Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Gaeta, il diabolico Achille

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Tra i tanti protagonisti, veri o presunti, del socialismo stabiese, Achille Gaeta è sicuramente quello che ha mostrato maggiore ambiguità: uomo di sicura intelligenza, amante della bella vita, incallito dongiovanni, goliardico, cinico, provocatore nato, abile opportunista, amico dei potenti.

Fu antifascista fin dalla prima ora, ma non per questo disdegnò l’amicizia dei gerarchi locali e nazionali, che seppe ben utilizzare.

Si racconta che fosse un uomo senza scrupoli, maligno e vendicativo, per alcuni addirittura un uomo diabolico, così come lo definì uno dei suoi migliori amici, il famoso giornalista, scrittore e critico d’arte, Piero Girace (1904 – 1970), a sua volta un fascista della prima ora.

La sua vita fu un avventura infinita, degna di essere raccontata in film e romanzi, un avventuriero cui non mancava un certo fascino. Insomma, oggi lo definiremmo, forse, una “simpatica canaglia”.

Il nostro Achille nacque a Castellammare di Stabia il 22 gennaio 1892, figlio dell’albergatore Francesco Paolo (1851 -1925), celibe impenitente e da madre ignota, ma secondo un primo rapporto dei carabinieri, poi negato, la madre era Luisa Folari, una donna che, a suo tempo, fece molto parlare di sé.

Uno dei fratelli del padre era il celebre pittore Errico Gaeta (1840 – 1887), a sua volta grande seduttore e per questa sua passione morto ammazzato da un contadino geloso.

Aveva anche una sorella di nome Maria Grazia, andata via di casa in giovane età per andare ad abitare a Napoli e un fratello, Giorgio (1886 – 1950).

 

Il nonno, meglio conosciuto come Monsù Ciccio (1803 – 1885), possedeva e gestiva, fin dalla prima metà dell’Ottocento un “Albergo e Trattoria dell’Antica Stabia”, poi ereditato dal padre e dai suoi tre fratelli, Catello, Luigi e Gaetano.

L’albergo aveva dieci stanze situate in un unico grande appartamento al 1° piano di Palazzo Cioffi, sulla strada Marina, oggi via Bonito.

I quattro fratelli fecero il grande salto nel 1876, acquisendo in gestione un intero palazzo sul lungomare e trasformandolo nell’ “Albergo Stabia”, ancora oggi esistente, ma con altri proprietari.1

Fin da ragazzo Achille rivelò di avere un carattere scaltro, insidioso, provocante, aizzante, dall’abitudine incallita dell’insulto, della provocazione, della malignazione contro specialmente i cittadini dediti alla vita pubblica e alle pubbliche funzioni, più semplicemente un ribelle, poco propenso alla disciplina, tale da costringere il padre a fare richiesta al Tribunale di Napoli, il 24 febbraio 1909, di rinchiuderlo in una casa di correzione.

La domanda fu inizialmente accolta il 18 marzo, poi rigettata in quanto Achille aveva già compiuto i 16 anni. Questa sua irrequietezza la sfogò iscrivendosi al Circolo giovanile socialista e provando a realizzare il suo sogno più ambito quello di diventare giornalista.

Così nella tarda primavera del 1909, Achille scrisse al noto settimanale del PSI di Napoli, La Propaganda, chiedendo di diventarne il corrispondente da Castellammare. La redazione rispose che si accettavano corrispondenze di questo tipo soltanto se presentati da qualche esponente locale della sezione socialista.

Chi più dello zio paterno, l’avvocato Raffaele Gaeta (1861 – 1944), ex repubblicano poi socialista fin dal 1898 e uno dei più noti e combattivi esponenti del PSI, già consigliere comunale e primo ed unico assessore socialista di Castellammare nel 1907, poteva aiutarlo in questo? Anzi l’intera sezione, costituita nel luglio del 1900, poteva garantire per lui.

