Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Antonio Cecchi, storia di un rivoluzionario

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Infanzia e adolescenza a Scafati

Originario di Perito, in provincia di Salerno, il maestro elementare, Basilio Mariano Cecchi (1865 – 1932), aveva insegnato ad Oliveto Citra, prima di essere trasferito a Scafati, dal 1890 al 1905. In questa ultima cittadina aveva conosciuto e sposato Clotilde Langella (1862 – 1941) anche lei maestra elementare e assunta dallo stesso comune fin dal 1879.

Andarono ad abitare presso la casa paterna della moglie, in Via Casa Bracco, dove nacquero, tra il 1891 e il 1905, i loro sei figli, quattro maschi e due femmine: Camillo, Pasquale, Antonio, Rosa, Giovanna e Mario.

Il terzogenito Antonio nascerà il 23 aprile 1895. Scafati, come ricordava in una sua memoria autobiografica, nel febbraio 1972, l’ormai ottantunenne Pasquale, il secondogenito di casa Cecchi, era un centro operaio molto importante. Vi erano fabbriche di filature e tra queste, due rivestivano particolare importanza, quelle appartenenti agli industriali svizzeri-tedeschi, Wenner e Weidmann, dove vi lavoravano centinaia di donne.

 

«(…) Vi era anche l’istituto sperimentale per la coltivazione dei tabacchi, unico in Italia, dove lavoravano uomini e donne guidati da dottori e periti agrari. Molti operai andavano a lavorare nella Ferriera di Torre Annunziata (…)»1

 

Sotto l’abitazione della casa di Via Bracco vi era la Camera del Lavoro, luogo di lunghe discussioni politiche, d’interminabili riunioni, d’infuocate assemblee operaie, delle quali dovettero essere iniziali passivi spettatori ed ascoltatori i piccoli fratelli Cecchi, nelle cui menti dovettero però entrare primi pesanti interrogativi sul perché tanta gente s’incontrava, discuteva e spesso gridava su questioni legate alla fatica quotidiana, al lavoro che non c’era e al salario sempre insufficiente.

Per i bambini di casa Cecchi, simili questioni non dovevano essere di facile comprensione: figli di due maestri, entrambi occupati, seppure anch’essi privi del superfluo, l’essenziale non doveva, però, loro mancare.

Come se questo non bastasse, negli anni 1908-1909, si trasferirono in Piazza Fontana, dove quasi tutte le domeniche si tenevano comizi di propaganda progressista da parte d’oratori socialisti e repubblicani.

Proprio sul finire del 1907 la Camera del Lavoro di Scafati aveva tentato, riuscendovi, di sindacalizzare le mille lavoratrici del cotonificio Wenner e avviando con loro le prime discussioni per ridurre il pesante sfruttamento attraverso la richiesta di riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento del salario e l’eliminazione del massacrante turno notturno per le donne e i ragazzi.

Ma fu l’autunno del 1910 a vedere protagoniste le tessitrici di Scafati, dove alcune operaie furono licenziate per rappresaglia a seguito di un’agitazione contro l’amministrazione comunale per le eccessive tasse imposte. Il fatto provocò lo sciopero ad oltranza di tutte le dipendenti.

Cariche della polizia, devastazione della Camera del Lavoro da parte delle forze dell’ordine, decine di feriti, arresti indiscriminati di lavoratori e dello stesso Segretario generale dell’organizzazione economica, Felice Guadagno, accusato di tentato omicidio perché erano stati sparati colpi di rivoltella contro una trentina di crumire in viaggio sul treno che le trasportava da Poggiomarino a Scafati, non impedirono la vittoria finale, arrivata soltanto il 7 febbraio 1911, dopo 134 giorni di durissima lotta.2

Camillo, Pasquale e Antonio Cecchi, assistevano al movimento di lotta e istintivamente partecipavano per gli operai e le operaie in sciopero:

 

«Imparai così a conoscere che cosa fosse la condizione operaia e che cosa fosse lo sfruttamento capitalistico e sentii una grande solidarietà per quelle donne che si logoravano la vita per un salario che non compensava la mancanza di sole cui erano costrette, né permetteva loro un minimo di vita decente, senza riposo sufficiente a dar tregua alla massacrante fatica (...)» 3

 

Decisero, senza pensarci oltre, di frequentare la sede del Partito Socialista e di iscriversi alla sezione giovanile, diventando in breve tempo attivi militanti e tra questi, da subito, emerse il più piccolo dei primi tre fratelli, Antonio. Dei tre fratelli probabilmente è lui il corrispondente del settimanale socialista napoletano, La Propaganda, che si firma col solo cognome, Cecchi. Il primo degli articoli fu pubblicato nel numero del 1° giugno 1912:

 

«Domenica, com’era stato già annunziato con pubblico manifesto, si tenne un comizio in Piazza Fontana per l’organizzazione e pel rincaro dei viveri. Aprì il comizio il segretario, incoraggiando ad organizzarsi (…) chiuse il comizio il compagno Amedeo Bordiga che venne interrotto dal delegato, il quale non si fa scrupoli di andare a banchetto e di brindare coi preti, e che non può più ingoiare le pillole, ahi! Troppo amari che gli oratori precedenti gli fecero ingoiare. Egli sciolse il comizio fra le proteste dei lavoratori che si radunarono nella Camera del Lavoro, dove il compagno Bordiga continuò il suo discorso interrotto dal troppo zelante capo della pubblica sicurezza.»4

 

Un nuovo articolo è pubblicato il 31 agosto, firmato N.N. ma sicuramente ancora del giovane Antonio, dove dà conto di un altro comizio nella solita Piazza Fontana, a favore di Giuseppe Ettor e Arturo Giovanetti, due italiani emigrati negli Stati Uniti d’America ingiustamente accusati d’omicidio, come poi il processo stabilirà, assolvendoli il successivo 26 novembre e a favore dei quali vi fu in Italia una grande mobilitazione popolare con Comitati di difesa e addirittura proponendo una candidatura politica in due collegi elettorali italiani.

Ancora una volta la manifestazione fu sciolta bruscamente dal delegato di pubblica sicurezza provocando le sdegnate proteste del socialista Salvatore Crispino e per questo arrestato e trasferito nelle carceri di Angri con l’accusa di oltraggio.5

Intanto, fin dal 1905 Basilio Cecchi era direttore didattico a Castellammare di Stabia, dove aveva vinto un concorso bandito dal comune e faceva quindi la spola tra luogo di lavoro e quello di residenza, fino a quando, il 30 settembre di quel 1912, anche Clotilde non riuscì ad essere assunta in servizio nelle scuole elementari comunali della Città delle Acque.6

Sul finire di novembre la famiglia Cecchi lasciò quindi definitivamente la piccola cittadina salernitana, per trasferirsi nella città dei cantieri navali, andando ad abitare in Via Catello Fusco 169, nel tratto attualmente (dal 1931) denominato Via Roma.

 

Castellammare di Stabia

Città d’antichissima tradizione industriale, Castellammare vantava una ramificata presenza di piccole e grandi aziende metallurgiche, alimentari e tessili ma a questo non corrispondeva un’altrettanta forte presenza organizzata del movimento operaio.

Tentativi n’erano stati fatti tanti, in un passato lontano e recente: il più antico risaliva a novembre 1869, quando fu costituita una sezione della Prima Internazionale, con Luigi Maresca, bisognò poi attendere il 1902 con Raffaele Gaeta e Vincenzo De Rosa, segretari della prima lega metallurgica degli operai della ditta Cattori; gli stessi operai ci avevano riprovato un anno dopo sotto la guida di Giuseppe Spalletta con l’ambizione maggiore di costituire una Camera del Lavoro, ma entrambi i tentativi non superarono la rispettiva estate. Anni dopo, nell’ottobre 1907, finalmente con Catello Langella, primo Segretario Generale, il sogno divenne realtà, ma non durò molto.

Ancora una volta solo pochi mesi d’illusioni e il naufragio si presentò puntuale chiudendo i battenti nel marzo 1908, una sconfitta certificata dalla partenza dello stesso Langella per l’Australia, dove già viveva Carolina, una delle sue sorelle.

Un nuovo tentativo, ancora con Raffaele Gaeta, Vincenzo De Rosa e Vito Lucatorto, instancabili motori del socialismo stabiese, in particolare il primo, già tra i protagonisti della fondazione della prima sezione del PSI del 26 luglio 1900 e primo assessore dell’unica Giunta ante litteram di centrosinistra di Castellammare dell’Italia sabauda a seguito della vittoriosa campagna elettorale delle amministrative parziali del 22 luglio 1906, quando furono eletti ben 5 consiglieri socialisti, rovesciando la precedente Giunta guidata da Alfonso Fusco e  varando un nuovo governo cittadino con la componente democratica liberale, eleggendo sindaco il medico Tommaso Olivieri (1849 – 1933).

La Giunta si ritrovò da subito sotto il fuoco incrociato dei benpensanti locali che videro con orrore i «diavoli rossi» impossessarsi del potere e della stessa componente di sinistra della sezione socialista guidata da Ignazio Esposito, militante «dal carattere violento e impulsivo, l’anima di tutti i movimenti sovversivi che si verificarono a Castellammare fino al 1917», costringendoalle dimissioni l’assessore Gaeta nel giugno 1907, dopo un anno vissuto pericolosamente.7

Le elezioni anticipate del 1 marzo 1908 ripristinarono la normalità di sempre, con il ritorno della classica Giunta clerico moderata e nuovamente un Fusco a sindaco della città: dopo Catello e Alfonso, non poteva mancare l’ultimo rampollo, Ernesto. 

Cogliendo l’occasione delle amministrative parziali del 24 luglio 1910, l’avvocato Gaeta, coadiuvato dal celebre segretario della Camera del Lavoro, Gino Alfani e da Vincenzo De Rosa, convocò un pubblico comizio con un centinaio di lavoratori, rilanciando la necessità di ricostituire la Camera del Lavoro, riuscendo a suscitare un entusiasmo mai spento tra gli operai nonostante le forti delusioni del passato.

Purtroppo ancora una volta l’organizzazione camerale nacque già morta, non riuscendo mai a diventare un vero e proprio punto di riferimento, trasformandosi ben presto in uno stanco dopolavoro. Eppure, secondo un periodico locale dell’epoca, il quindicinale cattolico, L’Aurora, «(…) i socialisti stanno facendo immensi progressi con la Camera del Lavoro e col circolo giovanile (…)»8

A guidare la Camera del Lavoro furono chiamati prima il ventenne Catello D’Auria, un commesso del lotto pubblico e successivamente Alfonso D’Orsi, ancora più giovane del primo, un diciannovenne ex studente senza arte né parte con velleità giornalistiche, considerando le sue corrispondenze stabiesi al periodico socialista napoletano, La Propaganda.

Nessuno dei due era considerato pericoloso dalla polizia politica, ed, infatti, entrambi sparirono ben presto dal panorama politico cittadino, senza lasciare nessuna traccia.

E’ in questo frangente che la famiglia Cecchi si trasferisce a Castellammare: il primogenito Camillo continuerà a frequentare gli stessi ambienti socialisti di Scafati e di Angri, dove si trasferirà dopo il matrimonio per la sua professione di medico, e del salernitano in genere, fino a farsi candidare nelle elezioni provinciali del 1914.

