La moderna Filosofia Religiosa «mitologica». Il caso Campbell
La moderna Filosofia Religiosa (FR) è una disciplina così composita da essere capace di ospitare in sé stessa anche voci estremamente contraddittorie. Tuttavia molto in grandi linee si potrebbero comunque individuare in essa almeno due grandi voci, e cioè quella filosofica e quella mitologica. Di quest’ultima noi parliamo in questo articolo prendendo a fondamento uno dei libri di Joseph Campbell.1 Ora, mentre la prima è in larga parte convergente con la moderna teologia, la seconda è invece totalmente divergente da qualunque teologia – moderna o antica che essa sia. Sta di fatto però che la FR «mitologica» si basa su davvero annosi, ponderosi, amplissimi e ricchissimi studi del mito. Essa quindi rivolge per principio il proprio sguardo verso la cultura e la religiosità antiche; ossia verso un ambito di conoscenze che o ha preceduto lo strutturarsi della teologia (specie quella cristiana) oppure è decorsa parallelamente ad essa in maniera quasi sempre conflittuale.
Parliamo insomma di una mitologia che – almeno come viene intesa nel genere di studi di cui stiamo parlando – ha sempre avuto, come proprio specifico carattere, una sorta di vera e propria vocazione a configurarsi in forma di «eresia». La sua è pertanto per definizione una vocazione decisamente trasgressiva. Ebbene è esattamente questo carattere ciò che sembra rendere tale ambito di conoscenza interessante per una parte della moderna FR. Infatti forse l’unico elemento che quest’ultima ha in comune con la moderna FR «filosofica» appare essere proprio quello rappresentato dalla tendenza alla trasgressione ed alla sovversione. In termini filosofici si tende oggi ad impiegare per questo un termine neutrale ed affatto polemico (anzi per la verità propriamente tecnico), e cioè quello di «decostruzione». E recentemente abbiamo dedicato una serie di studi proprio alla FR moderna che più evidentemente si presenta con questo specifico carattere.2 Sta di fatto però che la FR «mitologica» è moderna solo in questo senso. È infatti sempre in questo senso che essa si allinea ad una serie di studi del mito che sono fioriti proprio a cavallo tra il XIX e XX secolo, subendo peraltro in maniera molto significativa l’influsso della riforma nietzschiana del pensiero filosofico-metafisico (Rudolf Otto, Bachofen, Neumann, ecc). Delle relazioni tra questa corrente di studi ed il pensiero di Nietzsche ci siamo già occupati nel tentativo di dare un volto al moderno «nietzschianesimo».3 Tuttavia, al di là di questo, la FR di cui stiamo parlando non ha assolutamente nulla in comune con la restante moderna FR, e cioè quella specificamente «filosofica». In questo senso, quindi, almeno a rigor di logica, tale disciplina non andrebbe considerata nemmeno una vera e propria «filosofia religiosa» (o anche «filosofia della religione»). Nel suo caso è infatti ben più corretto parlare di «studi religiosi». Ma quest’ultimo genere di studi tende per sua natura a ritenersi per principio dispensato da preoccupazioni di tipo filosofico. Non a caso essi non si rifanno affatto a criteri culturali ed intellettuali moderni esattamente così come non si rifanno mai a criteri filosofici. In altre parole la scienza religiosa di cui stiamo parlano non condivide affatto il generale culto per il logos come Ragione che rappresenta il tratto comune dell’intera filosofia moderna. E che a conti fatti non risulta assente nemmeno in quel moderno realismo filosofico, la cui centrale aspirazione è esattamente quella della definitiva sconfessione del logos filosofico in quanto Ragione. Ci sembra che estremamente emblematica in questo senso sia la polemica condotta da Graves contro la violenta distruzione del linguaggio e del pensiero mitico-poetico da parte della tradizione filosofica, che prese le mosse da Socrate e Platone.4 E tra l’altro Graves condivide con Campbell anche l’invocazione, nel corso di tale polemica, dei valori matriarcali posti in conflitto con quelli patriarcali. La tradizione religiosa alla quale si rifanno entrambi gli studiosi ha infatti connotati decisamente matriarcali; e quindi pone in primo piano una divinità unicamente femminile. Quello che è certo è comunque che tale ambito di studi guarda decisamente al Passato; e sempre nel Passato ritrova i suoi fondamentali e vincolanti punti di riferimento. Si pone però a questo punto il problema di discernere se la religione e la religiosità alle quali la FR «mitologica» si riconnette, costituiscano (o meno) per davvero quelle che rappresentano il Passato nella sua autenticità ed integralità. L’appello alla mitologia sembrerebbe a prima vista far pensare che sia davvero così; e lo stesso vale per la riduzione alla mitologia primordiale e matriarcale, alla quale (come poi vedremo) Campbell sottomette l’intera tradizione che da lui esaminata. Si tratta di fatto dell’intera tradizione religiosa e metafisico-religiosa che si estende dalla cultura indù a quella mesopotamico-mediterranea; includendo in sé poi la religione fenicio-egizia, quella greca, quella ellenistica greco-romana (e connessa metafisica religiosa pitagorica e platonico-neoplatonica) ed inoltre quella giudaico-cristiana. Tali ambito corrisponde poi alla totalità delle cosiddette religioni misterico-iniziatiche. Naturalmente entro tale contesto viene presa in considerazione la vera e propria metafisica religiosa che decorse parallela alla religiosità misterico-iniziatica (prevalentemente orfico-gnostica), e cioè la tradizione filosofica pitagorica e platonica. Ed almeno questo riferimento rende pertanto non poco filosofici gli studi religiosi dei quali stiamo parlando. Del resto Campbell si sofferma non poco anche su svariati elementi filosofici (antichi e moderni) della religiosità di cui egli parla. Questo però non il punto centrale della questione che stiamo ora esaminando. Ben più importante è invece semmai il fatto che la riduzione di tale intera tradizione alla mitologia religiosa primordiale e matriarcale taglia decisamente fuori un elemento che forse rappresenta in maniera molto più propria il Passato in quanto «mitologia». Parliamo insomma dell’area di ricerche e conoscenze che si è sviluppata soprattutto a partire dal XX secolo in poi, e che viene definita come «studi tradizionali». Senza entrare nel merito delle opere specifiche e delle diverse idee e dottrine sviluppate in tali studi (cosa che abbiamo fatto in diversi nostri scritti), menzioneremo qui solo i nomi degli studiosi che più si sono distinti in tale ambito – tra i quali René Guénon, Frithjof Schuon, LMA Viola, e Georges Vallin. In ogni casonel contesto di questi studi ci si ricollega ad una tradizione religiosa che travalica di gran lunga qualunque forma storica, per quanto quest’ultima possa essere remota ossia primordiale. E ciò accade perché si tratta di una Sapienza sovrumana, sovrannaturale, eterna e trascendente (Scienza Sacra divina), che proprio in quanto tale sta necessariamente alla radice di qualunque forma religiosa, e connessa teologia o metafisica. Ecco allora che l’unità di fondo delle forme religiose planetarie – posta costantemente in luce da studiosi come Campbell e Graves, nell’evidenziare come costante sottofondo una primordiale religione matriarcale prototipica – si spiega molto più profondamente e convincentemente sulla base di questa Scienza divina; la quale evidentemente costituisce l’archetipo interiore di qualunque pensiero, sentimento ed atto religioso. Ma va allora fatto notare che è solo così che ci si rifà davvero al Passato nella forma della mitologia. Com’è stato infatti dimostrato da Guénon, tale Scienza divina è la radice di qualunque forma di Rivelazione manifestatasi per mezzo di una qualunque teo-cosmogonia, ossia la mitologia stessa, e poi organizzatasi di conseguenza in una specifica teologia. La teo-cosmogonia, dunque, non fa altro che illustrare le Verità trascendenti contemplate in quella che la davvero autentica Sapienza religiosa prototipica primordiale; e quindi si produce necessariamente in affermazioni che trascendono per definizione qualunque teologia. Se allora ogni teologia sembra rifarsi ad una sua privata ed unica mitologia teo-cosmogonica, in verità le cose non stanno affatto così. E ciò avviene perché la mitologia teo-cosmogonica è di fatto unica; esattamente com’è assolutamente unica anche la stessa Rivelazione. Quest’ultima è allora radicalmente trascendente in quanto è pre-storica, pre-ontologica e pre-umana, ossia divina. E quindi essa non è identificabile in alcuna forma storica e/o geografica – meno che mai in una religione matriarcale, la quale (al di là del suo effettivo valore) non solo è di fatto la più primitiva delle forme religiose, ma è anche di per sé fortemente unilaterale. Per definizione, dunque, tale religione non può in alcun modo fungere da punto di riferimento per qualunque forma di studi religiosi o filosofico-religiosi; se non in forza di una scelta meramente ideologica, e quindi per definizione soggettiva ed arbitraria. Orbene tale costatazione neutralizza senza il minimo dubbio il vantaggio che sembra a prima vista avere un’area di studi mitologici che si fondi su effettivi reperti storico-archeologici – fondamento che non può invece di certo venire ascritto agli studi tradizionali, i quali si rifanno semplicemente ai tradizionali testi sapienziali ai quali essi prestano fede senza nutrire alcun dubbio. In altre parole, insomma, mentre la moderna FR religiosa «mitologica» può e deve riconoscere sé stessa come «scientifica», invece gli studi autenticamente tradizionali di religione non hanno alcun motivo di sottomettere sé stessi a questo così condizionante giogo. E pertanto anche per questo motivi essi possono per davvero guardare al Passato; dato che l’obbligo della «scientificità» è qualcosa che connota di sé unicamente la cultura moderna. Ma quand’anche la moderna FR possa vantare questo (pur solo relativo) vantaggio della scientificità degli studi, ciò comporterà che la mitologia religiosa alla quale essa si ricollega deve necessariamente restare appena una delle tante. Si tratterà quindi di quell’oggetto che si impone all’attenzione non certo perché esso è per davvero universale nella sua primordialità, ma invece unicamente perché è l’unico che i metodi e strumenti di ricerca hanno permesso di porre in evidenza. Sulla paradigmicità della religione così messa in luce sarà quindi possibile appena fare delle ipotesi. Ne discende che essa non può vantare alcun titolo assolutamente certo di religiosità prototipica e paradigmatica, che possa poi per davvero costituire un punto di riferimento obbligato (nel senso della necessaria riduzione ad essa di qualunque successiva forma religiosa). Ecco allora che la certezza con la quale Campbell si muove – perseguendo proprio questa mera ipotesi di lavoro – dimostra già in partenza quanto destituite di fondamento siano le sue interpretazioni; e ciò in quanto per definizione ideologiche. Il primario aspetto dell’ideologicità di tesi come queste risiede pertanto esattamente nella scientificità empirica, nella quale esse inevitabilmente devono ricadere.