Il suo primo resoconto fu relativo alla preparazione della conferenza del deputato Vittorio Podrecca, organizzato dal circolo socialista e incentrato sulle difficoltà incontrate con il clero locale, sempre pronto a boicottare qualsiasi iniziativa portata avanti dai diavoli rossi, fino a descrivere la rissa finale di cui si rese protagonista con un altro giovane socialista, Ugo Colonna.2

Nel 1911 venne citato in una cronaca del settimanale di Alfonso Fusco, La Verità, in occasione della Festa del Tricolore, organizzata dagli avvocati e uomini politici, Nicola Fusco e Giuseppe De Rosa, per commemorare il sacrificio dei tenenti Cesare Putti e Nicola De Sanctis, caduti ad Abba Carima nel 1896, con tanto di banda musicale.

« In una stupenda apoteosi, Stabia riafferma il suo patriottismo. (…) Si è formato un comitato cittadino per la commemorazione dei concittadini morti ad Abba Carima, su le cui lapidi furono poste corone d’alloro. Eguale corona fu opposta alla lipide esistente sulla facciata del Municipio dei caduti a Dogali. Alle 10 mosse un lungo corteo dalla casa comunale, presenti diverse società: Tiro a segno, delle Maestranze del Regio Cantiere, il Circolo Leone XIII, l Società Giovanna D’Arco ed altre. Signorine e studenti forniti di coccarde e fiori a ampie borse raccoglievano le offerte. Tra gli studenti si distinsero Achille Gaeta, Francesco Monti (…)».3

Conseguita la licenza ginnasiale nel 1909, il suo carattere irrequieto, ribelle e canzonatorio lo portò a collezionare almeno cinque denunce per ingiurie tra il 1913 e il 1915, e altre due tra il 1923 e il 1926, cavandosela sempre per il rotto della cuffia, nonostante le sue vittime fossero personalità importanti, come il sottoprefetto Pietro Frigerio, a Castellammare tra il 1911 e il 1912 (attaccandolo dopo la sua partenza per la Libia, e accusando  la moglie, rimasta in città, di essere  l’amante del direttore della sede locale della Banca d’Italia, Astolfo Fontana).

Altre vittime predilette del giovane Gaeta furono i sindaci Ernesto Fusco e Nicola Greco, oltre che lo stesso direttore della locale sede della Banca d’Italia.

Quando l’aria in città si fece per lui troppo pesante, partì per un breve viaggio negli Stati Uniti. Quando ritornò nella sua città natale, divenne redattore del quotidiano romano, L’Idea Nazionale, fino a quando non fu richiamato alle armi nel dicembre 1915 e arruolato nella 10° Compagnia Sanità Infermieri.

Trasferito al 25° fanteria allievi ufficiali, fu assegnato nel 76° Reggimento di fanteria, col grado di Aiutante di battaglia. Fatto prigioniero degli austriaci sul fronte di Caporetto nel luglio 1917, fu rimpatriato nel gennaio 1919, dopo 14 mesi di prigionia, e congedato in settembre.

Ritornato dal fronte riprese il suo lavoro di giornalista, collaborando con diverse testate, tra cui l’Idea Nazionale, Il Giorno, Il Corriere di Napoli (dal 1922), Il Paese e il Roma, di cui fu assiduo collaboratore fino al suo arresto e condanna al confino nel 1927.

Cresciuto nel benessere, Achille amava l’ozio e corteggiare le donne, anche quelle ammogliate, queste ultime, pare, particolarmente molto sensibili al suo fascino di abile seduttore.

Il primo scandalo lo suscitò quando fidanzatosi con una ragazza di buona famiglia, ne sedusse la madre inducendola ad abbandonare la famiglia. Non contento, si divertiva nel prendere il giro il marito ogniqualvolta lo incontrava, menando vanto pubblicamente della sua relazione.

E anche quando la relazione si concluse con il mesto ritorno a casa della moglie pentita, Achille non lesinava frizzi e lazzi all’indirizzo del disgraziato marito, noto commerciante. 