Nel primo dopoguerra s’inserirà nel movimento sindacale rivestendo un ruolo dirigente e nel 1921, con la scissione passerà al PCd’I assumendo la carica di Segretario provinciale del Partito e in agosto nominato Direttore Responsabile del quindicinale, Il Lavoratore comunista, già organo del Psi con la denominazione di Il Lavoratore, edito, fra alterne vicende, fin dal 1901. 

Sposatosi, andò a vivere definitivamente ad Angri; Antonio e Pasquale faranno invece la scelta di calarsi nella nuova realtà stabiese per diventare protagonisti delle vicende legate al suo movimento operaio.

A Castellammare di Stabia i due giovani incontreranno altri ragazzi della loro età, in particolare i fratelli Gaeta, Oscar e Guido, figli di Raffaele, il gragnanese Oreste Lizzadri, costretto ad abbandonare anzitempo gli studi a seguito della prematura morte del padre,  un ferroviere scomparso nel 1911, conoscendo la dura fatica della fabbrica, andando a lavorare come apprendista nella ditta di Alfonso Garofalo, il  più grande e importante pastificio di Gragnano; Antonio Esposito, Ignazio Esposito, corrispondente da Castellammare dell’Avanti!, Catello Marano, il più anziano del gruppo, figlio di un panettiere ma laureatosi in lettere nel 1908, a 24 anni, solo grazie ai grandi sacrifici a cui si sottopose, superando le mille difficoltà dettate dalla condizione operaia della sua famiglia.9

Per Antonio, Castellammare non rappresentava un ambiente completamente nuovo: qui, soltanto qualche anno prima, aveva frequentato il Regio Ginnasio, allora allocato al primo piano dell’antico Palazzo Rispoli, in Piazza Principe Umberto, preferendo poi l’indirizzo magistrale e sobbarcandosi il sacrificio quotidiano di viaggiare in treno fino a Sala Consilina, dove completò gli studi nel 1915.

Anche Pasquale aveva conseguito la licenza ginnasiale nella Città delle Acque per poi frequentare il liceo di Nocera Inferiore. Abbiamo qui un suo ricordo, ma potrebbe appartenere allo stesso Antonio:

 

«Mi recavo a Nocera con la ferrovia dello stato. Le lezioni cominciavano alle nove e finivano alle quindici. Ero costretto a partire da Scafati alle 6,15 del mattino, d’inverno era buio, perché allora i treni erano scarsi ed era l’unico treno che mi facesse arrivare in tempo a scuola.» 10

 

Il 2 aprile 1912, Amedeo Bordiga aveva fondato a Portici il Circolo Socialista Rivoluzionario Intransigente, Carlo Marx, con una quindicina di compagni dissidenti, provenienti quasi tutti dalla provincia, per meglio combattere la sua battaglia contro la sezione napoletana del PSI infeudata dalla massoneria e invischiata in una «politica bloccarda di cui i funesti effetti si cominciano ora a notare.» 11

Non sappiamo se Antonio aderì al Circolo fin dal primo momento, come pure potrebbe essere, avendo già conosciuto Bordiga nel 1911, durante le incursioni di quest’ultimo a Scafati, dove tenne più di un comizio e diverse riunioni con i socialisti della piccola città salernitana, oppure sia stata una scelta maturata  a Castellammare, dove il 13 ottobre era uscito, su iniziativa del 25enne Ignazio Esposito, proprietario e direttore del giornale, il primo numero del periodico, La Voce, organo della sezione PSI ma da subito anche entusiasta strumento propagandistico nelle mani dei giovani socialisti di sinistra, tutti d’accordo con la posizione di rottura assunta dal gruppo Carlo Marx.

Di certo fra i due s’instaurò un legame politico e umano, segnando Antonio per tutta la vita.12

Nella redazione del quindicinale socialista stabiese, in Via Nuova 10, strada situata nel cuore del Centro Antico cittadino, allora caotico polmone commerciale, ricco di botteghe artigiane, di circoli associativi e passionale quartiere operaio, si andò formando un nucleo di giovani rivoluzionari, alcuni dei quali destinati ad assumere, in seguito, un ruolo nazionale nel movimento operaio, politico e sindacale, come Ruggero Grieco e Oreste Lizzadri.13

Un ruolo di rilievo lo rivestirà anche Pasquale Cecchi, diventando vice sindaco nella prima Giunta amministrativa socialista del 1920, guidata da Pietro Carrese, primo sindaco comunista nelle prime elezioni democratiche tenutesi il 7 aprile 1946, riconfermato in quelle del 6 novembre 1949.

Sconfitto il 28 marzo 1954, Pasquale fu eletto consigliere provinciale nel 1956 e senatore nel 1958; consigliere comunale fino al 1972. Gli stessi fratelli Gaeta, ma in particolare Oscar, sapranno ritagliarsi un loro spazio politico, prima e dopo il fascismo, cadendo in catalessi durante il ventennio.

Così come una menzione particolare merita Gino Alfani (1866 1942), il già maturo Segretario Generale della Camera del Lavoro di Torre Annunziata tra il 1908 e il 1922, consigliere provinciale nel 1914, sindaco nel 1920, deputato comunista nel 1924, ma già passionale protagonista del primo movimento operaio napoletano nell’ultimo decennio dell’Ottocento.

In quest’ambiente, dunque, e al fianco di simili compagni d’avventura, Antonio Cecchi andò maturando il suo impegno politico, diventando rivoluzionario di professione e attirandosi ben presto l’attenzione della polizia politica che lo schedò non ancora ventenne, definendolo pericoloso sovversivo.

La prima grande occasione per misurarsi sul terreno politico, la nuova generazione di rivoluzionari stabiesi la ebbe con le elezioni del 26 ottobre 1913, le prime a suffragio universale maschile e utilizzate dagli intransigenti per misurarsi contro l’arroganza dell’Unione Socialista Napoletana, alleata nel blocco elettorale con radicali e repubblicani e decisa ad imporre i candidati della coalizione in tutti i collegi della provincia, senza nessuna discussione con le varie sezioni locali.

Bordiga e i suoi compagni si battevano per liberare il partito socialista napoletano dalla pesante ipoteca della massoneria e dalle varie consorterie, entrambe capaci, ormai da anni, di condizionare le scelte politiche dello stesso PSI.

Contro tutto questo stato di cose, nel collegio elettorale di Castellammare, il Circolo Carlo Marx, presentò uno dei suoi fondatori, il lombardo commesso viaggiatore, Mario Bianchi, giunto a Napoli, nel suo lungo peregrinare per città e paesi, nel 1911 e da subito impostosi non soltanto per la sua, allora, imponente statura ma anche per la facilità di linguaggio e il carattere estroso.

L’avversario da battere era il repubblicano stabiese, iscritto alla massoneria, Rodolfo Rispoli (1863 – 1930), fin dal 1900 candidato comune di socialisti e repubblicani del collegio in tutte le elezioni politiche e ora per la prima volta guardato come nemico dal gruppo estremista che aveva ricostruito una sfasciata sezione socialista, eleggendo come proprio segretario il diciottenne Oscar Gaeta.

La lotta era naturalmente impari e, infatti, nonostante l’attivissima campagna elettorale sostenuta dai quindici militanti del Circolo, Mario Bianchi,  «l’uomo che riassumeva in sé il filone dell’intransigentismo socialista», come lo aveva definito  lo stesso Bordiga in un suo articolo sulla Voce del 22 giugno 1913, fu votato unicamente da 53 sostenitori contro i 4877 dell’avvocato repubblicano, Rodolfo Rispoli, tornato finalmente in parlamento dopo la breve parentesi del 1902-1904, quando riuscì a sconfiggere l’altro stabiese, esponente dei moderati, Alfonso Fusco (1853 – 1916).14

Diversi anni dopo, all’indomani delle elezioni politiche del 15 maggio 1921 che avevano visto candidato anche il fratello Pasquale, Antonio Cecchi ricorderà quella sua prima battaglia politica con un articolo sul Soviet del 22 maggio, quando, dopo aver fatto alcune considerazioni sull’ultimo voto stabiese e sulle preferenze ottenute dal neonato Partito Comunista d’Italia, annoterà:

 

«Chi scrive ricorda la battaglia elettorale del 1913. Quelli che attualmente formano la sezione comunista, allora giovani, avevano dato alla sezione socialista stabiese un indirizzo rivoluzionario. I risultati della lotta, 53 voti. E noi fummo contenti. Ci combattevano allora la quasi totalità dei dirigenti socialisti attuali, allora feroci nostri avversari.»

 

I feroci avversari della corrente rivoluzionaria, il cui esponente più noto a livello nazionale era il direttore dell’Avanti! Benito Mussolini, erano i massoni che in particolare nel Mezzogiorno dominavano completamente il Partito Socialista.

Tutto questo doveva durare ancora poco, perché con il Congresso di Ancona del 26-29 aprile 1914 si riuscì ad imporre per gli iscritti al Partito l’incompatibilità con l’adesione alla massoneria. Frutto di questa sofferta decisione fu l’uscita dal PSI di tre dei cinque deputati napoletani appena eletti nel Parlamento, Arturo Labriola, Arnaldo Lucci e Alfredo Sandulli, il primo socialista eletto nel collegio di Torre Annunziata, contro i quali si erano ferocemente battuti i rivoluzionari del circolo Carlo Marx e, al Congresso di Ancona, Amedeo Bordiga e Mario Bianchi, rispettivamente delegati dalle sezioni di Gragnano e San Giovanni a Teduccio.15

Nel napoletano ad uscire dal Partito non furono soltanto esponenti famosi come i tre deputati citati o sindacalisti come Oreste Gentile, Segretario della Borsa del Lavoro di Napoli.

Nel capoluogo campano si ebbe una vera e propria scissione con la maggioranza degli iscritti pronti a seguire i dirigenti massoni dell’Unione Socialista napoletana, mentre una minoranza costituì la sezione socialista con il riconoscimento ufficiale della direzione nazionale.16

Con la ricostituzione della sezione socialista nell’assemblea del 29 maggio 1914 e l’adesione di Amedeo Bordiga, e degli altri intransigenti di sinistra, chiuse i battenti anche il Circolo Carlo Marx ritenendo superata la frattura che ne aveva determinato la nascita.17

Lo storico episodio sarà ricordato da Oreste Lizzadri con eccezionale lucidità, in una testimonianza rilasciata molti decenni dopo a Franca Pieroni Bortolotti in occasione della biografia da lei scritta su Francesco Misiani nel 1972:

 

«A tanti anni di distanza rammento bene che a Napoli di circa duecento iscritti ne rimasero non più di una trentina, in maggioranza giovani e fra questi Bordiga, De Meo, Tarsia, Senise, Gaeta, i fratelli Cecchi e il sottoscritto.»18

 

Anche Antonio Cecchi manterrà vivo il ricordo di quegli anni e della lotta contro la massoneria vinta con il Congresso di Ancona. Lo farà con una lettera scritta il 20 settembre 1935 al suo maggiore artefice, Benito Mussolini, nel frattempo diventato Duce d’Italia:

 

«Io mi sento vicino a voi come nel ‘14 ad Ancona, dove quasi profeta colpiste l’idra di tutti gli intrighi e di tutto l’affarismo politico. La massoneria. E’ sempre quella il veleno della vita sociale. Il suo ibridismo di progresso fonde le più opposte etiche, ma nella realtà si veste da rivoluzionaria per consolidare il vecchiume conservatore e si fa conservatrice per tagliare il passo al corso della storia che è il vero progresso.»19

 

In quella calda estate del 1914 l’Europa prima e il mondo intero poi conobbero i feroci orrori della Prima Guerra Mondiale. Inizialmente l’Italia se n’era chiamata fuori dichiarandosi neutrale, ma ben presto divamparono opposte passioni e il nostro Paese si divise tra interventisti e neutralisti.