1- Joseph Campbell e la “mitologia creativa” Non deve dunque essere affatto un caso che l’esposizione svolta da Campbell – per quanto oggettivamente ricchissima, affascinante ed interessantissima –, sconfina continuamente verso eccessi ideologici che finiscono per rendere intuitivamente ben poco plausibili e credibili le interpretazioni simboliche (e relativi ricollegamenti di mitologie) che egli ci propone. Su questa base, allora, prima di entrare nel merito dell’analisi di alcuni contenuti del libro Mitologia creativa (che chiude la tetralogia dallo studioso dedicata alla mitologia planetaria), riteniamo opportuno dare un giudizio complessivo a volo d’uccello sulla qualità dei suoi contenuti. Ebbene il titolo del libro è già di per sé abbastanza esplicativo, dato che esso allude piuttosto scopertamente ad una sorta di dovuto atto di appropriazione della mitopoiesi da parte del singolo individuo. Egli sottolinea del resto continuamente tale aspetto, ponendo in luce che ciò che a lui sembra più rilevante della mitologia non è tanto il suo vissuto collettivo-sociale, quanto invece quello puramente personale e individuale.5 Dunque, secondo il nostro studioso, se il mito ha un valore, esso lo ha solo in quanto disintegrante, e non invece in quanto integrante. Ed ecco emergere di nuovo in modo chiaro il così moderno appello alla «decostruzione»; appello la cui natura non è altro se non ideologica. Ciò è già di per sé estremamente indicativo di quanto qui andiamo dicendo. In quanto ci mostra come l’aspetto forse più rilevante della mitologia (il fatto di prestarsi ad un vissuto collettivo che consolida una comunità sociale e dona ad essa un volto ben distinto) sia proprio quanto ha invece per lo studioso importanza minore, secondaria e perfino solo deteriore. E questo tradisce abbastanza bene il modernismo dell’ideologia che evidentemente lo guida in questi studi di materiali antichi. Infatti lo stesso così personale percorso di iniziazione misterica ha nell’antichità sempre avuto un senso in primo luogo in quanto inquadrato nel ben determinato sentire, pensare ed agire collettivo, che rendeva un luogo civile ciò che esso effettivamente era. Non a caso l’intero misterismo ellenico è sempre stato intimamente legato al culto degli dèi del luogo, cioè della città.6 Del resto anche Molnar (delle cui tesi parleremo nelle conclusioni) sottolinea fortemente questo aspetto costruttivo e fondante del mito in senso civile e sociale.7 In particolare egli afferma che la manifestazione di Dio del mondo (per mezzo della sacralizzazione di qualunque ente) «erige tutt’intorno una chiusura visibile nello spazio, in modo che l’interno cessa di essere spaziale, così come fa con la solennità per rendere il tempo atemporale». Una volta eliminato tale serie di aspetti, non resta dunque altro che il del tutto arbitrario ed imprevedibile protagonismo individuale, sia nel vissuto concreto che nell’interpretazione intellettuale del mito religioso. Ed infatti, per quanto dottissima e spesso geniale, l’interpretazione mitografica di Campbell appare molto spesso improntata proprio ai vizi comportati inevitabilmente da tale protagonismo. Ma questo è un tratto negativo che è davvero tipico del moderno intellettuale – cosa che oggi viene sostenuta quasi unicamente dagli studi tradizionali.8 Tale carattere negativo può dunque venire considerato come alla radice di tutti gli altri caratteri negativi che sono rilevabili nel contesto di una generale analisi critica del testo. In primo luogo lo studioso si fa chiaramente promotore di un’interpretazione globalmente trasgressiva, sovversiva ed insieme titanistica del mito. Infatti l’unica cosa che in esso è per lui autentica e pregevole, è la tendenza a contraddire frontalmente qualunque genere di tradizione religiosa che risulti strutturata in una teologia (prima tra tutte quella cristiana. Tuttavia, se è vero che le colpe delle teologie istituzionali sono evidenti ed incontestabili (in termini di dogmatismo, chiusura, intolleranza e pretesa del monopolio della verità), del resto cosa si può mai dire di una religiosità ideologica ed unilaterale come quella matriarcale? Essa non è stata di certo mai per davvero una teologia, ma la sua unilateralità ideologica la rende comunque molto simile a quest’ultima. Infatti tutto quanto è umano, terreno e storico, è inevitabilmente dogmatico – e questo semplicemente perché si limita ad esprimere le esigenze di un determinato e ristretto «luogo» religioso (che esso sia storico o geografico oppure anche puramente emozionale o mentale). Se noi allora proprio vogliamo trascendere e superare la teologia, dobbiamo quindi invocare una Sapienza religiosa che abbia davvero i titoli per essere trascendente, e cioè sia sovra-umana, sovra-terrena e sovra-storica. E quest’ultima non è certamente la religione matriarcale. Dato però che Campbell si ricollega unicamente ad una divinità femminile e vitale – esprimente i valori della Donna-Madre-Luna in radicale opposizione ai valori dell’Uomo-Padre-Sole –, è inevitabile che il libro (nonostante la cultura enciclopedica e la ricchezza immensa di materiali mitologici che esso contiene ed offre al lettore), grondi di lampanti ed intollerabili forzature ideologiche. E queste ultime deviano poi continuamente e così tanto dalla vera Sapienza religiosa tradizionale e dalla Verità religiosa oggettiva (teologica e non), da configurare infine una vera e propria aberrante mitopoiesi ideologica. È poi davvero difficile dire quanto in quest’ultima vi sia di geniale ed autentico, e quanto invece vi sia di arbitrario, aberrante ed inaccettabile. Questo del resto è il prezzo che c’è sempre da pagare laddove, occupandosi di religione (da filosofo o anche solo da studioso), e nel pretendere intanto molto orgogliosamente di prescindere dalla teologia, si finisce per discostarsi fatalmente soprattutto da quell’eterna Sapienza divino-sacerdotale che invece andrebbe considerata come un vincolante insegnamento. Ne deriva pertanto che la cultura religiosa presentata e promossa da Campbell è in fondo unicamente di tipo laico, e peraltro lo è anche in senso fortemente modernistico-trasgressivo. Questo poi riallinea senz’altro quest’area di studi alla moderna FR (sebbene solo in negativo). Ma intanto di fatto rende davvero pochissimo credibile che in tal modo si venga messi effettivamente di fronte al fenomeno religioso colto nella sua autenticità. Tenuto conto di tutto questo – specie a fronte delle forzature ideologiche che più avanti andremo ad esaminare in dettaglio –, bisogna dire allora che Campbell rientra decisamente tra i cattivi maestri che da alcuni secoli a questa parte paiono essere tipici della tradizione occidentale di tipo filosofico-scientifico. Anzi va detto che questo libro è in verità addirittura davvero infernale. Esso è infatti davvero affascinante, ammaliante, interessantissimo; e letteralmente grondante di spunti di conoscenza simbolica e teosofica, che spingono a studiarlo a fondo e far proprio il sapere in esso esposto. Ma alla fine ci si accorge con raccapriccio che in verità non si può. Perché si verrebbe così invischiati in questa così insidiosa e vischiosa materia, superando in tal modo una soglia al di là della quale non vi è più ritorno. La seduzione di questo libro è infatti davvero demoniaca (è la stessa esercitata da Mefistofele su Faust), e quindi induce essa chi lo legge a trasformarsi di fatto in un demone. Del resto ci sembra che le cose non stiano in modo molto diverso nel leggere i testi di un pensatore in fondo religioso come fu Nietzsche. Non a caso Campbell non sembra provare il minimo imbarazzo nel sostenere che il Cristo-Eroe-Parzifal-Bodhisattva (il Dio integralmente immanente) è propriamente Satana stesso. E così nessun atto di fusione degli opposti (atto fortemente auspicato dallo studioso come cammino verso la Trascendenza) può trasformarlo in ciò che egli non è e non vuole essere in