Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Togliere la statua del generale Cialdini stravolge la storia

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Senza risposta è rimasta una mia richiesta via pec, in quanto storica e presidente della Società napoletana di storia patria, al presidente della Camera di commercio di Napoli di un confronto e di un dibattito pubblico sulla delibera di togliere dalla sede della Camera di Commercio il busto del generale Enrico Cialdini, in quanto responsabile dei presunti eccidi di Pontelandolfo e Casalduni.

La decisione è stata presa senza affrontare un problema fondamentale per chi gestisce un’istituzione con antiche radici nella vita cittadina, fornita di un’importante biblioteca e di un archivio: perché gruppi imprenditoriali della Napoli di secondo Ottocento ritennero di dover fare un omaggio al generale e a Camillo Benso conte di Cavour, il cui busto è collocato nella stessa sede?

 

L’opportunità di tornare sul tema, già oggetto nei mesi passati di interventi che suggerivano di contestualizzare i comportamenti dei gruppi dirigenti locali in base a una valutazione del clima complessivo che dettò scelte a suo tempo condivise (Carmine Pinto, Luigi Mascilli Migliorini, Paolo Macry, Giancristiano Desiderio) si lega alla presa di posizione delle maggiori Società degli Storici in merito all’attività di “bonifica storica” di cui la decisione della Camera di commercio è una testimonianza ulteriore.

Estrapolare personaggi e eventi dalla propria epoca, per renderli invece funzionali a problemi e questioni del presente, è un procedimento diffuso, che banalizza la complessità dei problemi affrontati.

La legge n. 680 del 6 luglio 1862 stabilì in tutto il Regno italiano le Camere di commercio e di arti, con lo scopo di valorizzare le potenzialità e il mondo produttivo locali. Rispetto alla Camera di Napoli, creata da Giuseppe Bonaparte il 10 marzo 1808, che fu sciolta, quella creata nel 1862 ebbe 21 componenti, tra cui banchieri, assicuratori, armatori.

In una memoria dei suoi consiglieri del 6 ottobre 1888, rivolta ai consiglieri del Comune di Napoli in merito all’edificazione della nuova Borsa, argomento a lungo dibattuto negli anni precedenti, si ricordava l’opera del generale Cialdini, nel 1861 Luogotenente del re per le province meridionali, che aveva allora deciso di accantonare il compenso datogli dallo Stato per questo ruolo, vincolandolo alla costruzione di una nuova sede della Borsa.

Si trattava di una cifra consistente, corrispondente a 212,500 lire dell’epoca (divenute con gli interessi 1.300 lire nel 1893). Il generale esprimeva in tal modo una decisa fiducia nel futuro della città, mentre erano in atto il taglio dell’istmo di Suez, la costruzione di ferrovie e strade, i lavori nel Porto.

Chiedeva che a realizzazione avvenuta fosse posta nelle nuova sede la statua di Cavour. La cifra iniziale, incrementata con contributi del Comune, della Provincia, del Banco di Napoli, e di altri enti, non fu utilizzata che 31 anni dopo, a causa della lunghezza delle procedure per attuare il “nobile pensiero del generale Cialdini”.

Dopo falliti tentativi di collocare la costruzione in piazza Municipio, con la disponibilità di suoli durante le operazioni del Risanamento dopo il colera del 1884, il Collegio camerale, d’intesa con l’amministrazione comunale, sottoscrisse il contratto con i banchieri finanziatori dell’opera.

I componenti della Camera, nella estenuante attività per la costruzione dell’edificio, si ritenevano “mandatarii del generale Cialdini nella esecuzione di una nobile idea… e depositarii della munificenza di lui”.

L’edificio fu quindi inaugurato nell’ottobre 1889 dal ministro Salandra e i visitatori rimasero impressionati dalla “cura architettonica” dell’edificio, “opera notevole della Napoli di allora” (La Camera di commercio di Napoli e il Palazzo della Borsa, Napoli 1987, ma si rimanda ai lavori fondamentali di Giuseppe Russo e di Giancarlo Alisio).

Cura architettonica che verrebbe profondamente alterata dalla rimozione del busto del generale; nell’edificio, costruito su progetto e direzione dei lavori dell’architetto Guerra e dell’ingegnere Ferrara, tra il 1893 e il 1898, i due busti in marmo di Cialdini e Cavour furono eseguiti dagli artisti scultori professori Raffaele Belliazzi (famoso in Europa, lavorò alla statua di Carlo III sulla facciata del Palazzo Reale) e Achille D’Orsi (artista in contatto con i maggiori esponenti della scultura del tempo), in perfetta sintonia con stucchi, marmi e dipinti della sala. In occasione dell’inaugurazione i componenti della giunta della Camera, la stampa e la società cittadine ricordarono con grande riconoscenza il lascito iniziale di Cialdini.

Il clima è evidentemente cambiato e Cialdini fu anche un generale particolarmente duro nella repressione del brigantaggio, che ebbe manifestazioni crudeli da entrambi le parti in lotta, con la distruzione di interi villaggi a opera dei briganti stessi, assalto alle case dei notabili, episodi di cannibalismo e altre aberrazioni.

Va ricordato che egli era essenzialmente un militare, educato, come i suoi colleghi napoletani, nelle scuole ad hoc, che prevedevano, di fronte alla “guerra per bande”, misure radicali, attuate nelle guerre europee ottocentesche e non a caso praticate dalla dinastia borbonica nel 1828 con la distruzione del villaggio di Bosco e nel 1848-49 contro Messina.

Re borbonici pronti ad uccidere i propri sudditi con modalità identiche a quelle degli ufficiali “piemontesi”- italiani.

In base a questa serie di valutazioni la Società napoletana di storia patria, cui competono anche i pareri sulla toponomastica, si è espressa contro una visione del passato che stravolge gli spazi e il loro portato simbolico, disancorandoli dalle motivazioni che li hanno plasmati, sulla base di sollecitazioni di parte.

Una domanda infine: non esiste un vincolo delle Soprintendenze per la tutela del patrimonio storico-artistico?

Può un Consiglio di amministrazione non tener conto delle leggi dello Stato e gestire, durante un mandato a scadenza, ciò che gli è stato affidato, ignorando competenze e normative che hanno un valore più radicato e ampio di un decisionismo occasionale?

 

Fonte 'La Repubblica'

 

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