La stessa divisione s’inserì ben presto nello stesso Partito Socialista Italiano con il direttore dell’Avanti! Benito Mussolini, fieramente schierato contro ogni ipotesi d’intervento italiano, fino a quando, sorprendentemente, non apparve il suo ormai celeberrimo articolo del 18 ottobre sulla neutralità attiva ed operante, seguito, due giorni dopo dalle dimissioni dal giornale.20

Il 24 arrivò l’espulsione dal Partito, evidentemente già prevista, perché il 15 novembre uscì il primo numero del quotidiano, Il Popolo d’Italia, giornale largamente finanziato da gruppi economici e finanziari interessati a un incremento delle forniture militari, con il futuro duce suo fiero direttore.

Contro il trasformismo mussoliniano il 22 ottobre ci fu la pronta risposta di Amedeo Bordiga, dalle colonne del Socialista, organo del PSI napoletano, con l’articolo sull’antimilitarismo attivo ed operante.

Durissimo fu lo stesso Gerardo Turi (1888-1918), generoso rivoluzionario originario di Avellino, caduto durante il primo conflitto mondiale, attaccando l’intervento voltagabbana dell’ex direttore dell’Avanti! Intervenendo sul settimanale della Federazione Giovanile Socialista, L’Avanguardia, con l’articolo, Mussolini, apparso il 22 novembre e provocando la reazione del segretario nazionale della FGSI, Lido Caiani (1890 – 1958), precipitatosi a pubblicare una lettera di solidarietà al neo direttore del Popolo d’Italia e non mancando d’inveire contro il giovane esponente della sinistra socialista napoletana.

A sua volta, Amedeo Bordiga scrisse sull’Avanguardia il 13 dicembre difendendo Gerardo Turi e chiedendo alla Federazione di prendere provvedimenti contro Lido Caiani. Nello stesso numero apparve anche un altro articolo sul caso Turi – Caiani – Mussolini ed era firmato da Antonio Cecchi:

 

«Lido Caiani – scriveva il giovane rivoluzionario – biasima quel che è stato scritto dall'Avanguardia sul conto di Mussolini e il biasimo viene fatto su Il Popolo d’Italia…Oggi che l’ex direttore de l’Avanti! ha lanciato tutto il fiele putrido del suo animo, venduto al capitale borghese, contro il Partito e i suoi migliori uomini, io condanno l’adesione del nostro segretario politico a questo novello Rabagas. Perché quest’adesione vuol dire plauso all’assassinio di Mussolini contro il Partito. Ebbene, se ne vada con Mussolini. Anch’io ho ammirato Benito Mussolini, anzi, l’ho amato, l’ho idolatrato, quando pero educava il proletariato ad avere fede nell’idea e non negli uomini. Ma oggi che voleva che avessimo fede in lui e non nell’Idea, oggi io non sento nessuna simpatia per quest’uomo. E come i suoi articoli su l’Avanti! mi entusiasmavano così le sue interviste di questi giorni mi hanno nauseato».

 

Michele Fatica pubblicando quest’articolo nel suo volume, già citato, così lo commenta:

 

«Il linguaggio che egli adopera è indubbiamente violento, la sua concezione del socialismo non è priva di suggestioni idealistiche, ma è senz’altro valida la tesi che egli sostiene, cioè che Mussolini aveva attirato attorno alla sua persona una corrente di simpatie unicamente come divulgatore del marxismo rivoluzionario; cessata questa funzione, veniva a cadere ogni motivo per farne un idolo.»21

 

L’orientamento filo interventista di Lido Caiani, l’uomo dalla schiena di gomma elastica,22 aveva scatenato in tutto il movimento giovanile, in ogni parte del Paese, un fuoco di polemiche che aveva già portato ad un Ordine del Giorno di censura contro il suo atteggiamento nel Congresso Nazionale tenutosi a Bologna nell’ottobre di quel 1914, costringendolo a presentare le dimissioni da Segretario della federazione. 

Successivamente espulso dalla Sezione giovanile di Roma alla quale era iscritto, Caiani troverà collocazione nella redazione del Popolo d’Italia, dove lavorerà fino al 1943. La fedeltà al duce sarà premiata con l’affidamento della direzione di un nuovo periodico, Audacia, un giornale interventista d’azione rivoluzionaria che nel febbraio 1915 assorbirà anche Il Balilla, un foglio già repubblicano e nominato Segretario del Sindacato interprovinciale fascista giornalisti.

Propagandista della Federazione Giovanile Socialista della Campania, Antonio Cecchi, benché ancora studente, era già un funzionario retribuito con uno stipendio di 150 lire, meno di 500 euro attuali, ed incaricato di propagandare la linea del Partito girando per le sezioni dislocate sul territorio regionale, come si evince da una nota riservata della Prefettura di Napoli del 4 febbraio 1915 e che dimostra come, non ancora ventenne, fosse già sotto stretta sorveglianza.

Nella stessa nota si chiede di prendere in considerazione una lettera dello stesso Prefetto del 31 gennaio, che non conosciamo ma in cui sicuramente si risaltava la pericolosità del futuro Segretario della Camera Confederale del Lavoro di Castellammare.

Anche a Sala Consilina, dove era studente presso l’Istituto Magistrale, «(...) fece attiva propaganda a favore del partito a cui è ascritto, tra i suoi compagni di classe, ma con risultati quasi negativi...»23

Antonio non era tipo da perdersi facilmente d’animo e quando l’entrata in guerra dell’Italia era ormai imminente e nelle piazze del Paese gli oratori interventisti bruciavano le loro ultime energie per dimostrare l’utilità e l’inevitabilità del conflitto, il giovane non esitò, nel maggio 1915, ad interrompere l’oratore che nella piazza del paese salernitano esaltava le posizioni di Antonio Calandra, capo del governo e interventista convinto.

La sua intenzione era di intervenire aprendo un contraddittorio con l’avversario politico, ma non trovò l’adesione degli studenti e dei contadini presenti ad ascoltare il comizio, anzi, stando al rapporto di polizia, i presenti si rivoltarono con violenza contro di lui costringendolo ad allontanarsi.

Il 14 novembre partecipò al V Congresso della Gioventù Campana raccogliendo i frutti del suo intenso lavoro con l’elezione a Segretario della Federazione regionale.

Inesauribile nel suo frenetico attivismo, continuò a propagandare le idee del socialismo e del pacifismo tra le masse operaie nelle campagne del Circondario e della vicina Scafati dove in particolare puntò la sua azione «anche tra gli elementi femminili» in conformità delle decisioni assunte dal Congresso, tese ad intensificare la lotta contro la guerra contando sull’azione delle donne e dei ragazzi.

Su sua iniziativa, nel marzo 1916, si costituì in Valle di Pompei, allora contrada del comune di Scafati, un circolo denominato Educazione Indipendente nel quale egli stesso faceva propaganda socialista. In particolare i suoi sforzi tendevano a costituire

 

«(…) subito dopo la guerra, in Castellammare di Stabia un’importante Camera del Lavoro e una sezione socialista, essendosi – dopo scoppiata la guerra – sciolta quella che già esisteva. Tale Camera del Lavoro dovrebbe essere unica per vari comuni finitimi, compreso Gragnano, le cui classi operaie dovrebbero convenire in Castellammare di Stabia per la tutela dei loro interessi».

 

In questa nota della Prefettura di Napoli, del 13 maggio 1916, il giovane rivoluzionario è descritto come «pericoloso sovversivo che bisogna attentamente vigilare perché (…) nutre odio profondo contro le istituzioni che ci reggono.»24

La passione di Antonio, il suo frenetico attivismo non passarono inosservati e quando il 10 settembre, a seguito della diffusione di un volantino contro la guerra, furono arrestati diversi componenti del Comitato Centrale della Federazione Giovanile Socialista, tra cui lo stesso segretario politico, Federico Maritozzi e il direttore del settimanale Avanguardia, Italo Toscani,25  subendo pesanti condanne tra i cinque ed i sei anni di carcere, Antonio Cecchi fu convocato l’otto ottobre nella capitale per essere cooptato nella direzione nazionale, ed eletto nella carica di Segretario politico.

La soddisfazione di aver raggiunto la massima vetta della FGSI durò solo pochi giorni perché già il 16, come apprendiamo da una nota della solita Prefettura

 

«il sovversivo Cecchi, a cui vennero affidati le mansioni di Segretario politico della federazione Giovanile Socialista Italiana, ha rassegnato le dimissioni dalla carica e altresì da membro del Comitato Centrale».26

 

Le motivazioni del gesto ci sono sconosciute. Intanto, dopo avere ottenuto il diploma d’abilitazione all’insegnamento nel 1915, il 25 settembre di quel 1916, come già l’anno precedente ma senza nessun risultato, aveva fatto domanda al Commissario Prefettizio, Luigi Brandi, reggente in quella fase il comune di Castellammare di Stabia, per ottenere una supplenza nelle scuole elementari.

Questa volta la sua domanda era stata accolta e aveva quindi iniziato la sua attività di maestro, compito assunto senza grande passione considerando le sue numerose assenze, «per indisposizione», notate tra il 26 febbraio e il 25 giugno 1917.

Fogli d’assenza controfirmati dal direttore didattico, Basilio Cecchi, suo padre. Immaginiamo con quale spirito di sopportazione.

Un uomo non comune, Basilio Cecchi: stando al ricordo lasciato da suo figlio Pasquale non si piegò mai al fascismo, rifiutandone l’iscrizione, il 14 giugno 1930 gli fu conferita la medaglia d’oro quale benemerito dell’istituzione popolare dal Ministro per l’Educazione Nazionale. Nell’immediato dopoguerra, riconoscendone le doti di sincero democratico e le profonde doti di educatore, la prima amministrazione repubblicana della città, con delibera di giunta del 27 maggio 1944, gli intitolò l’edificio scolastico dove aveva esercitato le sue funzioni fino alla morte.27

Dei sei figli avuti da Mariano Basilio Cecchi, in due, il primogenito Camillo (1891 – 1943) e l’ultimo nato, Mario (1905 – 1958) scelsero la carriera medica, ed entrambi scomparvero prematuramente, gli altri intrapresero la strada dell’insegnamento nelle scuole elementari.28

In realtà la carriera di maestro elementare per Antonio fu soltanto una breve parentesi, come meglio vedremo in seguito. Anche Pasquale diventerà Direttore Didattico e, come il padre, riceverà, nel 1957, la medaglia d’oro quale benemerito della pubblica istruzione. Le due donne, Rosa (1897 – 1978) e Giovanna (1899 – 1992) seguiranno lo stesso percorso di maestre elementari, di direttrici e d’ispettrici scolastiche. Per Rosa, come per il padre, anche l’onore di vedersi intitolata una scuola elementare a Pompei quale riconoscimento di una vita dedicata all’insegnamento. Basilio scomparirà il 28 marzo 1932, all’età di 67 anni, quando ancora sarà in servizio.29

 

La costituzione della Camera Confederale del Lavoro

Il giovane Antonio non aveva tempo per la scuola, troppo gravosi gli impegni politici, troppo grande la sua passione civile in quei terribili mesi di guerra. Con Amedeo Bordiga e altri giovani di Napoli e della provincia, non ancora richiamati al fronte, continuò a tessere instancabilmente, ma quasi clandestinamente, la trama della nuova organizzazione rivoluzionaria.