alcun modo, ossia il Bene stesso. Questo è quindi un libro che (almeno per un certo genere di lettore) può essere letto solo a volo d’uccello. Anzi ad un certo punto bisogna anche abbandonarlo per non venire contaminati dalle sue insidiose e malefiche anti-verità. Ecco allora che è possibile su questa base una constatazione ben più specifica, di tipo storico-culturale ed anche storico-filosofico. Il richiamo di Campbell al titanismo nietzschiano, congiunto al richiamo alla tradizione cavalleresca germanica (Wolfram von Eschenbach), con la contemporanea celebrazione dell’orgiasmo, dell’amore terreno e di una paradossale compassione priva di morale (cura del Re Ferito da parte dell’Eroe-Bodhisattva) – unitamente poi al culto tributato all’individuo –, portano a galla un inquietante materiale che sembra essere esattamente lo stesso che alimentò l’esoterismo nazista. La compassione priva di morale si immerge infatti nel mondo e nel male, e quindi molto probabilmente essa «cura » senza intanto farsi il minimo scrupolo di commettere per questo autentiche nefandezze. Lo studioso sottolinea con forza, infatti, che si tratta di una compassione tipicamente guerriera; e quindi né amorevole né nemmeno saggia (nel senso della cultura filosofico-religiosa del chierico medievale). Insomma la prima cosa che qui viene in mente al lettore davvero attento, è la possibilità di un sostanzioso avallo così offerto ad atti nefandi come quello della pulizia etnica. Ci sentiamo quindi di affermare che nel complesso la materia esposta da Campbell induce in chi legge (ed ancor più in chi presta fede a ciò che legge) distorsioni davvero immense e pericolosissime nella concezione e prassi dell’esperienza religioso-spirituale. E tra queste risalta soprattutto una letterale inversione dell’idea di Dio. Lo studioso infatti autorizza senza il minimo imbarazzo una totale equiparazione del Dio immanente ed incarnato a Satana in persona. Ebbene, a fronte di sollecitazioni intellettuali come queste, non c’è davvero qualità ed estensione della sapienza che tengano. Esse perdono infatti in tal modo immediatamente tutto il loro possibile valore.
2- Le forzature ideologiche campbelliane della mitologia Esamineremo qui quanto è emerso nel corso della nostra personale lettura del libro di Campbell soprattutto in relazione da elementi mitologici che, entro la sua esposizione, compaiono in maniera più forzosamente ideologica, risultando in tal modo davvero difficili da accettare e condividere nella forma in cui essi vengono presentati.
2.1 Il percorso storico conducente alla forma medievale-arturiana della religione matriarcale Gettando un ampio sguardo di insieme sulla storia del pensiero moderno occidentale, Campbell si produce in un primo atto fortemente ideologico, attribuendo la qualifica collettiva di “illuminati” a pensatori e scienziati naturali come Spinoza, Bruno, Galilei, Copernico, Keplero e Newton.9 E quindi egli ritiene che il rinnovamento della cultura occidentale, avvenuto con l’irruzione in essa della scienza naturale da Galileo in poi, sia di fatto da ritenere come la liberazione dell’antica mitologia primaria dalla storicizzazione e letteralizzazione, alle quali essa era stata assoggettata a partire dal trionfo del Cristianesimo entro l’Impero Romano.10 Tale atto viene poi ritenuto dallo studioso il momento finale stesso del percorso iniziato con l’incontro-scontro avvenuto nell’età del bronzo tra cultura religiosa matriarcale neolitica e cultura religiosa patriarcale indoeuropea, e poi stabilizzatosi nella culla di tutti i miti che fu la cultura religiosa mesopotamica. Il sequestro posto in atto dal Cristianesimo, comunque, dissociò per sempre la religione dalla mitologia. E la conseguenza di ciò sarebbe stata poi il sopravvivere di una tradizione alternativa nascosta e sotterranea (costantemente tendente all’eresia), che poi avrebbe preso forma nel Medioevo entro il ciclo dei romanzi del Graal. Ebbene, proprio in questi ultimi risorge secondo Campbell la religione matriarcale – attraverso il culto della Donna e dell’amore cortese, che intanto animò anche l’intera poesia trobadorica. In quest’ultima complessiva materia non sarebbe dunque da vedere altro che il valore religioso da attribuire ad un amore terreno francamente sessuale, che resta comunque nell’ambito privato della sola coppia di amanti, e quindi punta ad un’ascesi di tipo molto simile a quella previsto nel tantrismo indù. In tale contesto, quindi, sarebbe riemersa una Religione della Vita, incentrata nella Donna come Grande Dea e Grande Madre (la stessa identica religione ferina celebrata da Graves), entro la quale i concetti di immortalità e resurrezione risulterebbero intimamente legati alla sola fertilità, e quindi ad una religiosità esclusivamente immanente e terrena. In quest’ultima la Donna-Madre è solo Amante e mai invece Sposa – rileggendo la storia di Abelardo ed Eloisa, Campbell attribuisce infatti esplicitamente ad essa i caratteri di “amante”, “concubina” e “prostituta”–, e quindi costituisce esattamente quella Terra e Mare oceanico (Abisso) nei quali l’Eroe si immerge e sprofonda, sacrificando così sé stesso (con generosità da Bodhisattva e Salvatore) allo scopo di rigenerare ogni cosa, riportando in tal modo tutto alla Vita.11 L’ascesi è questo, in base a tale curioso ordine di valori. Essa non è affatto l’ascesa verticale ad un Trascendente equivalente a sua volta al Vertice, ossia all’Alto. Ma è invece appena il percorso che sussegue alla discesa agli Inferi, e quindi ascende appena per raggiungere nuovamente la mera superficie orizzontale dell’essere. Ma, osservando le cose ancora più in profondità, esso addirittura resta definitivamente nei confini inferi; dato che la Donna-Madre-Amante non è altro che lo stesso Signore degli Abissi, ossia il Dio infero in persona.12 Ma intanto, in questo complessivo disegno del percorso storico delle religioni, sembra che Campbell sottaccia completamente la significativa presenza in esso della tradizione pitagorico e platonico-religiosa. Inoltre egli sembra sottacere anche la presenza di quest’ultima stessa in quella vena esoterica sotterranea che decorse sotto il Cristianesimo dal momento in cui esso si organizzò in dogmatismo. E questo è per la verità un processo che iniziò ben prima del Medioevo arturiano, e cioè precisamente dal momento in cui, specie entro il Cristianesimo greco-ortodosso, si delineò una sempre più netta frattura tra la quota di “gnosi” che venne ufficialmente ammessa (almeno parzialmente) e quella gnosi integrale che invece venne considerata per sempre eretica.13 Abbiamo trattato approfonditamente questo tema nel nostro saggio dedicato alla Sophia, o Donna divina.14 Questo spiega comunque perché la grande assente nell’esposizione di Campbell sia proprio la Donna come Sposa (nella sua vera natura metafisico-religiosa), ossia appunto la Sophia. La quale poi altro non è se non la Sapienza divina nella sua più trascendente dimensione. Inoltre evidentemente proprio come tale questa figura ci rinvia a quella dimensione religiosa sovrumana e trascendente della quale prima abbiamo sottolineato la valenza ed importanza di autentica religiosità primordiale; ossia la Scienza Sacra divina stessa. Oltre a ciò, però, entro il percorso storico-religioso disegnato dallo studioso, vengono paradossalmente mescolati insieme (senza alcuna distinzione, in quanto tutti presunti “illuminati”) scienziati naturalisti (laici o molto genericamente religiosi) e pensatori metafisico-religiosi che invece furono profondamente mistico-contemplativi. Prescindendo anche da Spinoza (che costituisce effettivamente un caso a parte), basti considerare in questo anche solo Giordano Bruno; il quale fu poi di fatto un erede della tradizione neoplatonica rinascimentale. Ma questa presa di posizione di Campbell allude in realtà ad una dottrina che egli sviluppa soprattutto nella seconda parte del libro.15 In questa