenti monete in argento: Il ducato d’argento, composto di 10 carlini d’argento Il carlino, denominato tarì nei domini di là del faro (1/10 di ducato) Il due carlini, “ 2 tarì nei domini di là del faro Il 6 carlini, “ 6 tarì nei domini di là del faro Il 12 carlini, “ scudo o piastra del valore di 12 tarì nei domini di là del faro1 ducato d’argento = 10 carlini d’argento = 100 grani di rame = 1000 decimi di grano detti calli o cavalli
Monete d’oro. Il ducato d’oro, equivalente al ducato veneziano, fu coniato per la prima volta al tempo di Ferdinando I d’Aragona, divenendo l’unità monetaria del regno. La legge del 1818 ne ha portato il titolo in oro a 996 millesimi corrispondenti alla vecchia misura di carati 23904/1000 Titoli diversi erano però consentiti per i lavori in oro eseguiti dagli orefici e dai gioiellieri. Il conio era previsto per le seguenti monete in oro (numeri multipli di 3): Le oncette, del valore di 3 ducati Le quintuple, del valore di 15 ducati Le decuple del valore di 30 ducati. La legge non annovera il ducato tra le monete da coniarsi in oro, pertanto era prodotto solo in argento.
Monete di rame. Al disotto di dieci centesimi ossia di 10 grani era prevista unicamente l’emissione di monete di rame mentre al disopra dei 10 centesimi le monete erano solo in argento. Il conio era previsto per le seguenti monete di rame: Il mezzo grano, volgarmente detto tornese. In Sicilia denominato grano siciliano o mezzo bajocco. Il grano, in Sicilia denominato due grana o bajocco. Il due grana e mezzo, volgarmente detto cinquina e in Sicilia 5 grana ossia due bajocchi e mezzo. Il cinque grana, in Sicilia denominato 10 grana ossia cinque bajocchi.
Considerazioni intorno ad alcune monetine di rame Disattendendo le disposizioni sopra citate - e ciò costituiva, secondo Afan De Rivera, una sconcezza – si continuarono tuttavia a coniare monete di 6 e 12 carlini che non rispettavano quindi la progressione decimale. La moneta di 12 carlini (120 grani) equivaleva a 6/5 del ducato La moneta di 6 carlini (60 grani) equivaleva a 3/5 del ducato Per conoscere il numero di monete da 12 o da 6 carlini occorrenti per i pagamenti, bisognava moltiplicare i ducati per 5/6 o per 5/3. Es: 150 ducati corrispondevano a 150 x 5/6 = 125 monete di 12 carlini oppure a 150 x 5/3 = 250 monete di 6 carlini. Circolavano quindi contemporaneamente i ducati di 100 grani assieme alle monete da 120 e da 60 grani. Al disotto di 1 carlino, ossia di 10 grani, si continuarono a coniare altresì le monetine sussidiarie di 3, di 4 e 9 calli. La monetina da 3 calli rappresentava 1/4 di grano La monetina da 4 calli rappresentava 1/3 di grano La monetina da 9 calli rappresentava 3/4 di grano L’ordinanza del Ministro delle Finanze in data 8 maggio 1818 puntualizza, fra l’altro, che la moneta di riferimento del regno come misura dei prezzi e per ogni valutazione è d’argento di cui la legge ha assegnato il titolo e il peso, vietandone l’aggio nei cambi dei multipli e sottomultipli dell’unità monetaria, costituita dal ducato. L’oro, per contro, ritenuto volgarmente materia di moneta, di fatto non lo era, non potendo essere misura dei prezzi, al punto che anch’esso era valutato dall’argento e non era vietato l’aggio del cambio dell’oro in argento e viceversa. La zecca poteva ricevere i metalli preziosi e farne la coniazione per conto dei possessori, previo compenso per spese di raffinazione e manifattura.
Cenni sui pesi e le misure stabilite per la sicilia con il real decreto del 31 dicembre 1809. Misure di lunghezza. La misura di lunghezza è la canna di palmi 4, la quale si divide in due mezze canne, la mezza canna in 2 passetti, il passetto in 2 palmi, il palmo in 12 once, l’oncia in 12 linee e la linea in 12 punti. Il palmo di Sicilia è uguale a metri 0,2581882. Il miglio di Sicilia è di palmi 5760 - pari a Km 1,4871639 - e si divide in 45 corde, la corda in 4 catene, la catena in 4 canne e la canna in 8 palmi.
Misure di superficie L’unità di superficie è il palmo quadrato, i cui multipli sono denominati quartiglio, quarto, carozzo, mondello, tumolo o tomolo, bisaccia e salma. Il quartiglio è la canna quadrata.
Misure di volume. Il palmo cubico è l’unità di misura del volume. I suoi multipli e sottomultipli seguono l’ordine delle misure lineari elevate al cubo (oncia cubica, passetto cubico, etc).
