Brevi considerazioni su Kurt Göedel e Mircea Eliade
Uno dei maggiori logici di tutti i tempi, l’austriaco Gödel, ha dimostrato in Die Vollständigkeit der Axiome des logischen Funktionenkalcüls ed in Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme che è impossibile fondare la veridicità della matematica senza per così dire appoggiarla su assiomi che non sono creati dall’uomo, ma soltanto da egli scoperti, perché esistono in sé e di per sé ed hanno valore universale e metastorico. Ad egli spetta la paternità di alcuni teoremi fondamentali: il teorema di completezza della logica del primo ordine, secondo cui in ciascuna teoria formalizzata “al primo ordine” sono teoremi tutte e sole le conseguenze logiche degli assiomi. Il primo teorema di incompletezza, secondo cui se un sistema assiomatico è coerente, ossia da esso non si possono dedurre contemporaneamente un’affermazione e la sua negazione, allora il sistema è sintatticamente incompleto, ossia esistono affermazioni sintatticamente corrette che non sono né dimostrabili né confutabili.
Il secondo teorema di incompletezza, per il quale se un sistema assiomatico è coerente, allora la sua coerenza sistemica è indimostrabile all’interno del sistema stesso, essendo pertanto impossibile provare l’assenza di contraddizioni logiche all’interno del sistema assiomatico. Gödel, come altri grandi matematici (per restare al secolo XX, si possono ricordare l’italiano Peano, l’inglese Russell, il russo Florenskj) era un platonista, che postulava un universo di enti e relazioni matematiche oggettive e transumane, opponendosi in modo radicale alla posizione opposta dei formalisti, che mai sono riusciti a sanare le contraddizioni derivanti dai loro postulati teorici. Gödel provò l’insufficienza delle costruzioni matematiche formali, che sono vere ma incomplete, poiché la loro dimostrabilità deriva da formule che sono estranee ai loro sistemi stessi. Ricorrendo ad un linguaggio platonico, si potrebbe dire che la matematica è vera perché basata su archetipi, che costituiscono i suoi assiomi e che non sono costruzioni formali umane, anzi non sono umani affatto, essendo postulati universali ed atemporali. Conclusione coerente di questo assunto fu la dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio, inteso come Essere perfettissimo, che Gödel formulò in termini logico-matematici. Egli riprese la famosa prova ontologica dell’esistenza di Dio del teologo medievale Anselmo d’Aosta (naturalmente, un neoplatonico) mediata dalla riformulazione proposta da Leibniz (un genio poliedrico che fu anche un grande matematico) e sviluppata ricorrendo alla metodologia della logica modale, che sebbene risalga anch’essa fino ad Aristotele nella sua analisi del rapporto fra necessità e possibilità è stata perfezionata nel XX secolo da logici come Clarence Lewis, Alfred Tarski, Saul Kripke ed altri. Gödel evitò di stampare la sua versione della dimostrazione ontologica, che fu resa pubblica soltanto nove anni dopo la sua morte, ma essa si può ritenere il coronamento dei suoi teoremi suddetti. Il teorema della completezza ed i due della incompletezza comportano per i sistemi matematici la necessità di fondarsi su assiomi loro esterni, ma si può sostenere che questi a loro volta debbano fare riferimento ancora ad un ente che necessariamente esiste di per sé, ovvero per ricorrere ad una terminologia filosofica ad una causa prima non causata. Mutatis mutandis, il rapporto gerarchico nella gnoseologia riconosciuto dal platonismo matematico può essere applicato anche alle scienze umane. Come ha insegnato instancabilmente Martin Heidegger, ciò che è storico è relativo per definizione, essendo un Dasein (l’esserci in un contesto determinato). Un approccio ermeneutico che si soffermi solo ed esclusivamente su di esso rischia di essere limitante. Il grande antropologo Claude Lévi-Strauss supponeva l’esistenza di strutture (sociali, linguistiche etc.) indipendenti dal volere e dal pensiero umani, per cui non era l’uomo il loro autore, bensì un loro