sede, infatti, egli sostiene che l’impregnazione divino-spirituale della materia e del mondo sarebbe da intendere come totale immanentizzazione di Dio. Più o meno la stessa cosa egli afferma poi laddove tenta di riassorbire quasi completamente la Gnosi cristiana (specie per mezzo degli Ofiti) nella religione matriarcale; specie nella sua dimensione orfico-orgiastica.16 Anzi proprio qui il Dio immanentizzato (in quanto incarnato), cioè il Cristo, viene dallo studioso arditamente e blasfemamente equiparato (per mezzo del Serpente) a Satana stesso. In ogni caso il suo sforzo sembra voler essere quello di dimostrare che qualunque genere di panteismo (scientifico o filosofico) non è altro che una ripresa della mitologia religiosa matriarcale, ossia quella che afferma l’esistenza di un Dio unicamente immanente, cioè la Donna-Amante stessa. E va a tale proposito sottolineato che in realtà il panteismo nella sua più corretta definizione va considerato quello che afferma il sussistere di un «mondo pieno di dèi», senza intendere però con ciò in alcun modo affermare l’immanentizzazione totale del divino.17 La menzione poi di Schopenhauer, quale esponente di un individualismo volontaristico (a sua volta da ricondurre alla metafisica filosofica indù), lascia chiaramente emergere l’intenzione di Campbell di alludere al tema dell’ascesa puramente titanica a Dio. Un’ascesa che il più moderno pensiero occidentale (Stirner, Nietzsche, Evola) ha chiaramente definito come deicida. In essa infatti (e presso Nietzsche ed Evola ciò avviene proprio per mezzo dell’aperto impiego dell’eros privo ormai di qualunque limite moralistico) si prevede che l’uomo stesso si trasformi in dio esautorando così il Dio demiurgico. Come lo stesso Campbell sottolinea, quindi, la “morte di Dio” è essenziale perché noi possiamo riconoscere “gli dèi dentro di noi”.18
2.2 Il Cristo come Dio immanente-incarnato e la religiosità matriarcale dell’amore terreno Una figura decisiva in questo complessivo scenario è una particolare forma ed un particolare momento dell’immanentizzazione divina, e cioè il Dio incarnato quale Salvatore. In quest’ultimo Campbell ci indica chiaramente il Cristo, ma nello stesso tempo anche un insieme di (secondo lui) parallele figure mitologiche: – l’Eroe liberatore (specie colui che nel ciclo del Graal opera come Parzifal per guarire il Re Pescatore decaduto intanto a Re ferito), il poeta-guerriero-amante (identificato con Tristano e con lo stesso Wolfram von Eschenbach), il Bodhisattva come compassionevole e generoso eroico Liberatore e Salvatore.19 A conti fatti appare evidente che quest’insieme di figure corrisponde a null’altro che quell’”eroe solare” che Graves ci mostra (identificandolo intanto con una miriade di immagini mitiche) nel figlio-amante della Grande Dea e Madre.20 In definitiva insomma non si tratta di altro che di quel maschio, del quale, nel contesto dei primordiali riti matriarcali, alla Donna divina interessava una sola cosa, e cioè il fallo (come fonte di fertilità). Campbell non intende mostrarci tale figura esattamente in questa forma; ma invece molto più nel protagonista maschile eroico di quell’auto-trasformazione alchemica che usa la femmina appena come strumento di deificazione – e così esso ci viene presentato ad esempio in Evola.21 È pertanto evidente che questo genere di maschio è tutt’altro che subordinato alla femmina (come avviene invece in Graves). Anzi egli si fa tendenziale portatore di valori decisamente patriarcali, se non anche perfino fortemente misogini. In altre parole siamo qui al cospetto di quel confuso ed in gran parte perverso bouillon tipicamente ideologico-modernista, nel contesto del quale non si è fatto altro che corrompere, mistificare e coartare il sereno equilibrio dell’antica sapienza mitologica (quella davvero divino-trascendente delle teo-cosmogonie). E ciò è avvenuto secondo un gusto arbitrario quanto diabolico, che si compiace di tutto quanto è amorale e distruttivo. Qui insomma sia il maschio che la femmina vengono identificati nella loro forma unicamente ferina, lasciva ed assassina. E non vi è alcun dubbio che questo mondo di immagini ideologiche rispecchia ormai perfettamente anche lo stato miserando nel quale sono precipitati in tutto il mondo i costumi della società – ormai infatti solo la più raccapricciante cronaca nera ne esprime fedelmente l’essenza. In ogni caso per Campbell l’insieme di personaggi qui invocato possiede la natura mista di appassionato amante, di ardito guerriero e infine di santo uomo-dio nella funzione di Salvatore. Si tratta insomma di null’altro se non di quel cavaliere medievale che peraltro anche Evola esalta opponendolo allo spregevole “chierico” in veste di traditore dell’autentica Tradizione.22 Saremmo insomma così di fronte al “nobile” per eccellenza; e più precisamente alla tipologia stessa dell’«uomo nobile». Ma naturalmente l’ordine di valori totalmente rovesciato, al quale si appella il nostro studioso, impone che anche la nobiltà si presenti qui in una sua forma paradossale, aberrante e davvero pochissimo credibile. Il tipo umano qui raffigurato è infatti non solo l’accanito sovvertitore di qualunque genere di ordine (specie religioso-morale), ma è anche l’homo sensualis per eccellenza, ossia colui che esprime la propria nobiltà in un amor cortese che vuole essere esplicitamente terreno ed immanente, ossia erotico e fino a sé stesso. Sebbene si pretenda di intendere quest’ultimo addirittura come mezzo di ascesi mistica. Non a caso questo genere di amore non punta né alla riproduzione né al matrimonio; e quindi non ha alcun senso costruttivo in relazione al valore superiore della comunionalità. Campbell precisa comunque molto bene di cosa con ciò si tratti– non si tratta né di “eros” né di “agapé”, ma invece di “amor”.23 Esso non sarebbe insomma sesso fine a sé stesso (eros), ma non sarebbe nemmeno un amore sensuale edulcorato e mentito (agapé), come quello affermato da Paolo ed inoltre posto anche al servizio della società. Anzi lo studioso denuncia che le deviazioni orgiastiche dei riti eucaristici (avvenute nel contesto delle sette gnostico-cristiane) obbediscono semmai proprio a quest’ultima illecita interpretazione dell’”amor” (amore come atto collettivo e non invece personale). L’”amor” è quindi per lo studioso sostanzialmente nobiltà degli amanti, anzi per la precisione addirittura “nobiltà incorruttibile”; gli esseri uniti da questo sentimento ed atto sono quindi per definizione “i nobili amanti”. E come tali essi devono isolarsi totalmente dal mondo, congiungendosi nel profondo di una grotta situata nel cuore della Montagna sacra – ed esattamente questo è il luogo di rigenerazione ed ascesi mistica che resta inscindibilmente vincolato alla Terra come Dea. L’intera dottrina risale comunque per Campbell alla cultura religiosa araba, e da qui affonda infine le proprie radici all’indietro nel misterismo ellenico ed anche in quello indù. Ebbene, in tale complessivo contesto, le forzature ideologiche introdotte dallo studioso sono davvero molteplici. Proprio qui, infatti – per quanto egli voglia farci intendere che non ne condivide del tutto i valori – Campbell espone la sua interpretazione del senso della “festa d’amore”, ossia la deviazione orgiastica del rito dell’Eucaristia verificatasi più volte nel contesto delle sette gnostico-cristiane. Fatto sta che esattamente in tale contesto lo studioso si sforza di mostrare come il Cristo-Serpente (che nei riti è il corpo ed il sangue stesso nella sua forma fallico-spermatica) sia giustificatamente il Dio incarnato nella sua forma satanica. Egli insomma non è altro che l’Eroe-Amante, ormai immersosi totalmente nell’Abisso femminile, e pervenuto così negli Inferi (proprio come il Satana di Dante, confitto nel centro della Terra). In verità, sostiene Campbell, non vi è in verità alcuna Resurrezione nella forma di un’ascesa verticale del Cristo dopo essere disceso