A Castellammare di Stabia, come a Torre Annunziata, a Ponticelli, a San Giovanni a Teduccio, a Valle di Pompei, ovunque l’instancabile gruppo rivoluzionario metteva nuove radici e aumentava il proselitismo intorno al progetto utopistico di impiantare il socialismo nel nostro Paese.

Ancora la Prefettura ricorda come la sera del 17 febbraio 1917 Cecchi partecipasse ad un convegno di giovani socialisti a Roma, nella sede nazionale del Psi, in Via del Seminario, il 25 era nuovamente nella capitale per il Convegno nazionale della Federazione Giovanile, intervenendo sulla condizione del movimento,30 mentre l’Avanti! lo segnala nella Camera del Lavoro di Torre Annunziata per il comizio del 1° maggio di quell’anno, dove parlò a nome dei giovani socialisti.31

Il 25 e 26 settembre 1917 partecipò al VI Congresso nazionale dei giovani socialisti tenutosi a Firenze, dove prese più volte la parola, utilizzando, com’era suo costume, un linguaggio aspro e violento.32

Duro è anche il suo ordine del giorno:

 

«Il VI Congresso della Gioventù Socialista Italiana udita la relazione morale del C.C., pur convenendo nell’eccezionalità del momento, pigliando atto della relazione stessa, esprime la sua riprovazione.

Perché il C.C.  fino al Convegno di febbraio non ha dato seno di attività alcuna;

Perché ha manomesso le disposizioni statutarie e s’è mostrato ancora, se non neghittoso certo insufficiente dopo la partenza di Cillà, al quale esprime il suo plauso ed invia il suo saluto. L’ordine del giorno provoca pareri discordanti se non opposti nel dibattito che ne seguì. Lo stesso Polano ricordò a Cecchi come lui stesso fosse stato nominato nel Comitato Centrale e se quindi questo si era mostrato insufficiente e deficiente avrebbero dovuto collaborarvi.»33

 

Venne infine la chiamata alle armi e l’arruolamento nel 3° Genio telegrafisti, ponendo fine al suo frenetico attivismo. Del resto, tutti i suoi compagni erano già partiti: il fratello Pasquale, già mobilitato dal maggio 1915 e inviato, dopo un corso accelerato, al fronte nel novembre successivo con il grado di sottotenente, stessi galloni per Oscar Gaeta che partecipò facendosi onore fino a conquistare due medaglie d’argento al valor militare e riportando una ferita permanente, Oreste Lizzadri, arruolato come telegrafista nella marina, meritandosi la croce di guerra e Antonio Esposito, «il perduto sovversivo dal carattere violentissimo.»34

Studente in ingegneria, futuro assessore nella prima amministrazione rossa del 1920, protagonista dei fatti di Piazza Spartaco e per questo arrestato e poi assolto insieme con gli altri, ultimo segretario della sezione stabiese del Partito Comunista d’Italia, ancora in attività nei primi mesi del 1923, prima della definitiva repressione del nascente regime fascista. Esposito partirà per il fronte come tenente d’artiglieria e tornerà dalla guerra portandosi il perenne ricordo di una cicatrice alla testa.

A Castellammare Cecchi rientrerà il 21 marzo 1919 dandosi immediatamente da fare per riprendere la sua intensa attività di propagandista e portare a compimento quanto s'era prefissato prima di essere chiamato alle armi, di ricostituire, cioè, la Camera Confederale del Lavoro.

Nel suo lavoro fu particolarmente aiutato da Pietro Carrese (1875 – 1949), figlio di Vincenzo, un anarchico, operaio del regio cantiere e uno dei protagonisti, nel novembre del 1869, della fondazione della sezione stabiese della Prima Internazionale.

A sua volta Pietro, professore di matematica presso l’istituto Salvator Rosa di Napoli, era stato uno dei tre consiglieri comunali socialisti eletti nelle amministrative del 1903, con Raffaele Gaeta e Andrea Luise (1877 – 1947), nel 1917 redattore della Voce del Popolo, giornale socialista locale e in seguito corrispondente dell’Avanti! organo del PSI.

L’instancabile e irrefrenabile attività dei due sovversivi e degli altri compagni di Partito diedero i frutti sperati e nel giro di poco più di un mese, il 25 aprile, Antonio Cecchi poté già essere eletto Segretario Generale della nuova Camera Confederale del Lavoro, dandole immediatamente un indirizzo rivoluzionario.

 

«E … in tale qualità ha fatto tanto in seno alla Camera del Lavoro, quanto in pubblici comizi qui tenutosi dal 1° maggio (1919) ad oggi, ad iniziativa della sezione socialista, continua propaganda bolscevica, inneggiando alla rivoluzione russa ed ungherese e, profittando del momento in cui le masse operaie si agitavano per ottenere miglioramenti economici, tenta con ogni mezzo, anche violento, prepararle alla rivolta. Ha ascendente sulle masse operaie …»

 

Recita la sua scheda biografica redatta il 27 giugno 1919 dalla prefettura e conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato. Nel rapporto di polizia è definito di discreta cultura ed intelligenza, di statura media, dalle spalle larghe, i capelli castani e folti, la fronte spaziosa, di colorito bruno e notevolmente brutto.

Il suo carattere violento lo portò a guadagnarsi due denunce penali nello stesso mese, il 12 giugno 1919, «per eccitamento alla rivolta e per attacco alle istituzioni».35

E, in successione, una querela, il 21, per ingiurie, minacce e lesioni, firmata dal professore Catello Langella (1871 – 1947). L’antico socialista, fondatore della prima Camera Confederale del Lavoro, il 13 ottobre 1907, tornato dall’Australia alla vigilia del primo conflitto mondiale, era diventato un ardente nazionalista, fondando nel 1916 il periodico quindicinale, Il Risveglio di Stabia, sul quale conduceva appassionate battaglie per la valorizzazione di una Castellammare turistica e delle sue splendide terme.

Il 10 maggio 1919 era stato uno degli artefici della costituzione del primo Fascio di combattimento nella città stabiese, ritrovandosi però ben presto scavalcato a destra dai fascisti della prima ora, quelli che avevano fatto la marcia su Roma, camicie nere pronte a chiedere prebende e potere, scaricando arroganza e violenza su chiunque provava ad opporsi alla loro avanzata.36

Il 1919 rappresentò un forte risveglio delle lotte del movimento operaio, dopo l’obbligatoria stasi dovuta al conflitto mondiale, a partire dalla richiesta delle 8 ore avanzate dai metalmeccanici della FIOM.

In realtà la rivendicazione delle 48 ore settimanali non causò di per sé grandi agitazioni: a Milano gli industriali non avevano opposto una grande resistenza, arrivando a firmare già il 20 febbraio a Milano l’accordo sulle otto ore, sulla costituzione delle Commissioni Interne e su alcuni aumenti salariali.

Una maggiore resistenza da parte degli industriali si ebbe a Napoli costringendo la classe operaia ad una più forte mobilitazione: una prima grandiosa manifestazione si era avuta il 19 gennaio, con migliaia di metalmeccanici convenuti al Trianon per ascoltare il comizio di Gino Alfani, Segretario della Camera del Lavoro e di Ferdinando Modestino, segretario provinciale della FIOM, un’altra portò 15mila metalmeccanici ad invadere le strade del capoluogo campano, ma  gli industriali dimostravano di non voler sentire ragioni e allora venne a Napoli lo stesso Bruno Buozzi, il potente leader nazionale della FIOM, pronto ad ordinare l’occupazione delle fabbriche il 9 marzo. Bastò la minaccia e una nuova manifestazione con Arnaldo Lucci, Gino Alfani e Amedeo Bordiga per portare gli industriali alla resa definitiva.

A Castellammare, nonostante la presenza di alcune Leghe storicamente consolidate e di altre che si andavano formando, in quei primi mesi del 1919, la Camera del Lavoro ancora non era stata ricostituita, ma non per questo i metalmeccanici e le altre categorie fecero mancare la loro voce nella difficile vertenza per la conquista delle otto ore.

Quando il 19 gennaio, una fredda domenica d’inverno, ma bollente sotto il profilo sindacale, era stato proclamato lo sciopero generale provinciale, a Castellammare a preoccuparsi non furono soltanto gli industriali delle fabbriche metalmeccaniche, ma anche quelli della Compagnia Napoletana del Gas che nei giorni precedenti l’astensione dal lavoro si erano preoccupati di scrivere al Regio Commissario

 

«(…) in riferimento sciopero generale di domenica 19 gennaio 1919 per ottenimento 8 ore di lavoro giornaliero, si chiede di prendere opportuni provvedimenti a salvaguardia intervento pubblico.» 37

 

La Compagnia ricordò al Regio Commissario, Luigi Brandi, che

 

«Quando molti anni fa i nostri operai si assentarono dal lavoro, le autorità del tempo ci provvidero di personale della Regia Marina da guerra. Ci occorrerebbero 10 fuochisti della Regia Marina da guerra, 2 macchinisti, 10 carabinieri e guardie della Pubblica Sicurezza.»38

 

Il 23 febbraio, mentre i metalmeccanici napoletani si contavano al teatro San Ferdinando, a Castellammare, nelle stesse ore, duemila lavoratori si riunivano nel cortile dell’ex Monastero della Pace, dove presero la parola Pietro Carrese, parlando in nome della sezione socialista, l’operaio Rodolfo Serpi, per la Camera del Lavoro di Torre Annunziata e gli operai Catello Acanfora e Alberto Campobasso per gli arsenalotti stabiesi e napoletani.

Fra tanti oratori, in quella fase convulsa, ritenuta da molti preinsurrezionale, non poteva mancare Amedeo Bordiga, sempre pronto ad infiammare gli animi dei lavoratori.

Si presentò a Castellammare il 23 marzo, nello stesso cortile del Monastero della pace, commemorando le vittime proletarie della guerra e preparandoli alla ormai prossima rivoluzione socialista e all’affermazione del Soviet anche nel nostro Paese.

Il calor bianco di quei giorni portò al risveglio politico molti socialisti caduti nel letargo politico sotto la spinta delle nuove leve, non più disponibili a percorrere la strada della moderazione e uno di questi fu Lucatorto, promotore di una Lega degli impiegati privati, salvo riprendere il sonno interrotto quando l’ultimo sogno svanì sotto i colpi violenti dell’arrembante fascismo.

Vito Lucatorto (1880 – 1938), era un appassionato socialista della prima ora nato a Grumo Appula, piccola cittadina della provincia di Bari, dove aveva iniziato la sua giovanile militanza nel locale circolo del Psi, prima di approdare a Castellammare nel gennaio del 1903 per occupare l’impiego di ragioniere presso la ditta Amato. 

Nella Città delle Acque, Lucatorto si era subito ben inserito nel movimento operaio partecipando a tutte le lotte di quel primo decennio e rivestendo ruoli di primo piano: corrispondente per la sezione del Partito del più importante giornale socialista regionale, La Propaganda, redattore capo ed amministratore del periodico locale del Partito, La Voce del Popolo, che iniziò le sue pubblicazioni nell’aprile 1907, così come si ricorda la sua partecipazione, l’11 luglio 1909, ad un convegno di tutte le organizzazioni operaie delle province campane presieduto da Ludovico D’Aragona(1876–1918), ispettore propagandista della CGL e suo futuro Segretario Generale fino all’avvento del fascismo.

