Storia di uno stabiese Caduto durante la Grande Guerra

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Un mio antenato, fratello della bisnonna paterna, Annunziata Ruocco, Raffaele (Castellammare di Stabia 29 gennaio 1883 – Nad Logem, Slovenia, 21 novembre 1916), fu uno degli oltre cinque milioni di italiani chiamati alle armi per dare il proprio contributo di sacrificio, dolore e sangue, consentendo al nostro Paese la vittoria finale nella Grande Guerra (1915 – 1918) e tra i 651mila militari destinati a non fare ritorno a casa.

Arruolato nel 14° reggimento di Fanteria, Raffaele partì, lasciando una moglie e un figlio in tenerissima età, contando di tornare per raccontare le sue avventure belliche ma non ce la fece, cadendo il 21 novembre 1916 nel corso di uno dei tanti furiosi combattimenti verificatosi sul colle di Nad Logem, attualmente territorio della Slovenia.

Curiosamente quello stesso giorno morirà, dopo 68 anni di ininterrotto regno, Francesco Giuseppe (1830 – 1916), il potente imperatore d’Austria e Re d’Ungheria. Su di lui pesava come un macigno l'onere di aver dato inizio alle ostilità, dichiarando guerra alla Serbia il 28 luglio 1914, convinto che, per quanto micidiale potesse essere, il conflitto sarebbero state di breve durata. Non immaginava, non poteva, quale terribile, terrificante genocidio sarebbe derivato da quel suo bellicoso atto.

 

Ma torniamo a Raffaele Ruocco e alla sua triste vicenda.

Come gli altri membri della famiglia, Raffaele non era molto alto, anzi, nel suo caso misurava appena un metro e 57 centimetri, aveva capelli castani, colorito bruno, una dentatura già guasta nonostante la giovane età, analfabeta e di mestiere faceva il carrettiere.

Militare di leva di terza categoria era stato lasciato in congedo illimitato il 25 giugno 1903 e quando scoppiò il conflitto evitò le prime chiamate destinate ai più giovani, magari sperò pure di farla franca. Invece, implacabile, il 10 luglio 1916 arrivò il suo turno e inviato a compiere il suo dovere di soldato a Foggia, nel deposito del 52° reggimento di Fanteria, dove giunse il giorno dopo.1

Purtroppo per lui non vi rimase molto, ma proviamo a ricostruire i suoi ultimi giorni di vita dalle scarne carte in nostro possesso.

Inquadrato nel 14° reggimento di fanteria fu inviato al fronte, arrivando ‘in territorio dichiarato in stato di guerra’ il 10 novembre, pochi giorni dopo la conclusione della sanguinosa nona battaglia dell'Isonzo combattuta tra il 31 ottobre e il 4 novembre 1916, sull’impervio altopiano carsico che aveva portato alla conquista, una dopo l'altra, delle ripide boscose alture del Veliki Kribak, a quota 343 e del monte Pecinka.

Di trincea in trincea, scacciando l’avversario annidato in boschi, doline e caverne, i nostri raggiunsero l’importante linea del monte Faiti, fino ad espugnare le forti alture del Volkovniak.  Nelle settimane successive, tra il 5 novembre e il 28 dicembre, le truppe italiane, e con loro il 14° reggimento si attestarono sulle diverse quote del colle di Nad Logem, rinforzando le diverse posizioni, subendo numerosi attacchi, terrestri ed aerei.

In quei due mesi scarsi si registrarono nelle fila del 14° reggimento, numerose perdite, almeno 31 morti, 205 feriti e 77 dispersi, tra cui si annoverò il nostro prozio, giunto a rinforzare le falciate file dei nostri esausti fanti.2

Abbiamo rintracciato, in un libro sul primo conflitto mondiale, la lettera di uno sconosciuto militare di Gragnano inviata alla sua famiglia.

Non fu scritta da Raffaele Ruocco, non avrebbe potuto perché, come abbiamo avuto modo di costatare dal suo foglio matricolare, il numero 11.483, era analfabeta, ma a noi piace immaginarla come vergata di suo pugno, o, più realisticamente, dettata ad un suo compagno di trincea capace di leggere e scrivere.

Dopo mesi vissuti lontano dalla sua casa, dal paese natio, prima nella tranquilla Puglia, cullandosi magari nella illusione di non essere toccato dalla guerra, di evitare di conoscere gli orrori di quella carneficina mondiale, poi lanciato, probabilmente senza alcuna adeguata preparazione, nelle aride contrade del confine italiano, avanzando nella zona di Gorizia, in terreni impaludati dalle piogge di quei giorni, in pieno territorio straniero, subendo un freddo micidiale che in alcuni punti registrava temperature prossime ai 20 gradi sotto zero, il nostro milite sentì il bisogno di scrivere alla sua famiglia, di far sapere di essere ancora vivo, per sentire in qualche modo il calore delle persone amate e lontane.