in questo luogo. La Resurrezione resta infatti semmai nei limiti della stessa immanenza. Essa è insomma da intendere come totalmente orizzontale. Cristo quindi «resta nel mondo» (manifestazione del Regno di Dio) esclusivamente in questo senso. E qui bisogna dunque registrare una notevole convergenza, sebbene esclusivamente sul piano mitologico-misterico, con la revisione del concetto di Regno di Dio che è avvenuta anche nella moderna FR.24 Una revisione che identifica la Rivelazione stessa come sostanziale immanenza nel senso di «evento» non solo storico, ma addirittura anche naturale (il Caos stesso della Natura quale Essere). Abbiamo fortemente criticato tale riduzionismo revisionista nei nostri articoli precedentemente citati. Ma in definitiva, al di là di tutto, lo studioso intende sostenere che Gesù non avrebbe predicato altro che l’amore puramente terreno tra uomo e donna; ossia proprio quell’amore unicamente sensuale e sessuale che non punta né alla riproduzione né al matrimonio. È in tale contesto che egli poi discute la contraddizione profonda insita nell’intera Gnosi tra il dualismo disprezzante il mondo, ed invece il pieno avvaloramento del mondo come materialità spiritualizzata dall’amore terreno e dal culto della Donna-Dea. La più coerente ed autentica dottrina gnostica consisterebbe insomma per lui in questa sua ultima forma. E qui egli si sforza alquanto di dimostrare che la “gnosi”, ossia la conoscenza liberante, non consisterebbe in altro che in quell’”illuminazione” (di stampo buddhista), il cui nucleo consiste nel raggiungimento di una dimensione trascendente in cui gli opposti vengono riuniti (con superamento di qualunque realismo) unicamente perché in tal modo possa venire affermata l’equivalenza di bene e male. Peraltro egli avanza qui l’ipotesi dell’esistenza storica di una vera e propria gnosi buddhista; tesi che appare anch’essa molto più una forzatura ideologica che non invece una costatazione obiettiva derivante dagli studi. Questa fantomatica gnosi buddhista si sarebbe comunque per lui adoperata per una totale de-letteralizzazione e purificazione della dottrina ufficiale del Regno dei Cieli – quale realtà equivalente alla Trascendenza verticale-apicale di Dio come Padre. Quest’interpretazione sarebbe stata infatti per lui null’altro che l’effetto della storicizzazione e letteralizzazione del mito da parte del Cristianesimo (unita intanto alla dissociazione della religione dal mito stesso). Egli trascura però con ciò che i concetti di Regno dei Cieli verticale e di Dio-Padre non solo antecedono al Cristianesimo (essendo stati sviluppati nel neoplatonismo ellenico) ma costituiscono anche concetti davvero centrali di quella che viene definita come “Gnosi cristica integrale”. E di questo sono testimoni non solo le interpretazioni tradizionali della Gnosi (vedi Viola, La Gnosi cristica integrale), ma anche i testi originali.25 In ogni caso perfino l’edificio simbolico delle cattedrali medievali equivarrebbe per Campbell al paradigma della grotta entro la Montagna sacra quale luogo di immersione negli inferi per la via della divinità femminile. E così non vi sarebbe alcun dubbio circa il fatto che addirittura la figura della Vergine Maria sarebbe da ricondurre al prototipo della Donna-Dea in funzione di amante (e non invece Sposa mistica). Ecco allora che l’ultimo verso del Salve Regina (“Oh clemente, o pia, oh dolce vergine Maria”) dovrebbe essere per lui venir considerato una maliziosa e galeotta aggiunta apposta da Bernardo di Chiaravalle nel contesto di una dottrina della contemplazione unita all’amore divino nel suo senso più propriamente terreno. Ora – al di là della polemica piuttosto scontata qui condotta contro il matrimonio (come ipocrita sublimazione dell’amore sessuale), e al di là anche della mistificazione qui posta in atto circa il presunto valore assoluto dell’amore libero, in quanto puro, fisiologico e contrario alle falsificazioni dogmatiche (condannanti invece il sesso puro come meritevole dell’inferno) – le forzature ideologiche qui perpetrate sono in realtà di tipo più specificamente religioso e metafisico-religioso (ancor più che religioso-moralistico). È infatti davvero insostenibile l’equiparazione dell’amore terreno rigenerante alla mistica stessa nel suo momento più alto, ossia l’unione mistica. Ed è inoltre assolutamente inaccettabile la completa coartazione del tema della Donna come Sposa divina e mistica, e quindi come Sophia. Non vi è dubbio circa il fatto che figure e temi mitico-simbolici così profondi e complessi come questi, siano impossibili da prendere alla lettera (specie in senso religioso-moralistico e religioso-retorico), come avviene nella teologia dogmatica ed ancor più nel pietismo popolare. E pochissimi dubbi vi sono anche circa il fatto che tali figure e temi mitico-simbolici non possono venire ricondotti alle sole forme nelle quali essi compaiono entro l’iconografia cristiana. È infatti evidente che essi (incluso anche il Cristo stesso) sono patrimonio di una cultura religiosa e metafisico-religiosa ben più ampia (sia in senso storico che anche in senso geografico). Proprio di tali precisazioni ci siamo occupati nel nostro libro dedicato alla Sophia come Donna divina.26 Proprio per tutto questo, però, è altrettanto inammissibile che tali figure e temi mitico-simbolici vengano sottomessi ad un riduzionismo così drastico, coartante ed unilaterale com’è quello posto in atto da Campbell. Tale riduzionismo appare quindi giustificato solo e soltanto da una volontaria, e quindi in gran parte arbitraria, forzatura ideologica.
2.3 La figura del nobile Amante come Eroe-Bodhisattva-Salvatore-Cristo. Il mito del Graal e la Ruota della Vita Qualche cenno va fatto ancora a chiarimento della figura rappresentata dall’Eroe in funzione salvifica così come visto da Campbell nel contesto del ciclo arturiano relativo al Graal.27 Anche qui infatti, nonostante lo studioso ci offra del materiale mitologico-interpretativo di grande pregio, le forzature ideologiche sono lampanti. E ciò avviene nell’invocazione assolutamente univoca del paradigma immersivo che già abbiamo esaminato, e cioè in relazione al tema dell’intima presa di contatto con il Femminile infero da parte dell’Eroe-Bodhisattva-Salvatore. È quindi in questa chiave che viene letta l’intera iconografia del Cristo così come traspare nel ciclo del Graal – ossia quale Re Pescatore (e quindi Dio immanente-incarnato) evolventesi poi (in maniera degenerativa e tragica) verso la figura del Re Ferito, o anche “Re magagnato”.28 L’intera dinamica (così come viene descritta dallo studioso) si svolge infatti sull’unico piano dell’immanenza vitale, e quindi lungo la falsariga di un’eternità che consiste unicamente nel rinnovamento della vita, della salute, della forza e della giovinezza per mezzo della potenza divino-femminile. Il Re Ferito, malato, mutilato, vecchio e cadente, viene quindi guarito e ringiovanito proprio grazie a questa forza. Ed inoltre, sostiene Campbell, in tal modo lo stesso “Redentore” (Cristo in funzione di Re mitico) viene redento dall’Eroe. Ma per realizzare questo scopo occorrerebbe l’immane forza eroica che permette di affrontare l’Inferno stesso non solo senza esitare un solo attimo ma anche venendo da esso posseduto interamente senza intanto soccombere. Si tratta in altre parole (esattamente come in Evola) della ferrea determinazione eroica nel dominio sessuale della Femmina in veste di Drago e Demonessa. E la Sapienza tradizionale (Zohar) ci dice chiaramente chi sia davvero costei – è quella Lilith (prototipo di ogni prostituta), la quale, nei suoi rapporti primordiali con Adamo, non è altro che la Donna divina nella sua versione negativa.29 Essa è insomma appena la potenzialità negativo-trascendente insita nell’anima della Donna, ed affatto invece la sua autentica essenza. L’opera dell’Eroe consisterebbe dunque in tale brutale e coercitivo dominio sessuale. E suo