Al convegno parteciparono le Camere del Lavoro di Salerno, Caserta, Scafati, Gragnano e Torre Annunziata, oltre 20 leghe variamente rappresentative. Castellammare fu rappresentata dallo stesso Lucatorto alla testa della Cooperativa metallurgici, da Ernesto Aiello (1879 – 1926) capo lega della Cooperativa edilizia e da Gallo della Cooperativa di Credito.39

L’impegno politico di Lucatorto cominciò a scemare quando decise di prendere moglie, sposandosi nel 1911, dedicandosi completamente alla sua professione di bancario, dapprima presso la Banca Italiana di Sconto, fino a quando non fallì e occupandosi, infine, nella Banca Astarita, come ispettore d’amministrazione. La stessa Banca Astarita, a sua volta fallirà, e il suo amministratore delegato denunciato per bancarotta fraudolenta nella prima metà degli anni Trenta.

Gli ultimi mesi di guerra erano stati accompagnati da violenti agitazioni popolari dovute alla forte inflazione che correva più veloce di qualsiasi aumento salariale concesso agli operai, colpendo in particolare i più importanti centri industriali del Paese.

A Castellammare, le manifestazioni culminarono nei violenti tumulti del 7 luglio 1918 e con gli assalti e i saccheggi ai negozi e ai depositi di generi alimentari. Non mancarono numerose agitazioni fra le varie categorie di lavoratori preoccupate della perdita di potere salariale, ormai insufficiente a soddisfare i bisogni più elementari.

A incrociare le braccia ci pensarono perfino i maestri delle scuole elementari, in sciopero fra l’11 e il 18 gennaio, con una partecipazione al di sotto del 50%, ma notevole per una categoria non abituata a dissentire pubblicamente.

Gli stessi ripresero a scioperare tra l’11 e il 14 giugno per ottenere aumenti contrattuali. Su 65 maestri in organico a Castellammare, nella prima vertenza, gli scioperanti furono solo 24, nel secondo sciopero, invece, gli astenuti furono ben 55 su 65 unità.

La ricostituzione della Camera del Lavoro fu quindi propiziata da un clima sociale già di per sé incandescente e da un lavoro politico svolto da quanti erano rimasti a Castellammare, consentendo ad Antonio Cecchi di trovare terreno fertile tra i lavoratori.

E come gli animi fossero predisposti alla lotta si vide anche in occasione della Festa per il Lavoro.

Gli industriali, nonostante il clima surriscaldato, pretesero che il Primo Maggio dovesse considerarsi giornata lavorativa a tutti gli effetti e come tale obbligare i lavoratori ad entrare in fabbrica.

La risposta fu una grande manifestazione di piazza, con l’apparato industriale praticamente fermo e con tutte le scuole chiuse per volontà degli studenti, consapevoli di vivere un particolare momento storico.

In una Piazza Orologio gremita di lavoratori e studenti, parlarono Pietro Carrese a nome del Psi e Antonio Cecchi nella sua qualità di neo Segretario Generale della rifondata struttura sindacale. Forti manifestazioni per il Primo Maggio si erano svolte anche a Napoli, mentre nei giorni successivi ripresero nelle diverse fabbriche scioperi e manifestazioni per ottenere aumenti salariali e per protestare contro il carovita. Nella vicina Torre Annunziata furono i pastai a scendere in sciopero rivendicando l’abolizione del cottimo e la paga settimanale.

Gli industriali fecero sapere, per tutta risposta che loro potevano chiudere anche gli stabilimenti per sei mesi, «tanto i superprofitti di guerra consentivano loro di fare questo ed altro. Stessero quindi attenti gli operai.»

Se la risposta non poteva essere più arrogante, la reazione non fu meno dura, con due lunghi terribili mesi di strenua resistenza che spaccarono il fronte padronale fino a consentire, ai primi di luglio, la meritata vittoria dei pastai.

Torre Annunziata non era isolata nella sua iniziativa, perché la situazione precipitava in tutto il Paese e gravi tumulti si stavano verificando nelle stesse giornate, tra il 1° e il 4 luglio, alla Spezia, a Forlì, ad Imola, a Faenza e a Milano.

Il vecchio Costantino Lazzari (1857 – 1927) vide in questi avvenimenti la soluzione finale, l’esplodere della tanta agognata rivoluzione e, non a caso, in alcune città le Camere del Lavoro prendevano iniziative che portavano alla formazione dei Soviet.

Lento, troppo lento era, però il gruppo dirigente nazionale del Psi nell’assumere le conseguenti decisioni, forse spaventato dalla piega rivoluzionaria assunta dagli avvenimenti. Quasi a conferma di ciò la Direzione fu convocata soltanto il 10 luglio, quando il movimento era già in declino e solo per decidere che non poteva esserci collaborazione tra i lavoratori e i Comitati Annonari!

Rispetto al resto del Paese a Napoli le agitazioni avevano preso corpo soltanto il 7 luglio, con tumulti in diversi quartieri della città e assalti ai negozi e perfino Castellammare aveva anticipato il capoluogo campano mobilitandosi fin dai primi giorni di giugno.40

In particolare, come sempre furono i lavoratori dei Cantieri Navali a muoversi per primi rivendicando aumenti salariali e la sistemazione degli avventizi i quali vivevano una situazione complessa.

Infatti, per essere ammesso come effettivo ogni allievo era obbligato a frequentare per cinque anni le scuole serali e poi superare un esame finale prima di essere definitivamente assunto con la qualifica di operaio. La mobilitazione operaia preoccupò non poco il sottoprefetto Errico Pennella, spingendolo il 2 giugno 1919 a scrivere al Regio Commissario Luigi Brandi:

 

«Stamane nella Camera del Lavoro si è deliberato aderire proposta Federazione metallurgica di attuare, cioè, da martedì prossimo sciopero generale qualora vertenze in corso non saranno approvate. Hanno dato la loro adesione anche elettricisti che abbandoneranno lavoro sin da lunedì sera. Né informo V.S. per provvedimenti di sua competenza nei riguardi illuminazione pubblica, ove tale astensione dovesse effettuarsi.»41

 

La lunga battaglia si protrasse per 34 giorni e nel ricordo degli operai divenne lo sciopero dei garofani rossi perché alla fine, quando la Direzione si piegò, sconfitta dalla volontà del forte movimento messo in piedi da Antonio Cecchi, gli arsenalotti partirono in corteo dalla sede sindacale preceduti dalla banda che intonava l’antico Inno dei lavoratori scritto da Filippo Turati nel 1886 e con il garofano rosso all’occhiello.

E fieri ed orgogliosi entrarono in fabbrica alle nove del mattino, un’ora dopo l’ingresso normale per distinguersi dai crumiri, costretti a mangiare fiele.42

Neanche il tempo di riprendersi che arrivò la proclamazione dello sciopero generale di tutte le categorie, da tenersi dalle ore 24 del 19 alle 7 del 22 luglio. Stavolta toccò al nuovo sottoprefetto, Francesco Farina, giunto nella Città delle Acque soltanto il 3 di quello stesso mese, impugnare la penna per stendere, il 18 luglio, una riservatissima nota da inviare con urgenza al Regio Commissario:

 

«Qualora nei giorni 20 a 22 corrente, per l’occasione di eventuali disordini di piazza, si avessero dei feriti, possano questi essere subito ricevuti e curati nell’ospedale San Leonardo. Occorre perciò stabilire appositi turni di guardia e tenere pronti nell’ospedale civile e in municipio barelle e portaferiti, per essere utilizzati all’occorrenza senza eccezioni di sorta.»43

 

Fortunatamente non ci furono incidenti.

La rovente estate in qualche modo passò e venne ottobre, quando, dal 5 all’8 si tenne a Bologna il XVI Congresso del PSI, dove la tendenza elezionista del Partito ebbe la schiacciante maggioranza dei consensi, costringendo la Frazione Astensionista a rinunciare a qualsiasi iniziativa scissionista.

Si costituì, invece, ufficialmente la Frazione Comunista che elesse un suo Comitato Centrale, guidato dallo stesso Bordiga, e un suo Organo ufficiale, il Soviet. Al Congresso partecipò anche Antonio Cecchi, delegato dalla sezione di Castellammare a votare a favore della Frazione Comunista Astensionista.

La Frazione si riunirà a convegno a Firenze, l’8 e 9 maggio 1920, dove fu votato, tra l’altro, l’ingresso nel Comitato Centrale del giovane Segretario Generale della Camera del Lavoro stabiese. La promozione sanciva il forte impegno nel sindacato e nel Partito a favore dell’astensionismo, proiettando Antonio Cecchi tra i quadri nazionali che determineranno la nascita della nuova formazione politica il 21 gennaio 1921.

Pochi mesi dopo il convegno fiorentino, però, si ritrovò improvvisamente sospeso dall’incarico e dalla Frazione per essersi schierato a favore della partecipazione alle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920, dove, a Castellammare era candidato il fratello maggiore, Pasquale. 

Lo stesso Bordiga in un’intervista rilasciata al Giornale d’Italia, pochi giorni prima, il 24, lo attaccava violentemente, prendendone le distanze. Nella sezione socialista di Castellammare il dibattito pro o contro la partecipazione alle elezioni amministrative si rivelò ricco di forti polemiche, anche se la pubblicazione di una tabella sul Soviet del 25 aprile, in cui si dava conto delle diverse posizioni assunte nelle singole sezioni e che per la città stabiese davano 41 astensionisti e 5 elezionisti su 68 iscritti, non sembra dare conto di questo.44

Alla fine si decise di partecipare alle elezioni amministrative e in lista furono candidati tutti gli uomini migliori, vecchi dirigenti alla testa del Partito fin dalle origini, come Pietro Carrese, altri più giovani come Pasquale Cecchi, i sindacalisti Luigi Bello, capolega dei mugnai, Raffaele Guida, operaio del Regio Cantiere ed ex Segretario della FIDES, potente Federazione Italiana Dipendenti Statali, sindacato governativo e sotto l’influenza massonica, poi passato con tutta l’organizzazione con la Camera Confederale del Lavoro e il cooperatore Andrea Vanacore. Tra i più giovani vi era Antonio Esposito, uno studente universitario, già ritenuto un pericoloso sovversivo.45

 

I fatti di Piazza Spartaco

Nonostante le astiose polemiche e le dure prese di posizione tra i diversi dirigenti della Frazione Comunista Astensionista, il Partito partecipò alle elezioni amministrative del 31 ottobre, riuscendo a conquistare oltre 2mila comuni in tutta Italia, quasi interamente concentrate nel Centro Nord del Paese.

In Campania la bandiera socialista sventolò unicamente in due comuni: Castellammare di Stabia e Torre Annunziata. E mentre nella città dell’Arte Bianca si insediava sulla poltrona di Primo cittadino il Segretario Generale della potente Camera del Lavoro, Gino Alfani, nella Città delle Acque diventerà sindaco Pietro Pio Carrese, a coronamento di una vita dedicata al Movimento Operaio.

