Realtà o psicosi collettiva?
Non voglio parlare dei numeri, sui quali ora ci si sta accapigliando di nuovo. Infatti i due fronti (ottimisti e pessimisti) presentano continuamente numeri completamente diversi o almeno letti in maniera diametralmente opposta. Vorrei invece solo soffermarmi a riflettere sulla natura del fenomeno che stiamo vivendo, ma prescindendo intanto da numeri e statistiche. È possibile infatti che ciò che stiamo vivendo non sia altro che una psicosi collettiva, della quale tutti ci stiamo facendo vittime imbelli perché di fatto non vi è altra strada. Siamo, cioè, così schiacciati dai proclami allarmistici degli infettivologi e statistici, e siamo così obbligati all’obbedienza civile ed anche al dovere della solidarietà e prudenza, che non possiamo in alcun modo fare affermazioni categoriche in senso contrario né tanto meno possiamo assumere atteggiamenti ribelli. Intanto però ci ritroviamo davanti ad un’epidemia pandemica con numeri di morbilità e mortalità che sono senz’altro rilevanti ma intanto sono incredibilmente sproporzionati rispetto al livello di allarme che è stato generato e che stiamo vivendo. E, come medico, credo che ciò non sia mai accaduto nella storia. È possibile, mi chiedo, che a nessuno sembri strano questo fenomeno che oggettivamente è così lampante? Allora – una volta preso atto di tutto questo e dopo aver rinunciato a ricorrere ai numeri – vorrei tentare (come psicoterapeuta) una piccola lettura psico-genetica di ciò che sta accadendo.
Mi sembra insomma che molto probabilmente l’allarme generato fin dall’inizio dalla crisi (e forse da parte di chi aveva ed ha interesse ad esso) abbia selezionato molto rapidamente nell’opinione pubblica un tipo psicologico ipocondriaco che è divenuto poi ben presto l’ago della bilancia dell’intera questione. Costui infatti esige imperiosamente ed insistentemente da tutti gli altri che essi si sottomettano alla psicosi collettiva in modo che venga rispettata scrupolosamente la sua aspettativa di non doversi in alcun modo né ammalare né morire. Ma trattandosi di un ipocondriaco (e quindi un ossessivo) l’esigenza di sicurezza da lui espressa deve necessariamente andare ben oltre i limiti del ragionevole, ossia deve essere assoluta. Ed ecco allora gli allarmati moniti che rendono impossibile allentare i freni ogni volta che ci si sta avvicinando alla fine del periodo di lockdown che intanto era stato prescritto. Il che poi rischia di prolungare all’infinito il lockdown stesso, come ho già detto nei miei precedenti posts. Ecco, pensiamoci un po’. Magari questo ci aiuta a trovare una via di uscita.
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