partner in tale opera sarebbe poi il Divino-Femminile in tutta sua profondità ed incontenibile potenza. È evidente che in tal modo si allude piuttosto scopertamente alle energie che possono venire slatentizzate per mezzo di un orgasmo (donato dal Femminile) al quale si abbia il coraggio di non porre alcun limite; fino a sprofondare totalmente nella dimensione puttanesca, infernale e dragonesca della natura femminile. Natura che Campbell ritiene del tutto attuale, ed invece affatto solo potenziale. Si tratterebbe così di fatto dell’unione divina tra Śiva e la Śakti; ossia si tratterebbe della ierogamia stessa. Ma è evidente che in tal modo siamo appena di fronte alla caricatura demoniaca di tali altissime realtà metafisico-religiose. E qui diviene poi estremamente attuale la moderna ed ormai attualissima psicologia dionisiaco-nietzschiana e reichiana. Tutto gira infatti intorno alla potenza delle energie vitali perennemente rinnovate dal Femminile nella sua unione selvaggia al Maschile. Si tratta evidentemente delle oggettive premesse dottrinarie di qualunque orgiasmo religioso di tipo dionisiaco ma è altrettanto chiaro che esse vengono lette ed esposte in maniera radicalmente unilaterale.30 In ogni caso entro questo magma ribollente e fremente lo studioso tende a riassorbire un po’ di tutto – il Cristo come Re Pescatore, il pesce come simbolo cristico e come neofita cristiano, il Graal (più come piatto contenente la carne di Dio che non come mistico calice del sangue), etc. Tutto confluisce insomma nella dimensione oceanica del Femminile divino come fonte di energie inesauribili (i fiumi). Lo stesso avviene poi con un ulteriore serie di simboli che è connessa a quella appena discussa, e cioè quella della Ruota di Vita. A tale proposito Campbell conduce una vasta ed affascinante esposizione che ci guida anche entro la storia del simbolo nel contesto della complessiva cultura religiosa planetaria. E così ci mostra come intorno al VI secolo a. C. il significato della Ruota si sia ad un certo punto trasformato da positivo a negativo (“grande rovesciamento”) – sia in Occidente (Pitagora) che presso la cultura indù (Buddha). Ma sia come sia, in ogni caso – tanto nel suo intendimento positivo quanto nel suo intendimento negativo – il senso della Ruota di Vita sta per lo studioso soltanto nella dura necessità di un’intrepida presa di contatto con lo strato infero-immanente dell’essere; e precisamente quello rappresentato dal puro dinamismo delle energie perennemente rinnovantisi. Infatti quale simbolo di un’”illuminazione” che supera per sempre l’illusione circa il mondo, il simbolo della Ruota – specie nella sua forma congiunta al simbolismo del “martello”; come avviene presso il dio gallo-romano Sucellos, ma in fondo anche in termini non poco nietzschiani– tenderebbe a mostrarci che la salvezza non sta affatto in qualcosa di positivo in quanto stabile, ma invece solo nell’accettazione di quel divenire che infine (una volta superata la dimensione terrena degli opposti spazio-temporali) si risolve in un’unità che è il Nulla stesso (il nostro personale annientamento e l’annientamento dello stesso cosmo ciclico).31 Il superamento dell’illusione, insomma, consisterebbe nella doverosa accettazione della totale nullità dell’Essere – non quale affermazione dell’onto-spiritualità sottile quale essenza profonda dell’Essere (Vedānta), ma invece quale affermazione dell’integrale ed essenziale nullità dell’Essere stesso. E qui di nuovo è evidente la tendenziale valenza filosofica delle tesi di Campbell – in quanto perfettamente convergenti con le moderne neo-ontologie aberranti come quelle di Nietzsche, Heidegger e Sartre.32 Ecco allora che secondo lo studioso – in termini specificamente gnostici –, l’illusione del mondo non viene da noi superata ricongiungendoci alla dimensione onto-ideale divino-trascendente (l’Uno quale supremo Padre) che intanto invisibilmente incombeva sull’essere cosmico. Viene invece superata in senso diametralmente opposto, e cioè proprio immergendoci ancora più profondamente nell’immanenza mondana, fino a svanire in essa. E si può ben dire che questa era esattamente la forma di eternità immortale alla quale aspirava Nietzsche stesso con il suo concetto di “eterno ritorno”.33 Non diversamente starebbero comunque le cose anche in relazione all’accezione negativa della Ruota – la Ruota come “punizione” nel senso della perenne reiterazione (come in Tizio, Tantalo e Sisifo). Anche a tale proposito sarebbe per Campbell del tutto vano pensare ad una liberazione dal supplizio in direzione di una condizione ontica positiva che trascenda quella antecedente (specie nel senso del premio). Si tratterebbe invece semmai di superare e trascendere totalmente il senso razionale dell’essere (logos), e quindi della stessa conoscenza dell’essere nella sua variante inferiore ed ingenua (in senso onto-cosmologico e religioso-morale). Ecco allora che l’Eroe liberatore mostra la sua possanza ed il suo immane coraggio proprio nel prendere su di sé la punizione che senz’altro viene dopo aver raggiunto una conoscenza davvero superiore in quanto umanamente insostenibile. Essa consiste in una vera e propria mutilazione, ossia nel letterale annientamento dell’uomo e del mondo quali Essere. Il Cristo-Eroe-Bodhisattva-Salvatore, dunque, anche in questo senso deve precipitare letteralmente all’Inferno. L’insostenibile conoscenza di cui si parla qui comporta infatti uno status ontologico corrispondente, e precisamente in senso onto-metafisico, ossia attuale solo nella dimensione dell’eternità e non invece della storia. È esattamente per questo che Campbell sostiene che Cristo ed il Satana confitto al fondo dell’Inferno sono la stessa identica persona. È insomma questo il luogo della coincidentia oppositorum intesa secondo la più insostenibile delle conoscenze. Essa infatti ci dà accesso ad una realtà unitaria nel senso che in essa il Bene non è affatto l’Uno assoluto, ma è invece soltanto unità di Bene e Male. È proprio in questo senso che quindi l’azione dell’Eroe-Bodhisattva si riassumerebbe nel redimere il Redentore (Re Ferito) per mezzo di una conoscenza che è superamento della ferita (della conoscenza) ottenuta con un atto eroico consistente nel prendere su di sé il costo tremendo di questa condizione. È evidente insomma la totale inversione e coartazione del senso autentico dell’Incarnazione cristica quale dimensione della Croce. Siamo insomma con ciò di fronte ad una dottrina di chiaro sapore buddhista, anche se è davvero difficile riconoscere in essa anche la Gnosi (come vorrebbe invece Campbell). Il richiamo poi all’immagine dell’intera Realtà intesa come Ruota provvista di un mozzo (essenza pre-ontologica) dai quali si dipartono infiniti raggi, ci riporta anche di nuovo al Vedānta.34 È però davvero difficile poter affermare – almeno in base alle abbondantissime letture che noi personalmente abbiamo fatto su questi temi – che così per davvero ci troviamo davanti ad un’esposizione fedele ed equilibrata dei veri contenuti in essi presenti nella Sapienza tradizionale. Gli spunti di riflessione offertici da Campbell sono innumerevoli ed affascinanti, e quindi la nostra conoscenza viene senz’altro arricchita dalla lettura del suo libro. Ma da qui a pensare di poter prestar fede effettivamente alle sue interpretazioni, ce ne corre davvero molto. Infatti è davvero impressionante la discordanza delle tesi dello studioso con quanto la Sapienza tradizionale può illustrarci a proposito degli stessi materiali mitico-simbolici. Per tale motivo non resta altra possibilità che attribuire tale discordanza alle forzature ideologiche (modernistiche e trasgressivo) alle quali Campbell sembra tenere più che ad ogni altra cosa. Insomma, sebbene esso si presenti a noi come un credo rinnovante e rivitalizzante, è evidente che quello esposto dallo studioso non è altro che un falso credo; e dalle conseguenze davvero devastanti.