Amava accompagnarsi ad uomini violenti, tra questi, Giuseppe Esposito, detto Mauriello, un noto pregiudicato e Giovanni D’Auria, temutissimo dirigente del movimento operaio, un socialista poi passato al PCd’I fin dalla sua fondazione.

La sua passione per il giornalismo lo portò anche a fondarne alcuni diretti da lui stesso, come il settimanale, La Gazzetta Stabiese, organo critico, umoristico, pubblicato intorno al 1912/1913, pubblicazioni che gli costarono diverse querele, mentre nell’immediato dopoguerra, nel 1919, fondò, Il Gazzettino, diretta continuazione del primo.

Su questo giornale Gabriele D’Annunzio vi scrisse un articolo intitolato, Cagoia, e lo stesso Mussolini lo utilizzò attaccando Nitti in un articolo dal titolo, Nitti, il ministro della fogna

Ancora nel 1920 pubblicò una piccola guida della città in cui venivano illustrate le virtù terapeutiche delle acque minerali, di proprietà del comune e le altre ricchezze naturali della città. Mentre nei primi anni del regime fascista iniziò la pubblicazione di un nuovo periodico, Il Maglio, con intonazione spiccatamente antifascista.

Articoli dello stesso tenore scriveva anche sul Paese, quotidiano romano di cui era corrispondente. Questi giornali, stando ad un articolato rapporto di un ispettore di Pubblica Sicurezza erano «tristemente ricordati in Castellammare per attacchi velenosi alle più cospicue personalità del luogo, a base di campagne scandalistiche nelle quali, con linguaggio da trivio, il Gaeta non ebbe ritegno di fare strazio anche delle rispettabilità di varie signore, come la consorte del colonnello Medico, cav. Ragazzi, la contessa Fiume, la baronessa Girace».4

Dopo l’avvento del fascismo si avvicinò al gerarca fascista, Aurelio Padovani (1888 – 1926), nativo di Portici, all’idea che egli aveva del Fascismo, intransigente sul piano morale, inflessibile nel campo politico, contrario alle vecchie clientele elettorali e al parassitismo del notabilato, arrivando a prendere la tessera del fascismo, probabilmente per quieto vivere, come tanti altri, costretti ob torto a farlo.

Forse grazie anche al fatto che Padovani inizialmente si era dedicato al sindacalismo, puntando sul settore dei lavoratori alberghieri e su quelli portuali, favorì la stessa scelta di Achille di fondare una cooperativa di lavoratori scaricanti portuali, la, Cooperativa dell’ordine, mentre le cariche sociali furono distribuite all’interno di una famiglia di temuti pregiudicati, i Periconi, soprannome con il quale erano conosciuti Domenico Esposito e i figli di questi, Paolo, Vincenzo e Catello.

Gli stessi soci della cooperativa formarono il sindacato dei lavoratori portuali, eleggendo lo stesso Achille Gaeta Segretario della Lega, e con questo titolo aderì al sindacalismo fascista verso la fine del 1922, uscendone nella prima metà del 1923, in concomitanza con la caduta in disgrazia del capitano Padovani.

Aderì a Italia Libera, associazione sorta verso la fine del 1923 ad opera di repubblicani ed ex combattenti, non approvando la linea collaborazionista assunta dall’Associazione Nazionale Combattenti nei confronti del nascente regime.

La nuova organizzazione aveva tenuto il suo primo convegno il 24 febbraio 1924 e in breve tempo divenne la più formidabile oppositrice di Mussolini, fino a diventare quella più temuta dal governo, al punto da essere sciolta d’autorità nel gennaio 1925.

A Castellammare Achille fu, nel novembre del 1924, con il famoso giornalista del Mattino, Ugo Cafiero (1866 – 1951), Raffaele Russo, Luigi Donnarumma, il commerciante Giovanni Di Maio, Michele Rossano e i dottori Carlo Vitelli e Catello Esposito, uno dei fondatori del movimento, Pro Italia Libera, poi trasformata in sezione stabiese di Italia Libera, riuscendo a coinvolgere oltre 40 iscritti, tra cui Mariano Carrese, un socialista poi diventato fascista.