Suo vice sarà Pasquale Cecchi. I due si ritroveranno candidati nelle prime elezioni libere dell’Italia repubblicana del 7 aprile 1946, quando il PCI si affermerà come primo partito con il 35,4% dei consensi e sindaco, stavolta, sarà eletto Pasquale Cecchi.

Questa prima amministrazione socialista non ebbe vita lunga travolta dopo 63 giorni dai fatti passati alla storia come la strage del 20 gennaio 1921 di Piazza Spartaco, con sei morti e un centinaio di feriti.

La vicenda, brillantemente ricostruita dallo storico locale, Antonio Barone, sarà poi la causa della perdita del municipio. Ad innescare la miccia fu una delibera del 18 gennaio che modificava il nome di Piazza Municipio in Piazza Spartaco, in onore e in ricordo del martirio del socialista tedesco, Karl Liebknecht, di cui ricorreva l’anniversario della scomparsa il 15 gennaio. Contro quella che ritenevano una provocazione, i nazionalisti organizzarono, una manifestazione di protesta per giovedì 20.

Inutilmente gli amministratori tentarono di impedirla cercando di convincere le autorità di P.S. e il sottoprefetto prevedendo probabili disordini.

Visto fallire i loro sforzi si pensò di passare alla controffensiva e in una riunione della Camera del Lavoro si decise di proclamare lo sciopero generale di tutte le categorie, portando i lavoratori sotto la sede del municipio per contrastare eventuali provocazioni da parte dei fascisti.

Il 20 gennaio era un giorno di pioggia ma quando verso le dieci il corteo composto da un migliaio di cittadini si mosse dal Corso Vittorio Emanuele, dove c’era la sede del Partito Democratico Liberale, aveva smesso di piovere.

I manifestanti attraversarono tranquillamente le diverse strade cittadine ma, contravvenendo agli impegni assunti dagli organizzatori di non far passare i manifestanti per il tratto di Via Bonito che fiancheggiava la piazza gremita di operai, all’altezza di Piazza Spartaco un centinaio di facinorosi si lanciò verso il municipio.

A dividere il presidio operaio postosi davanti il comune dall’improvviso attacco fascista c’era un cordone di carabinieri, agenti di pubblica sicurezza e della finanza, riuscendo a stento ad impedire il contatto tra le due forze antagoniste.

In assenza di Pietro Carrese, impegnato come delegato nel congresso nazionale del PSI che si stava tenendo a Livorno, toccò al vice sindaco, Pasquale Cecchi, lasciare il municipio per andare verso i carabinieri e tentare di riportare la calma, cominciando una trattativa con il vice commissario Grassi e il maresciallo dei carabinieri, Clemente Carlino, quando all’improvviso il sottoufficiale si accasciò, colpito a morte da un colpo di pistola alla fronte.

Nell’indescrivibile caos che ne seguì, il capitano dei carabinieri ordinò ai suoi uomini di sparare verso i balconi del municipio.

I socialisti asserragliati nel comune, a loro volta armati, risposero al fuoco ingaggiando una vera e propria battaglia, anche contro i fascisti che non esitarono a prendere posizione, sparando contro i socialisti asserragliati a difesa di Palazzo Farnese.

Sul selciato, alla fine del violento scontro, rimasero altri cinque morti, vittime innocenti della follia omicida di chi per primo aveva iniziato la sparatoria, uccidendo il giovane maresciallo dei carabinieri. I socialisti assediati nel comune decisero di arrendersi soltanto verso le 18, aprendo il portone del palazzo municipale e lasciando entrare i carabinieri.

Questi in assetto di guerra dilagarono nel cortile, arrestando tutti i presenti. Fu dichiarato il coprifuoco e fermi ed arresti continuarono per tutta la notte, colpendo centinaia di manifestanti della mattinata. La stessa Camera del Lavoro fu invasa e perquisita.

Gli arrestati furono circa 150 e tra questi Pasquale Cecchi, Antonio Esposito, Luigi Bello e Raffaele Guida. Prima dell’incursione poliziesca alla Camera del Lavoro i pochi sindacalisti scampati alla prima retata di arresti proclamarono un nuovo sciopero generale per il giorno dopo.

Il 21, mentre l’intera città era paralizzata e anche Torre Annunziata proclamava a sua volta lo sciopero generale di solidarietà e di protesta contro l’eccidio di Piazza Spartaco, si procedeva all’arresto di Michelangelo Pappalardi (1896- 1940), il nuovo Segretario Generale della Camera del Lavoro stabiese.

I fatti trovarono ampio spazio sui giornali di Napoli e nazionali, tra cui sull’Avanti! con diversi articoli. Il processo a carico dei 15 imputati rimasti in carcere dopo la fase istruttoria, perché ritenuti i maggiori responsabili della strage, ebbe inizio il 7 febbraio 1922. Tra gli avvocati difensori del collegio difensivo dei 15, ricordiamo Alfredo Sandulli, Arnaldo Lucci, Oscar Gaeta, Gino Alfani e Matteo Schiavone Palumbo.

Il processo si concluse nel pomeriggio del 6 aprile con l’assoluzione per tutti gli imputati che furono immediatamente rilasciati e rimessi in libertà. Rientrarono a Castellammare verso le 19 e in Piazza ferrovia trovarono ad attenderli una folla plaudente.

Su un palco improvvisato presero la parola Oscar Gaeta a nome del nuovo partito nato dal congresso di Livorno, Luigi Vanacore per i socialisti, mentre Michelangelo Pappalardi, dimissionario a seguito del suo arresto, parlò nella sua qualità di ex Segretario della Camera del Lavoro stabiese e a nome dei 15 compagni ex detenuti. Sul Soviet Antonio Cecchi li salutava scrivendo:

 

«La fede e l’entusiasmo loro sono più forti che mai nel ritornare fra noi ad assumere il posto d’onore nella lotta nel nome del Comunismo.» 46

 

Segretario della Camera del Lavoro di Napoli

Dopo la nascita del Partito Comunista d’Italia, il 21 gennaio 1921, a Napoli, si teneva, il 29 di quello stesso mese, la prima assemblea del gruppo comunista per costituire ufficialmente la sezione napoletana.

Alla riunione partecipava anche Antonio Cecchi, di nuovo riammesso nel Partito, dopo la sospensione subita a causa della sua indisciplina di partito. E a lui toccò aprire, con una relazione introduttiva, il I° Congresso provinciale del PCd’I tenutosi a Ponticelli il 19 e 20 marzo.

Venne alla fine eletto nel Comitato esecutivo con all’altro stabiese, Oscar Gaeta. Nella stessa riunione si tennero le elezioni per rinnovare le cariche alla Camera del Lavoro napoletana a seguito delle dimissioni date all’indomani della nascita del partito di Bordiga. Nell’ occasione – secondo il resoconto fatto da Nicola Ianni nel suo, Operai e industriali a Napoli tra Grande Guerra e crisi mondiale. 1915-1929

 

«Furono presentate due liste contrapposte di 11 elementi. In quella comunista, aperta dal segretario amministrativo uscente, Tommaso Borraccetti, mancava il nome di Antonio Cecchi, segretario politico, che sarebbe stato confermato in caso di affermazione (…) il resoconto elettorale fu, con una certa sorpresa, ancora una volta favorevole ai comunisti: 5.438 organizzati su 10.118 votanti (pari al 54,74% optarono per questa lista.»

 

I comunisti strapparono dunque la maggioranza ai cugini socialisti e furono riconfermati nei loro incarichi, Francesco Misiano, Tommaso Borraccetti e Antonio Cecchi.

Nell’ aprile 1920 il 25enne pericoloso sovversivo aveva lasciato la guida della Camera del Lavoro di Castellammare, sostituito dal giovane universitario della Facoltà di Lettere, Michelangelo Pappalardi, per entrare nella ben più importante segreteria del capoluogo campano, diretta nel primo dopoguerra da Gino Alfani e poi dallo stesso Misiano, in grado di offrire maggior prestigio.

All’incarico nella Camera Confederale del Lavoro si aggiunse quello di segretario particolare dell’onorevole Francesco Misiano (1884 – 1936), impegnato nella partecipazione al congresso di partito degli astensionisti e iniziando, inoltre, una collaborazione retribuita con il giornale socialista di Trieste, Il Lavoratore, in qualità di corrispondente da Napoli. Con Misiano Cecchi parteciperà come delegato al Congresso del Partito tenuto a Livorno dal 21 gennaio 1921 e al Congresso nazionale della Confederazione Generale del Lavoro di fine febbraio, sempre nella stessa città toscana.

Nei dodici mesi trascorsi alla testa del movimento operaio stabiese, Antonio Cecchi, aveva portato la locale Camera del Lavoro ad essere una delle più importanti sul piano regionale, per numero di iscritti, la seconda dopo Napoli, e la più pericolosa per capacità di lotta, con 17 Leghe e 3mila iscritti, divenuti, rispettivamente, 24 e 4500, nella fase legata al suo trasferimento nell’esecutivo camerale di Napoli.

Nella sua frenetica attività si ritrovò il 6 giugno 1919, denunciato sotto l’accusa di attacco alle istituzioni ed eccitamento alla rivolta e pochi giorni dopo querelato per ingiurie, minacce e lesioni da Catello Langella, l’antico fondatore della prima Camera del Lavoro stabiese, diventato nel frattempo un passionale nazionalista fino a fondare il primo fascio mussoliniano cittadino.

Antonio nella sua frenetica attività di rivoluzionario non si era accontentato di ricostituire la Camera del Lavoro e la sezione del Partito Socialista, di essere protagonista della nascita del partito comunista, ma si era adoperato anche per il ritorno in edicola dell’antico e glorioso periodico della sinistra socialista, La Voce la cui prima diffusione risaliva all’ottobre 1912. Il giornale aveva chiuso il 29 novembre 1914 per mancanza di fondi dopo 24 numeri, riprendendo le pubblicazioni il 21 febbraio 1915.

Del nuovo quindicinale non uscirono molti numeri perché in maggio, «per le condizioni generali del momento attuale», fu nuovamente costretto ad interrompere le sue uscite, come recita una nota del Prefetto.

Sul Soviet del 22 giugno 1919 si dava conto della necessità espressa dalle sezioni giovanile ed adulta, forte degli oltre cento iscritti, di riprendere le pubblicazioni de La Voce.

Il Soviet diffuse un comunicato in cui si dichiarava contrario al ritorno in edicola del quindicinale perché poteva «rappresentare un’inutile dispersione di forze», leggi un inutile e pericoloso concorrente nelle vendite!

Il periodico riprenderà le pubblicazioni facendo uscire il suo primo numero il 24 agosto 1919, aprendo la redazione al Corso Vittorio Emanuele 80 e stampato dalla Tipografia Spagnolo e Scala. Direttore era Giuseppe Guerriero. Di nuovo costretto a sospendere le pubblicazioni in ottobre, riprenderà l’11 gennaio 1920, stampato dalla Tipografia Fedele, sita al C.V.E. 56. Cesserà definitivamente di uscire in aprile.

Lasciata la Camera del Lavoro di Castellammare per quella di Napoli, forte delle sue 84 Leghe e 40mila iscritti, un quarto dei quali metallurgici, il giovane estremista originario di Scafati divenne l’anima del movimento operaio napoletano, sempre presente in ogni lotta e manifestazione.