Misure agrarie. La misura agraria è la salma - pari a 1,7474814 ettari - che si divide in 4 bisacce, la bisaccia in 4 tomoli, il tomolo in 4 mondelli, il mondello in 4 carrozzi, il carrozzo in 4 quarti, il quarto in 4 canne quadrate.
Misure di capacità per gli aridi. La misura di capacità per gli aridi è il cubo vacuo detto tumolo, - pari a 17,2111134 litri - che corrisponde al cubo di un palmo. Esso si divide in 4 mondelli, il mondello in 4 carozzi, il carozzo in 4 quarti, il quarto in 4 quartigli. Quattro tomoli fanno una bisaccia e 4 bisacce formano una salma.
Misure di capacità per i liquidi. La misura di capacità per i liquidi è il quartaro o mezzo barile – pari a 17,2111134 litri – che corrisponde al cubo del palmo. Esso si divide in 20 quartucci, il quartuccio in 2 caraffe, la caraffa in 2 bicchieri. Due quartari fanno il barile, 8 barili formano la botte che è uguale al cubo di 4 palmi.
Misure di peso. La misura di peso è il rotolo – pari a Kg 0,7939319 - che corrisponde al peso di un quartuccio di olio di oliva lampante (usato in prevalenza per l’illuminazione domestica) alla temperatura di 64° Far. Esso si divide in 30 once, l’oncia in 8 dramme, la dramma in 3 danari, il danaro in 20 grani o cocci, il coccio in 8 ottavi. Cento rotola formano il cantajo e 12 once formano la libbra.
Monete in uso al di là del Faro Monete d’oro In Sicilia i conteggi si fanno in onze di 30 tarì con tarì di 20 grani. L’onza siciliana è una moneta effettiva di oro, al titolo di 906 millesimi, che deve pesare grammi 4,399. Essa vale in Napoli 3 ducati e per conseguenza le parallele monete sussidiarie di Sicilia valgono la metà di quelle di Napoli.
Monete d’argento Il ducato d’argento del peso di 515 acini napoletani, eguali a 416 cocci siciliani Lo scudo o piastra – è la principale moneta in argento della Sicilia, composto di 12 tarì. Il titolo d’argento in millesimi è di 8331/3 e il peso di grammi 27,53. Il tarì Il 2 tarì Il 6 tarì Il 12 tarì era la moneta in circolazione più comune Lo Scudo o piastra del valore di 12 tarì
Monete di rame Il mezzo bajocco o grano siciliano. In bajocco o due grana siciliani I 5 grana ossia due bajocchi e mezzo. I 10 grana ossia cinque bajocchi.
Riepilogo della conversione delle nuove misure napoletane nel sistema metrico decimale.13
Le espressioni del tipo 8331/3 non sono funzioni esponenziali. Nel caso specifico ha il significato di 833 e 1/3, ossia 833 + 1/3 = 833,333333. Del resto spesse volte nei calcoli esposti quel significato è stato concretamente indicato.
Note 1. Carlo Afan De Rivera, Della restituzione del nostro sistema di misure pesi e monete alla sua antica perfezione, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1840. 2. Ferdinando Visconti, Del sistema metrico uniforme che meglio si conviene a’ dominj di qua del Faro del Regno delle Due Sicilie Atti della Reale, Atti della Reale Accademia delle Scienze, vol. III, Napoli, Stamperia Reale, 1832, pagine 77 a 142. 3. Ferdinando Visconti, Sulla uniformità de’ pesi e delle misure ne’ reali dominj di qua dal faro del Regno delle Due Sicilie, Napoli, Reale Tipografia della Guerra, 1837. 4. Ferdinando Visconti, Del sistema metrico della città di Napoli e della uniformità de’ pesi e delle misure che meglio si conviene a’ Reali Dominj di qua del faro, Napoli, Stamperia Reale, 1838. 5. Giuseppe Ceva Grimaldi, Rapporto all’Accademia Pontiana intorno ad un opuscolo che ha per titolo Sulle riforme dei pesi e delle misure né reali dominii al di qua del Faro … Napoli, stamperia e cartiera del Fibreno, 1837. 6. Ferdinando De Luca, Esame critico di alcuni opuscoli pubblicati intorno al sistema metrico della città di Napoli, Napoli, Stamperia e cartiera del Fibreno, 1839. 7. Ferdinando Visconti, Del sistema metrico della città di Napoli e della uniformità de’ pesi e delle misure che meglio si conviene a’ Reali Dominj di qua del faro, Napoli, Stamperia Reale, 1838. 8. Carlo Afan De Rivera, Tavole di riduzione dei pesi edelle misure delle Due Sicilie in quelli statuiti dalla legge 6 aprile 1840m Napoli, Stamperia e cartiere del Fibreno, 1840. 9. Ibidem 10. F. Amante, Elementi di Aritmetica, Reale Tipografia della Guerra, Napoli, 1841. 13. G. Gandolfi, Tavole di ragguaglio delle unità di pesi e misure etc., Napoli, Stabilimento Tipografico di Giuseppe Gataeno, 1861. |
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