prodotto, con una concezione complessa e raffinata esposta anzitutto in Le strutture elementari della parentela. Queste strutture però per questo studioso erano per così dire poste al di sotto dell’uomo e non al di sopra, cosicché esse faticavano a trovare spiegazione. L’enorme mole di dati raccolti, catalogati, ordinati ed analizzati da questo illustre antropologo, con finezza e varietà di metodi, erano però incompleti non essendo né decifrabili in sé né spiegabili nella loro genesi. Esemplare in questo aspetto era l’ipotesi di Lévi-Strauss sulle strutture binarie (lo schema logico per eccellenza) nella cultura umana (come nell’estetica etc.), in cui la sua costruzione di un sistema formale conduceva però ad una aporia analoga (certo non identica e con tutte le differenze del caso) a quelle dei formalisti matematici confutati da Gödel. Il diritto positivo (ciò che i romani definivano ius, ossia la legge) può esistere ed avere funzione e valore razionali soltanto se correlato al diritto naturale (il rectum, ossia il giusto). Ciò che è legale e legittimo deve essere conforme a quanto è giusto per natura ovvero per ragione, intesa nell’accezione del Logos greco o del Dharma indiano. Il rifiuto del giusnaturalismo conduce inevitabilmente alla tirannide, poiché se la legge non risponde più al Logos, allora essa risulta un effetto dei puri rapporti di potere. Anche in questo caso è veritiero quanto descritto da Goethe nel Faust, in cui l’apparizione di Mefistofele segue la falsificante traduzione del versetto In principio erat Verbum, che il dottore traduce non come Ragione bensì come Azione (die Tat). Uno ius privato del rectum è espressione dei rapporti di forza sociali e loro giustificazione mascherata, come in questo aveva ineccepibilmente compreso Michel Foucault. Questo studioso però (come tutti gli strutturalisti e non solo) non comprese che questo non era inevitabile ed umanamente universale, ma l’esito coerente del corso di una data civiltà. Egli non poteva neppure riconoscere l’esistenza di ciò che aveva escluso a priori dal suo orizzonte intellettuale e che non rientra nella contingenza storica, relativa e determinata per definizione. Lo psicologo Jean Piaget ha potuto quindi giudicare Foucault quale un irrazionalista, la cui ricerca delle “memorie del sottosuolo” ovvero di ciò che egli definiva “archeologia del sapere” conduceva a strutture supposte epistemiche, ma che in realtà non potevano essere comprese né storicamente né formalmente. Non è casuale che gli strutturalisti fossero contrari all’umanesimo al punto da parlare di “morte dell’uomo” inteso quale soggetto storico cosciente. Scriveva questo illustre antropologo in Tristi tropici: «all’inizio del mondo l’uomo non c’era; non ci sarà neanche alla fine». Foucault nel suo celebre Le parole e le cose scrisse: «l’uomo è un’invenzione che l’archeologia del nostro pensiero non ha difficoltà ad assegnare ad un’epoca recente. E forse neanche a dichiararne prossima la fine […] Ai nostri giorni, piuttosto che l’assenza o la morte di Dio viene proclamata la fine dell’uomo […] L’uomo sta per scomparire». Il loro sforzo di ricostruire il funzionamento della “ragione umana” aveva condotto alla sua riduzione a meccanismi inconsci non perspicui e, di fatto, al suo smantellamento ed alla negazione della sua stessa esistenza. L’incompletezza di una impostazione metodologica che escluda a priori il metastorico è stata sottolineata con forza dal romeno Mircea Eliade, ritenuto il maggior storico delle religioni mai esistito. La sua teoria dei simboli spirituali li riconduce ad archetipi universali e naturali, che, sebbene culturalmente condizionati nelle loro manifestazioni specifiche, sarebbero irriducibili ai vari “condizionamenti” biologici, sociali, psicologici etc. ed avrebbero un’esistenza ideale. Non è senza significato che un intellettuale cruciale nella formazione culturale di Eliade sia stato Nae Ionescu, che fu anch’egli un logico ed un matematico.
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