Conclusioni. Ovviamente nessuno di noi può essere così folle da poter dire di conoscere Dio meglio di chiunque altro. Non lo può dire il dotto. Non lo può dire il più accorto teologo. Non lo può dire il più profondo dei sapienti metafisico-religiosi (come potrebbe essere quell’iniziato gnostico il quale affermi di aver penetrato fino all’ultimo i misteri divini). E non lo più dire certamente nemmeno il più santo dei santi. Pertanto non vi è dubbio circa il fatto che tutto quanto di «positivo» su Dio è stato finora affermato dalle religioni planetarie, può venire accettato solo con il beneficio di un ineliminabile e sempre del tutto legittimo dubbio. Ma si può dire intanto di conoscere Dio meglio di chiunque altro solo perché si afferma di aver rinunciato a qualunque illusione su di Lui, fino al punto di osare affermare verità del tutto opposte a quelle della teologia, della fede confessionale e perfino della più integrale metafisica religiosa (Scienza Sacra divina)? Si può insomma dire che una conoscenza di Dio possa e debba essere superiore (e perfino insuperabile) solo perché essa si pone come radicalmente «negativa»? E tuttavia non lo fa affatto nel senso dell’apofatismo, e cioè pretendendo il rispettoso silenzio sugli attributi qualitativi ed essenziali di Dio. Lo fa invece affermando esattamente che Dio è letteralmente «negativo»; ossia assomiglia come una goccia d’acqua al suo più radicale opposto, e cioè Satana. Proprio in questo senso il Dio quale Essere viene considerato in verità il Nulla stesso. Ebbene, detto in altre parole, si può in tal modo davvero evitare di assumere la stessa identica posizione di Mefistofele? – l’ingannatore, il sovvertitore della verità, il mistificatore, lo spirito di opposizione. È evidente che non si può. E chiunque lo neghi può essere solo disonesto ed in malafede. Ecco allora che le tesi di Campbell di fatto si giudicano da sole; e quindi anche si condannano da sole. Pertanto non ci sarebbe davvero bisogno di spendere una sola parola in più, sul suo libro. E tuttavia almeno un’osservazione va ancora fatta. Infatti, pur ammettendo (per assurdo) che, per qualche imperscrutabile quanto inquietante motivo, Campbell abbia ragione su tutta la linea, resterebbe almeno un validissimo motivo per opporsi alle sue tesi ed anche rigettarle. Tale motivo consiste nel fatto che non è in alcun modo concepibile una religione (e religiosità), che abbia un effettivo motivo di esistere, se essa risulta intanto svincolata dalla presenza tangibile del divino al cospetto dell’uomo. Ebbene è evidente che quest’ultima sussiste solo quando la religione in causa non è puramente astratta ed incentrata quindi su un Dio Trascendente che con la realtà umano-terrena non abbia alcun rapporto. Così non è però affatto per la religione di cui ci parla Campbell. Anzi è l’esatto opposto. Ma in che modo ciò avviene? Ciò avviene in un modo che per l’uomo è assolutamente inaccettabile (almeno per l’uomo che sia influenzato dall’apparizione storica della religione cristiana), ossia per la via di una manifestazione del divino che non ha alcuno dei caratteri della tipica (e quasi scontata) amorevolezza nella sua relazione con il mondo e soprattutto con l’uomo. Anzi sembra avere caratteri del tutto opposti, o almeno assolutamente neutri dal punto di vista etico- e sentimentale-religioso. Ma è esattamente tale amorevolezza ciò che l’uomo spontaneamente si aspetta dalla manifestazione tangibile della presenza divina. Altrimenti senza dubbio egli farebbe bene a meno di credere in essa. Ora, si può anche sostenere che una siffatta forma di religiosità è appena retorica – rispecchiando essa appena quelle che sono le esigenze umane –, e quindi è molto probabilmente inautentica. Lo si può sostenere senz’altro sul piano argomentativo, e le probabilità di avere ragione sono altissime (specie nel contesto degli attuali studi religiosi, in particolare di quelli filosofici). E tuttavia sfidiamo chiunque abbia anche solo un minimo di autentico ed appassionato interesse per la manifestazione divina, ad affermare che egli si può davvero accontentare di un divino che, per poter essere autentico, debba essere o del tutto indifferente al suo dolore esistenziale, o debba essere addirittura malvagio. In tal modo (come fa Campbell) si può pure argomentare su una religiosità mitologica di tipo eroico, ed inoltre si può pure sostenere che essa è fatta per pochissimi invece che per molti. Infine l’homo religiosus professante questa fede può pure essere convinto di appartenere egli stesso ai pochissimi che sono in grado di coltivare questo genere di fede. Nonostante le caratteristiche eroico-titaniche che egli tende ad attribuire a sé stesso, sta di fatto però che anche lui è oggettivamente null’altro che un uomo fatto di carne e sangue. Come tale egli dunque ha, nei fatti, lo stesso identico bisogno di Dio che viene espresso dall’uomo comune. Ed il resto è davvero solo retorica sbruffona ed irresponsabile. Inoltre sta di fatto che ci sono circostanze nella nostra esistenza nelle quali questa nostra connatale fragilità viene anche messa davvero alla prova in maniera estrema. Del resto la Natura stessa ci trascende così tanto nella sua gigantesca statura da rendere impossibile che tali condizioni possano non sorprenderci e sopraffarci in qualunque momento. Sfidiamo quindi costoro ad essere davvero onesti, verificando se davvero possono affermare che sarebbero essi capaci di mantenere la loro fede anti-divina e titanica anche in queste circostanze. Precisato questo ci sembra di poter concludere la nostra esposizione critica con alcune tra le considerazioni svolte da Thomas Molnar nel libro sul Sacro da lui scritto a quattro mani con Alain de Benoist.35 Dal suo punto di vista una religione che possa davvero venire abbracciata con passione e dignità non può venire costituita da una dottrina che neghi a qualunque titolo l’essere; e quindi l’essere impregnato dal divino in maniera inequivocabilmente amorevole. A suo avviso tale non è senz’altro quell’induismo che prevede tranquillamente un’autentica “cloaca dell’esistenza” com’è la città di Benares. E non lo sono nemmeno il platonismo e lo gnosticismo, o qualunque idealismo religioso. In altre parole alcun rigoroso trascendentismo religioso è per lui accettabile quale fondamento di un’autentica religione. Quindi, anche se esso costituisce effettivamente una religione, in ogni caso non si potrà abbracciare quest’ultima senza degradarsi inaccettabilmente. Si tratta di un giudizio che sul piano filosofico-metafisico ed intellettuale (almeno quello proprio degli studi tradizionali) non può essere assolutamente condiviso. Né il platonismo, né lo gnosticismo, né l’idealismo religioso hanno infatti per davvero i caratteri attribuiti ad essi da Molnar. Sul piano pratico, però, ci sono ragioni davvero cogenti e vincolanti non solo per potere ma anche dover accettare tutto questo. Riducendo ogni cosa all’osso, infatti, per l’uomo comune le cose stanno effettivamente così. E quindi nessuna affermazione (o tesi) religiosa può sperare di essere davvero autentica se essa pretende di contraddire tale così schiacciante evidenza. Per Molnar, dunque, il “divino”, nella sua manifestazione per l’intermediazione inevitabile del “sacro” (la religione con il suo credo ed i suoi riti ed atti), non può che concretizzarsi. Ma ciò non può che avvenire in maniera letteralmente «positiva», ossia affermando (come fa Maritain) che l’esistenza è un valore in quanto essa è espressione dell’”amore che Dio porta alle sue creature”. Questo comporta poi anche l’affermazione secondo la quale l’incarnazione è letteralmente il frutto di tale amore, con la conseguenza che “il corpo è divino” nel senso pienamente letterale; e quindi nuovamente soltanto «positivo». Tutto ciò implica pertanto l’appello ad una morale religiosa esplicita ed inequivocabile. Essa infatti si produce in affermazioni che concernono solo e soltanto il «bene»; cosa però impossibile se questo bene non è anche quanto perfino l’ultimo uomo della strada intende come tale. Si tratta insomma del concetto «ingenuo» di Bene. Ma davvero non ve n’è altro per noi uomini. È insomma solo in base a considerazioni come queste (condivisibili senza il minimo sforzo e davvero universalmente) che si può definire cosa sia davvero una religiosità praticabile. Come abbiamo già detto nessuno può essere sicuro di cosa sia o non sia vero nel parlare di Dio e della fede in Lui. Ciò di cui possiamo essere assolutamente certi è, però, del motivo per il quale avvertiamo così fortemente il bisogno della Sua esistenza e presenza. Tutto il resto sprofonda in un’insondabile oscurità. E vi sprofondano senz’altro anche considerazioni come quelle di Campbell. Infine le riflessioni di Molnar ci permettono anche di inquadrare meglio una scienza religiosa «mitologica» del genere di quella campbelliana. Per tutto ciò che abbiamo già detto nell’introduzione, è evidente che essa si inquadra perfettamente in quel “neopaganesimo” (per definizione fin dall’inizio fortemente influenzato dal nietzschianesimo) che viene menzionato anche dal pensatore ungherese nel tracciare lo scenario della moderna “desacralizzazione”. Ma il neopaganesimo configura intanto una sorta di realismo religioso radicale, che è sensibilmente diverso da quello che Molnar ci dimostra essere indispensabile per scongiurare i tendenziali vizi dell’idealismo. Nel realismo neopagano, infatti – per quanto la sua presa di posizione non rispecchi affatto le idee e dottrine del vero e proprio (cosiddetto) «paganesimo» ellenico (che, specie nella sua forma platonica, costituì in realtà una religione e metafisica religiosa del Dio Trascendente ed Uno) –, l’anti-idealismo è così radicale da abolire il termine essenziale stesso rispetto al quale avviene la “mediazione del trascendente” per mezzo del sacro. Esso abolisce infatti il Trascendente stesso. E così, una volta abolito quest’ultimo, non potrà più nemmeno esservi alcun sacro; se non nella sua forma caricaturale, aberrante e perversa (cioè esattamente come si presenta in Campbell). Ecco allora che appare indispensabile una certa dose di lotta al realismo religioso estremistico. Questo è esattamente quanto ci viene mostrato da Molnar. E ciò avviene nel suo suggerirci che il politeismo «pagano» – per quanto sia pregevolmente unito al mito (vera e propria divinità del mondo nella sua forma oggettiva), invece che appena alla storia come “racconto”, o se si vuole «evento» (come avviene nel Cristianesimo rinnegante il mito) – corre per definizione un serissimo rischio di scadere nella divinizzazione della Natura in sé, e quindi del mero e puro Immanente. Si tratta esattamente di quanto avviene nel neopaganesimo moderno. Per di più il pensatore ungherese ci mostra come ciò sia avvenuto non solo nella scienza religiosa ma anche nella cultura generale e nella società stessa. Infatti il materialismo scientista e l’”ideologia industriale” hanno fatto sì che le pulsioni umano-animali radicalmente soddisfatte diventassero orma i nostri nuovi idoli (edonismo), e quindi anche gli dèi di un nuovo trionfante politeismo. Si comprende allora quante ragioni oggettive abbia avuto il Cristianesimo in quella sua lotta contro il politeismo come mitologia religiosa, che il neopagano Campbell condanna così severamente (in quanto fattore di svuotamento della moderna esperienza religiosa). Nemmeno Molnar nasconde le storture alle quali ciò ha portato. Ma è comunque evidente che proprio tale atto era essenziale e inevitabile per poter davvero affermare un realismo religioso – del quale abbiamo appena constatato l’indispensabilità per un’esperienza del divino che soddisfi le naturali e fisiologiche aspettative umane –, che non fosse estremistico e quindi deviante. Solo questo moderato realismo religioso permette infatti di vivere il divino – per mezzo della “sacralizzazione” di ciò che è naturale e civile (e ciò anche in una civiltà cristiana!) – senza che intanto venga cancellato il Trascendente. Con queste ultime considerazioni diviene quindi ancora più evidente che, se il libro di Campbell può e deve venire preso come un ottimo manuale oggettivo di mitologia, il credo che egli ci propone per mezzo di esso va invece rigettato senza la minima esitazione. In questo modo però l’intera moderna scienza religiosa di tipo «mitologico» risulterà coinvolta da tale rigetto; a meno che essa non abbia le caratteristiche che le permettano di rientrare nell’ambito degli studi tradizionali.