Ignorava, il povero fante, che la sua avventura bellica sarebbe durata soltanto pochi giorni, appena undici, neanche il tempo di conoscere bene i suoi compagni di sventura. E allora fingiamo che l’autore sia il nostro sfortunato antenato e riproduciamola come se l’avesse materialmente scritta di suo pugno:

«(…) e poi ti raccomante di rispettare ad i nostri Genitori e non altro che dirti solo che ti saluto tanto caramente con una stretta di mana che parta dal mio misero cuore che ora si ritrova tanto lontano come pure saluta tanto a tutta la famiglia zii zie cugini e a tutti i parenti che damante di me».3

Furono 542 gli stabiesi morti in quei tre lunghissimi e sanguinosi anni di guerra, la prima, terrificante Guerra Mondiale del Novecento, costata complessivamente la vita a circa nove milioni di militari tra i vari stati belligeranti.

Il suo corpo non fu mai ritrovato e le autorità militari lo dichiararono ufficialmente disperso, portando la vedova, nel frattempo consolatosi con un altro uomo, a rivolgersi nel febbraio 1921 al tribunale per chiedere la morte presunta del marito al fine di potersi risposare.

All’iniziativa della vedova si opposero i genitori del povero Raffaele, impugnandola, non volendo accettare la scomparsa del figlio morto in guerra. Se il corpo non si era mai trovato, pensavano i due sconsolati genitori, forse quel figlio era ancora vivo, magari smemorato, prigioniero, incosciente in qualche altro paese, come era capitato ad altri, di cui le cronache avevano pure scritto e un giorno, prima o poi, poteva ben tornare a casa!

Ma se i due genitori potevano avere ragione, altrettanto, e sicuramente più solido, era il diritto rivendicato dalla vedova. Maria Immacolata Graziuso aveva conosciuto un altro uomo, aveva intrecciato con lui una relazione che voleva al più presto legalizzare col matrimonio. E questo poteva avvenire soltanto certificando il suo stato di vedovanza, ufficializzando ciò che tutti sapevano, la morte di suo marito Raffaele Ruocco, caduto in combattimento in quel triste giorno d’autunno del 1916. Un orrido martedì di morte.

Il processo finì nel modo più logico: la sentenza della I Sezione del Tribunale Civile, il successivo 15 aprile, accolse l’istanza della vedova e dichiarò la morte presunta del fante Raffaele Ruocco, visto vivo per l’ultima volta il 21 novembre 1916 partecipare al combattimento di Nad Logem. Anche suo figlio, Vincenzo, quel bambino lasciato praticamente in fasce quando partì per il fronte, non fu più fortunato del padre, scomparendo a soli sette anni il 30 novembre 1923.

La morte di Raffaele nel corso della prima guerra mondiale non fu l’unico lutto di casa Ruocco in quegli anni, perché il 6 ottobre 1918 scomparve, nella grande casa di via Fosso della Luna 56, anche una delle sorelle, Caterina (1878 – 1918), quarantenne coniugata con Vincenzo Esposito.

Poiché è noto che le disgrazie non arrivano mai da sole, ma sono sempre tristemente accompagnate, due giorni dopo, l'otto, morirà anche il figlio di Caterina, il piccolo Salvatore, di appena 10 anni. Era nato nel 1908. Due settimane dopo, il 24 ottobre, seguì la morte, improvvisa, del marito di Nunzia, il cocchiere Luigi Scala e mio sconosciuto bisnonno.

Un anno dopo fu il turno del loro piccolo Raffaele Scala, di due anni. Al bambino il nome con cui fu battezzato, Raffaele, in ricordo dello zio morto in guerra non portò fortuna, scomparendo a sua volta il 4 dicembre 1919. Era nato il 20 febbraio 1917.

Chi scrive, avendo oltrepassato i due terzi del suo cammino è stato più fortunato. Forse.

 

 

Note

1 ASN, distretto militare di Nola, foglio matricolare 11.483 del fante Ruocco Raffaele, busta 764/215

2 Da un bollettino di guerra del 21 novembre 1916 firmato da Cadorna, apprendiamo che sul Carso ci furono piccoli scontri di nuclei di fanteria, dove gli italiani presero diversi prigionieri. Poi nella notte del 21 l’avversario lanciò due attacchi contro le nostre posizioni sull’altura di quota 126 a settentrione del Volkovniak. Fu ogni volta nettamente respinto. E forse fu proprio durante una di queste incursioni nemiche, in una delle tante scaramucce che sparì per sempre Raffaele Ruocco. Cfr. Associazione storica Cimeetrincee e in particolare la rubrica dei Bollettini Ufficiali del Comando Supremo del Regio esercito Italiano, dai quali abbiamo tratto le preziose informazioni sui vari combattimenti di quei giorni.

3 Leo Spitzer,Lettere di prigionieri di guerra italiani. 1915 – 1918, Bollati Boringhieri, 1976.

 

 

Albo dei Caduti della Grande Guerra

 

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