Si era aperto il biennio rosso, anni difficili ma per certi versi magici: gli scioperi si susseguivano freneticamente, avevano tutti dei caratteri squisitamente economici e non obbedivano a nessun piano prestabilito, pure si respirava un’aria di rivoluzione tanto sembrava essere a portata di mano, pronta per essere agguantata, bisognava, secondo molti, soltanto dare la spallata finale.

Ma per trasformare il sogno di tanti nella realtà di tutti, mancava qualcosa, o forse soltanto qualcuno capace di prendere in mano le redini della situazione, il Capo capace di assumersi la responsabilità di dire: «Compagni è l’ora!» ma nessuno, al di là delle parole roboanti, aveva il coraggio, la certezza che l’ora fosse veramente quella, nessuno ebbe la consapevolezza che non si poteva, non si doveva più aspettare. Claudio Treves (1869 – 1933) così sintetizzò la situazione il 30 marzo in un suo discorso alla Camera:

 

«La crisi, il suo tragico è proprio questo, che voi non potete più imporci il vostro ordine e noi non possiamo ancora imporvi il nostro.» 47

 

Da Torino era partito in aprile l’ormai leggendario sciopero delle lancette, iniziato a seguito dell’adozione dell’ora legale e rifiutato dagli operai in fabbrica, si passò poi, sotto lo stimolo di Antonio Gramsci e del suo gruppo dell’Ordine Nuovo, alla rivendicazione del riconoscimento dei Consigli di Fabbrica da parte degli industriali.

Partì successivamente la grande ondata dell’occupazione delle fabbriche: si iniziò il 29 agosto a Milano in 300 officine, si finì in settembre con Napoli, Pozzuoli, Torre Annunziata, Castellammare e Gragnano a far sventolare le bandiere rosse dalle ciminiere delle fabbriche.

Ormai ovunque vi fosse una fabbrica, un centro operaio, si gridò alla rivoluzione, ma al coraggio degli operai rispose la viltà o forse soltanto il realismo dei dirigenti nazionali del Psi e della CGL che non seppero o non vollero decidere per lo scontro di classe, per la prospettiva rivoluzionaria e fu la sconfitta.

L’ondata rivoluzionaria, sconfitta nelle fabbriche, si riversò prima nel voto amministrativo del 31 ottobre 1920 conquistando 2.162 municipi su 8.059 e 25 province su 69 e portando 122 deputati socialisti e 15 comunisti in parlamento, sconfiggendo il tentativo fascista di cavalcare la tigre del partito d’ordine, fermando a 35 il numero dei deputati neri eletti.

Ma ormai tutto questo aveva poco senso perché al di là dei numeri che sancivano una nuova sconfitta ufficiale dei fascisti nelle elezioni politiche, questi vincevano nelle piazze seminando il terrore e la morte.

I segnali venivano da lontano, ma nessuno aveva capito, nessuno aveva reagito con la necessaria fermezza: da Bologna il 21 novembre 1920 con l’assalto al comune che aveva provocato 10 morti, passando per Ferrara in dicembre e poi Castellammare, il 20 gennaio 1921. Erano attaccate e distrutte le Camere del Lavoro, le sedi dei giornali e delle cooperative rosse e cadevano uccisi militanti e dirigenti democratici, socialisti, comunisti e quanti tentavano di opporsi alle nuove barbarie che avanzavano.

Con il passare dei mesi, la situazione degenerava sempre più e a nulla servivano i richiami alla legalità. Sul Soviet, Antonio Cecchi e Tommaso Borraccetti rispondevano con i loro inutili attacchi verbali:

 

«Per un’istituzione operaia violata cento palazzi borghesi grideranno il nostro odio e la nostra ferma vendetta (…)»

 

provocando con questo la derisione dei socialisti che sul loro periodico, La Conquista, il 17 settembre 1921 scrivevano:

 

«Questi rivoluzionari da operetta che sbraitano di voler rivoluzionare il mondo, di voler far saltare i palazzi signorili e poi finiscono col presentarsi in prefettura a reclamare l’ausilio delle autorità locali, al piccolo accenno di un assalto fascista alla Camera del Lavoro e col rimanere indifferenti ad altri incendi, altre devastazioni, altri assassinii.»

 

Contro Antonio Cecchi non si muovevano soltanto i socialisti irritati dall’eccesso di protagonismo dei loro cugini comunisti, a provocare dissidi e malumori contro il Segretario della Camera del Lavoro provvidero i suoi stessi compagni di Partito.

La principale critica rivolta dal Partito alla Camera Confederale del Lavoro si riferiva alla eccessivamente elastica applicazione della linea comunista.

In particolare si accusava il gruppo dirigente sindacale di non essere subordinato al Partito, di muoversi con eccessiva autonomia e questo non era tollerabile, tanto più che si registrava contemporaneamente un pesante condizionamento socialista sull’organismo sindacale.

Qualcuno ricordava che Cecchi era da sempre refrattario alla disciplina di Partito, non a caso, appena qualche anno prima, era stato sospeso dall’allora Frazione Astensionista perché non aveva voluto rinunciare a dare il suo contributo ai comizi elettorali durante le amministrative del 31 ottobre 1920, come ricorda lo stesso Nicola De Ianni nel suo citato, Operai e Industriali a Napoli tra Grande Guerra e crisi mondiale.

A rincarare la dose contro Cecchi e Tommaso Borraccetti intervenne perfino Ortensia De Meo, l’influentissima moglie di Amedeo Bordiga, sposata il 9 gennaio 1914, insegnante elementare in una scuola di Napoli e attivissima militante fin dai tempi del Circolo rivoluzionario intransigente sorto nel 1912, scrivendo un articolo di fuoco sul Soviet del 18 febbraio 1922:

 

«Non è da noi tollerare, ammesso che vi siano, gli opportunisti, i cacciatori di stipendi, gli spostati in cerca di fortuna, che quasi sempre antepongono agli interessi del partito la propria utilità pratica, la propria carriera economica e politica.»48

 

L’accusa per niente velata era rivolta a Tommaso Borraccetti per avere concentrato nella sua persona ben cinque incarichi di Segretario di Lega (a cui corrispondevano cinque stipendi) e ad Antonio Cecchi su cui pendeva l’accusa di condurre una vita privata sfarzosa.

Le polemiche, ma soprattutto l’accusa di mantenere una direzione della Camera del Lavoro poca energica e largamente condizionata dai socialisti, furono portate alle estreme conseguenze da Ugo Girone (1897 – 1977) – un professore di Lettere, originario di San Michele di Serino (AV), che aveva aderito al Partito comunista con titubanza, ma poi si era impegnato seriamente, intensificando l’attività, fino a raggiungere i vertici della Federazione locale – riuscendo a far promuovere un’inchiesta ufficiale sia nei confronti di Borraccetti, sia dello stesso Cecchi.49

Borraccetti riuscì a cavarsela senza subire gravi ripercussioni, mentre Cecchi si ritrovò immediatamente e definitivamente allontanato da ogni incarico di responsabilità e costretta, di fatto, a rassegnare le dimissioni, per evitare una più brutale espulsione definitiva dal Partito.

Quando queste polemiche erano già in corso, ma non avevano ancora raggiunto l’apice del loro dramma, il Partito stava proseguendo nella sua opera di proselitismo e di crescita della propria base costituendo un organismo teso a curare l’istruzione del proletariato e fondando un Istituto di Cultura proletaria con lo scopo di trattare, come recitava un articolo del Soviet del 10 aprile 1921.

 

«In una serie di ben coordinate conferenze i problemi che interessano il movimento rivoluzionario nel campo politico e nelle sue ripercussioni nel campo economico e sindacale.»

 

Tra i docenti ci fu Antonio Cecchi, chiamato a tenere, in un primo ciclo, due conferenze, la prima Sulla dittatura del proletariato e l’altra su I sindacati nella rivoluzione.

Un secondo ciclo di conferenze si tenne tra giugno e luglio e un terzo in ottobre dove Cecchi tenne un corso di pratica sindacale ponendo

 

«(…) con molta opportunità il problema degli strumenti che si dovevano fornire agli organizzati sindacali perché potessero essere messi nelle condizioni di dirigere una Lega (...). Fra le iniziative citate, la meglio elaborata e per noi più interessante è senz’altro quella sindacale. Dopo alcune lezioni introduttive di Cecchi il corso fu sdoppiato, il primo fu rivolto alla formazione degli organizzatori, il secondo a quello dei propagandisti, essendosi evidentemente avvertita la necessità di distinguere il momento della centralizzazione da quella della pratica sindacale quotidiana (…)»

 

ci ricorda ancora De Ianni riprendendolo dal Soviet del 7 gennaio 1922. Il ciclo di conferenze sembrò essere una delle ultime soddisfazioni vissute dal rivoluzionario di Scafati nel suo ruolo di dirigente sindacale.

Troppe cose, ormai, non andavano per il verso giusto e sembrava che per Antonio Cecchi tutto dovesse precipitare da un momento all’altro: il 3 febbraio di quel ’22 era stato, forse per la prima volta, fischiato dagli operai nella Camera del Lavoro perché voleva subordinare la convocazione del Consiglio Generale delle Leghe per la proclamazione dello sciopero generale contro i 43 licenziamenti avvenuti nella Miani & Silvestri, una fabbrica con 1.573 operai, all’esito della trattativa che su questa vertenza si doveva tenere in prefettura.

L’11, all’indomani del fallimento dello sciopero generale, fu attaccato anche dal Soviet con l’accusa di una conduzione della trattativa morbida ed eccessivamente conciliante.

Intanto contro la violenza sempre più marcata dei fascisti andava formandosi a Roma l’Alleanza del Lavoro, su indicazione del sindacato ferrovieri, che aveva messo in piedi un convegno per il 18 - 20 febbraio, proponendosi di organizzare i vari sindacati in un fronte comune contro il fascismo trovando l’adesione di tutte le forze intransigenti, in particolare aderirono la Cgl, l’Unione Sindacale Italiana, l’Unione sindacale del Lavoro, la Federazione Italiana del Mare e il Sindacato Nazionale dei Portuali.

A Napoli l’iniziativa fu assunta da Antonio Cecchi, chiamato a presiedere a fine marzo l’assemblea costitutiva della nuova organizzazione antifascista con il consenso delle diverse categorie sindacali.

Ormai, però, era troppo tardi per preparare una qualunque resistenza contro l’avanzata dei fascisti e così ci fu la capitolazione favorita e accelerata dall’incapacità, in particolare da parte dei due partiti di sinistra ma in generale dell’intero fronte democratico, di capire la gravità di quello che stava accadendo.

L’incapacità dei due partiti nati dalla scissione di Livorno fu favorita sicuramente dalle rivalità reciproche e dalle stesse lotte intestine, con negative ripercussioni nella stessa CGL dove la sfida tra i due schieramenti si riproponeva nella stessa identica misura, senza, esclusione di colpi.

Intanto, mentre i gruppi dirigenti si dilaniavano in un’inutile, sterile, fratricida lotta, le sezioni dei partiti comunista e socialista, come le sedi delle Camere del Lavoro, erano assalite, distrutte e chiuse o in ogni modo messe nelle condizioni di non nuocere, mentre i militanti della sinistra politica e sociale erano picchiati, arrestati, uccisi, in molti casi costretti all’emigrazione o a piegarsi. Cominciò così la lunga notte del fascismo.