Note 1 Joseph Campbell, Le Maschere di Dio, Mondadori, Milano 1968, voll. I e II. 2 Vincenzo Nuzzo, “L’attuale realismo filosofico e lo stato dell’odierna Filosofia”, Il Nuovo Monitore Napoletano, Aprile 2018 ; Vincenzo Nuzzo, “L’attuale neuroscienza e la filosofia scientifica. I segni di un rinnovamento della Conoscenza”, Il Nuovo Monitore Napoletano, Marzo 2018; Vincenzo Nuzzo, “Jean-Luc Marion e la filosofia religiosa”; Vincenzo Nuzzo, “La moderna «filosofia religiosa» è davvero «filosofico-religiosa»?”; Vincenzo Nuzzo, “Analisi comparativa di alcune forme del moderno «realismo» filosofico. Il modello del realismo sartriano”. 3 Vincenzo Nuzzo, Nietzsche, il grande nemico della Tradizione, Victrix, Forlì 2016. 4 Robert Graves, La dea bianca, Adelphi, Milano 2012, p. 13-20. 5 Joseph Campbell, Le maschere... cit., I, I, I p. 11-18, I-III, I p. 113-126 6 Karl Kerényi, Dioniso, Adelphi, Milano 2011, II, II, I-III p. 183-224, II, III, II p. 270-288; Filippo Cassola, Inni omerici, Mondadori, Milano 2004, III, 1 p. 79-83, IV, 2 p. 156-160; Paolo Scarpi, Le religioni dei misteri, Mondadori, Milano 2007, voll. I, I p. 10-15, II p. 263-295, III 397-409. 7 Thomas Molnar, Il mio itinerario spirituale, in: Alain de Benoist, Thomas Molnar, Eclissi del Sacro, I libri del Borghese, Roma 2017, I p. 26-27. 8 Ananda K. Coomaraswamy, La concezione indù dell’arte, in: Ananda K. Coomaraswamy, La danza di Śiva, Adelphi, Milano 2011, p. 41-73; LMAViola, Religio aeterna, Victrix, Forlì 2004, I, XX p. 247-264. 9 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., I, I, III p. 39-53. 10 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., II-III, VII, I p. 501-514. 11 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., I-II, III p. 73-89. 12 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., I, I, III p. 39-53. 13 LMA Viola, La Gnosi cristica integrale, Victrix, Forlì 2008, I, III p. 34-37, IV, III-IV, p. 320-367. 14 Vincenzo Nuzzo, Sophia. La Sapienza divina, la Donna, l’Anima e il Corpo, Victrix, Forlì 2017. 15 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., II, III, VIII-X p. 535-835. 16 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., I-III, V p. 187-218. 17 Proclo, Teologia platonica, Bompiani, Milano 2005, III, 27, 93-99 p. 435-445. 18 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., II, IV, IX-X p. 703-835. 19 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., I, I, IV p. 53-58, I, II, I-II p. 59-73. 20 Robert Graves, La Dea... cit., 4 p. 71-76, 6 p. 111-115, 8 p. 143-159, 9 p.161-164, 9 p. 173-179. 21 Julius Evola, La Tradizione Ermetica, Mediterranee, Roma 2002; Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Mediterranee, Roma 2006. 22 Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma 1998, 11-12 p. 114-124. 23 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., I, II, I-III p. 59-79, I, III, IV-V p. 166-218, II, IV, I p. 221-235. 24 Tamsin Jones, “Questions from the borders: a response to Kevin Hart’s Kingdom of God”, Sophia, 56 (1) 2017, 5-14; Bradley B. Onishi, “Between a Saint and a Phenomenologist: Hart’s theological criticism of Marion”, Sophia, 56 (1) 2017, 15-31; B. Keith Putt, “A poetic of parable and the ‘basileic reduction’: ricoeurean reflections on Kevin Hart’s Kingdom of God”, Sophia, 56 (1) 2017, 45-58; Kevin Hart, “Concretion and concrete: a response to my critics”, Sophia, 56 (1) 2017, 69-80; Joshua Lupo, “The affective subject: Emmanuel Levinas and Michel Henry, on the role of affect in the constitution of subjectivity, Sophia, 56 (1) 2017, 99-114; Mikel Burley, “Dislocating the Eschaton? Appraising realized eschatology”, Sophia, 55 (3) 2016, 1-18. 25 Marcello Craveri, I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1990; Luigi Moraldi (a cura di), Pistis Sophia, Adelphi, Milano 2014; Luigi Moraldi (a cura di), La Gnosi e il mondo, TEA, Milano 1988. 26 Vincenzo Nuzzo, Sophia... cit. 27 Joseph Campbell, Le Maschere... cit., II, III, VII, I-III p. 501-534. 28 Gabriella Agrati, Maria Letizia Magini, La leggenda del Santo Graal, Mondadori, Milano 1995. 29 Giulio Busi (a cura di), Zohar, Il libro dello splendore, Einaudi, Torino 2008, p. 268-278. 30 Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1981, IX, 136-138 p. 369-375; Paolo Scarpi, Introduzione, in: Paolo Scarpi, Le religioni... cit., I p. XI-XXVII, ibd. I, D57 p. 14; Filippo Cassola, Inni... cit., I, 1 p. 5-6, III, 5 p. 92-97. 31 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 2006, p. 94-100. 32 Ananda K. Coomaraswamy, Due passi tratti dal «Paradiso» di Dante, in: Ananda K. Coomaraswamy, La tenebra divina, Adelphi, Milano 2017, 18 p. 277-292; Ananda K. Coomaraswamy, Ākiṃkañña: l’annullamento di sé, ibd. 7 p. 115-133; Ananda K. Coomaraswamy, Ātmayaiña: il sacrificio di sé, ibd. 8 p. 135-175; Ananda K. Coomaraswamy, Il Vedānta e la tradizione occidentale, ibd. 1 p. 42-47. 33 Friedrich Nietzsche, Il canto del nottambulo, in: Friedrich Nietzsche, Così parlò … cit., 10 p. 376-377 Friedrich Nietzsche, La visione e l’enigma, in: Friedrich Nietzsche, Così parlò … cit.,2p. 183-186 Friedrich Nietzsche, Il viandante, in: Friedrich Nietzsche, Così parlò … cit.,p. 177-180 ; Friedrich Nietzsche, Di antiche tavole e di nuove, in: Friedrich Nietzsche, Così parlò… cit.,28p. 250-251; Friedrich Nietzsche, Il convalescente, in: Friedrich Nietzsche, Così parlò… cit.,1-2p. 253-260; Friedrich Nietzsche, Del grande anelito, in: Friedrich Nietzsche, Così parlò… cit.,p. 262-263. 34 Ananda K. Coomaraswamy, «Kha» e altre parole che denotano lo «zero» assoluto, in: Ananda K. Coomaraswamy, La tenebra...cit.,13 p. 209-229, 16 p. 255-265. 35 Thomas Molnar, Il mio itinerario spirituale, in: Alain de Benoist, Thomas Molnar, Eclissi del Sacro... cit., I p. 19-35
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