Mentre tutto questo accadeva, nella Camera del Lavoro di Napoli, tra il 25 e il 27 marzo 1922, un anno dopo le elezioni precedenti, in un clima teso, si rinnovavano le cariche sindacali dopo le dimissioni per scadenza dei termini del precedente esecutivo – la commissione esecutiva veniva, infatti, rinnovata ogni anno.

Ancora una volta furono presentate due liste, quella comunista appariva fortemente rinnovata, infatti, su 11 nomi da eleggere si ripresentarono soltanto tre uscenti tra cui Tommaso Borraccetti e Antonio Cecchi. Non di meno fecero i socialisti con 9 nomi nuovi su 11 candidati.

 

«L’esito fu ancora, e questa volta con maggiore scarto, favorevole alla lista comunista (...) alla segreteria, rispettivamente amministrativa e politica, venivano riconfermati Borraccetti e Antonio Cecchi.»

 

Scrive ancora Nicola De Ianni nella sua preziosa ricostruzione di questa fase delicata del movimento operaio napoletano. Ancora poche settimane e poi il processo, la condanna senza appello, la destituzione da ogni incarico di responsabilità, le dimissioni irrevocabili, l’abbandono del sindacato e della politica.

A sostituirlo nella direzione della Camera del Lavoro era chiamato Michelangelo Pappalardi, già segretario della struttura sindacale stabiese, arrestato per i fatti di Piazza Spartaco, processato e assolto proprio in quelle settimane infuocate.

Dopo Pappalardi, a reggere le sorti della Camera del Lavoro di Castellammare di Stabia fu chiamato Primo Galasso, un marchigiano emigrato a Milano dove aveva maturato le sue esperienze politiche e sindacali.

 

 

(Fine prima parte)

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Note

 

1. P. Cecchi, Lotta politica a Castellammare di Stabia, dattiloscritto del 1972 e conservato presso l’archivio dell’allora Federazione del Partito Comunista Italiano.

 

2. F.Barbagallo, Stato, parlamento e lotte politico sociali nel Mezzogiorno. 1900-1914, Napoli, Guida, 1980, pag. .401-405.

 

3. Cecchi, cit.

 

4. La Propaganda n. 978,  art. Comizio, di Cecchi, 1° giugno 1912. In realtà non sappiamo se l’autore dell’articolo sia Antonio o uno dei suoi fratelli, essendosi firmato con il solo cognome. Le successive vicende ci lasciano tranquillamente presupporre di poter comunque affidare la paternità di questo articolo ad Antonio.

 

5. La Propaganda n. 991 art. Comizio della Camera del Lavoro a Piazza Fontana, di N.N., 31 agosto 1912. Salvatore Crispino (1887 -?) pastaio di Torre Annunziata, parteciperà a tutte le lotte d’inizio secolo, schedato fin dal 1912 e posto sotto assiduo controllo, almeno fino al 1942. Non da meno sarà il fratello minore, Carmine (1902 -?), mugnaio comunista, antifascista perseguitato dal regime.

 

6.  Archivio Storico Comunale, d’ora in poi ASC, Langella Clotilde, maestra elementare, busta 457.

 

7. ASN, Schedario politico, sovversivi radiati, Ignazio Esposito, busta 60 .

 

8. L’Aurora n. 16 art. La nuova tattica della massoneria stabile, 4 dicembre 1910.

 

9. Per tutte le vicende legate alle origini della storia della Camera del Lavoro, vedi R. Scala, Catello Langella (1871 – 1947 Origini del socialismo, della Camera del lavoro e lotta politico sociali a Castellammare di Stabia, in «Studi stabiani in memoria di Catello Salvati», edizione a cura del Comune di Castellammare di Stabia, 2002.

 

10. Cecchi, cit.

 

11. La Soffitta, giornale della frazione intransigente, art. La situazione del partito nel napoletano, 4 marzo 1912.Tra i militanti del circolo, oltre allo stesso Bordiga e Antonio Cecchi, si ricordano Mario Bianchi e sua moglie Ida Garbarini, Ignazio Esposito, Gustavo Savarese, Rodolfo Fobert Ertulio Esposito, Ortensia De Meo, Ines Garbarini, Adele Giannuzzi, Enrichetta Giannelli, Giovanni Martinelli, Mario Onorato, Ruggero Grieco.

 

12. Sulle vicende del Circolo Carlo Marx e sull’impegno politico del giovane Amedeo Bordiga, anche sull’area stabiese torrese, cfr. M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli, Firenze, La Nuova Italia, 1971.

 

13. Su Ruggero Grieco cfr. M. Pistillo, Vita di Ruggero Grieco, Roma, Editori Riuniti; M. Fatica, cit. Per Oreste Lizzadri cfr. R. Scala, cit., e la biografia scritta da S. Pirastu, L’utopia dell’unità. Oreste Lizzadri, Roma, Ediesse, 2006.

 

14. Scala, cit.

 

15.  Gli altri due deputati socialisti eletti (ma non iscritti al partito) erano Ettore Ciccotti e Carlo Altobelli. Al Congresso di Ancona la sezione stabiese delegherà Benito Mussolini con  il seguente ordine del giorno pubblicato sull’Avanti! il 17 marzo 1914:  «La sezione stabiese riunita in assemblea il 10 marzo 1914, discutendo in ordine alle prossime elezioni amministrative, considerando che i blocchi si sono sempre risolti in danno del Partito, deliberano di affidare il mandato intransigente al suo rappresentante al Congresso nazionale di Ancona, riservandosi di esprimere il proprio parere sulla piattaforma da seguire appena saranno pervenute le relazioni del segretario. Il mandato di rappresentare la sezione è stato affidato al compagno Benito Mussolini.»

 

16. Cfr. Avanti! art.  I casi del Partito a Napoli e La nuova sezione socialista napoletana,9 - 10 maggio 1914.

 

17. Fatica, cit.

 

18. F.Pieroni Bortolotti,  Francesco Misiano. Vita di un internazionalista, Roma, Editori Riuniti, 1972.

 

19. Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, d’ora in poi ACS, CPC Antonio Cecchi, busta 1219, fasc. 44931.

 

20. In realtà Mussolini da tempo aveva maturato l’idea che le masse sono il materiale con cui si fa la storia ma non fanno la storia, che tocca alle minoranze prendere l’iniziativa e determinare i mutamenti politici di fondo. In questi elementi – cui si aggiunge un avventurismo e una sete di successo e potere personale innegabili – devono cercarsi le ragioni della clamorosa conversione dell’ottobre 1914. Cfr. AA.VV, La storia d’Italia, vol. XIX, pag. 651

 

21. Cfr. l’intera vicenda su Michele Fatica, cit.

 

22. Cfr. Avanti! art. Intorno al fattaccio Caiani,  5 dicembre 1914.

 

23. ACS, CPC, Antonio Cecchi.

 

24. Ibidem.

 

25. Avanti! art. Arresto di giovani socialisti a Roma , 12 settembre 1916.

 

26. ASC, CPC, Antonio Cecchi.

 

27. A. Acampora – G. D’Angelo, Le fonti bibliografiche per la storia di Castellammare di Stabia, Napoli, Nicola Longobardo Editore, 1996, p. 167.

 

28.Camillo scomparirà nel 1943 ad Angri dove risiedeva con la moglie ed esercitava la professione medica, Mario perirà in un incidente automobilistico ad Agerola il 16 giugno 1958.

 

29. Il 31 dicembre 1932 la vedova Cecchi, acquistò 8 metri di suolo al cimitero dalla signora Margherita Vivenzio, facendovi costruire la tomba di famiglia, ancora esistente. Cfr. ASC, Passaggio di intestazione di suolo al cimitero, busta 399.

 

30. Avanti! art. Il Congresso Giovanile Socialista a Roma, 1 marzo 1917.

 

31. Avanti! art. La manifestazione del 1° maggio. A Torre Annunziata, 5 maggio 1917.

 

32. Avanti! art. Il Congresso Nazionale Giovanile Socialista, 26 settembre 1917.

 

33. Ibidem. L’ordine del giorno presentato da Cecchi, diviso in due, quello semplice senza i due punti venne approvato con 4.021 voti, quello complessivo 3.512 voti e 300 astenuti. 

 

34. ACS, CPC Antonio Esposito, busta 1894, fasc. 123625.

 

35. ACS, CPC, Antonio Cecchi.

 

36. Tra i fascisti della prima ora e fondatori del Fascio mussoliniano ricordiamo Vincenzo Zembrino, Catello Avvisano e Filippo Ziino, rispettivamente dipendente delle Terme, custode del cimitero e applicato di segreteria del comune di Castellammare. L’Avvisano fu, tra l’altro, comandante della squadra d’azione, Impavida, partecipando a diverse spedizioni punitive.

 

37. ASC, Sciopero generale, busta 344.

 

38. Ibidem.

 

39. Nato a Castellammare di Stabia il 10 agosto 1879, Ernesto Aiello fu un attivo militante socialista fin dal principio del secolo. Nel 1904 sostenne con conferenze pubbliche la candidatura a deputato di Rodolfo Rispoli, nel 1912 diresse e fu segretario del Circolo Arsenalotti e dal 1918 al 1920 corrispondente dei giornali Roma e Idea Nazionale. Il 20 gennaio 1921 partecipò al conflitto contro i fascisti e per questo denunciato, arrestato e assolto. Carpentiere in ferro del Regio Cantiere fu trasferito a Taranto nel 1920 per riduzione di personale. Rientrato a Castellammare nel maggio 1926 fu riassunto dal Cantiere, ma ormai gravemente ammalato muore il 17 novembre di quello stesso anno. Fino all’ultimo continuò ad essere attentamente vigilato dalla polizia politica. Anche sua moglie, Maria Basiloni, impiegata presso i telefoni dello Stato, fu un attiva militante socialista e sottoposta a rigida sorveglianza. Cfr ASN, Sovversivi, busta 4.

 

40. Avanti! art. Tumulti contro il caro viveri. A Castellammare di Stabia, 9 luglio 1919.

 

41. ASC, Il sottoprefetto al Regio commissario, busta 344

 

42. A. Barone, Piazza Spartaco, Roma, Editori Riuniti 1974, pag. 67.

 

43. ASC, Il sottoprefetto al regio Commissario, busta 344.

 

44. Soviet, n.2, art.Castellammare. L’ adesione alla Frazione, 11 gennaio 1920, e n. 12, art. Dai gruppi aderenti alla Frazione, 25 gennaio 1920.

 

45. A. Barone, cit., e Soviet n. 15, art. Lega impiegati privati di Castellammare, 30 marzo 1919.

 

46. Per l’intera, dettagliata vicenda vedi Barone, Piazza Spartaco, cit.

 

47. A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari, Laterza, 1982, p. 122.

 

48. Soviet, art. Moniti e propositi di Ortensia De Meo Bordiga, 18 febbraio 1922.

 

49. Ugo Girone sarà espulso dal PCd’I nel giugno 1925 «per gravi mancanze disciplinari», in realtà per avere aderito al Comitato d’Intesa di Bordiga, di agire come funzionario di parte, percependo uno stipendio e accusato di frazionismo ma reintegrato dopo qualche settimana a seguito delle vibrate proteste di Amedeo Bordiga. Arrestato nel 1928 diventerà quasi subito un confidente della polizia politica, ma scoperto da Eugenio Mancini. Il suo nome sarà inserito nella lista dei confidenti dell’OVRA pubblicata nel supplemento della Gazzetta Ufficiale n. 145 del 2 luglio 1946.

 

 

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