In tale veste si avvicinò anche alle idee di Giovanni Amendola, di cui era amico e lo sostenne nelle elezioni politiche del 6 aprile 1924, promuovendo e partecipando a convegni nelle stesse sale dell’hotel Stabia, di cui era Direttore e comproprietario, invitando il generale Bencivenga e Roberto Bracco, stretti collaboratori del grande liberale di origini salernitane.

Dopo le elezioni, nelle quali i democratici dell’Unione portarono in parlamento 4 deputati con 33,774 voti raccolti a livello regionale, partecipò il 20 maggio alla fondazione, a Napoli, dell’Unione Meridionale, svolgendo un’accanita opposizione al regime, conquistandosi con ciò un largo seguito nell’intero Mezzogiorno. 

Achille provò a dare il suo fattivo contributo, conquistando adesioni e promuovendo manifestazioni perfino nella sala medica dell’ospedale civico, dove era addetto un giovane medico, esponente dello stesso movimento.

E quando queste furono vietate, continuarono a vedersi in casa di Ugo Cafiero, la cui abitazione era in periferia, nei pressi di Quisisana. Allo scopo non esitò ad avvicinarsi ai vari fascisti dissidenti, espulsi dal partito, con i quali cominciò a vedersi spesso nel suo stesso albergo « (…) per fare politica, e vi convenivano pure elementi del vecchio regime, noti antifascisti. Al Gaeta fu fatta diffida verbale di non consentire più oltre che il suo albergo continuasse ad essere la sede di convegno di persone contrarie al regime, per discussioni politiche, sotto minaccia di chiusura dell’albergo. E fu precisamente questa sua condotta, apertamente ostile, causa dei danneggiamenti al suo albergo avvenuti di notte tempo ad opera di individui rimasti sconosciuti e venuti da costà, dopo l’ultimo attentato alla vita di S.E. Benito Mussolini».5

In quel periodo riuscì a legare al movimento di Italia Libera perfino Alfonso Imperati – secondo alcuni ne fu, anzi, il cofondatore -  un fanatico fascista della prima ora ed ex deputato del PNF eletto nel 1921, poi allontanato dal partito per il suo carattere violento ed impulsivo.

Per uscire dall’isolamento politico nel quale era precipitato, non trovando più sponda nel Fascio locale, l’Imperati si era ricandidato nelle elezioni politiche del 1924 in un partito minore, ma senza molta fortuna.

La sera del 13 novembre 1924, l’avvocato Alfonso Imperati era in compagnia di Achille Gaeta, quando intorno alle 23 incontrarono Andrea Cosenza, un imprenditore edile, consigliere comunale, anch’egli fascista della prima ora.

Fra di loro si aprì una discussione sempre più accesa sul fascismo locale, fino a quando improvvisamente, Imperati estrasse una rivoltella che aveva con sé e sparò due colpi a bruciapelo, uccidendo Andrea Cosenza.

Per Achille, unico testimone oculare del delitto, cominciarono una serie di interrogatori, resi ancora più pesanti nei giorni successivi per la sua attività antifascista e per la sua adesione, come quella di Imperati, a Italia Libera.

L’antico socialista smentì pubblicamente questa sua adesione confermando invece di essere iscritto all’Unione Meridionale, mentre anche l’ufficio stampa il 15 smentì, tramite il quotidiano, Mezzogiorno, l’iscrizione di Alfonso Imperati alla stessa organizzazione.6

La stampa di regime, lo stesso commissario di pubblica sicurezza, Antonio Vignali, suo personale, acerrimo nemico, fecero intendere un coinvolgimento di Achille, ritenendolo in qualche modo «(…) responsabile morale dell’assassinio, anzi in un primo tempo, si prospettò la sua complicità per avere eccitato e rafforzato il proposito delittuoso, tanto che fu trattenuto per qualche giorno in arresto dall’autorità di P.S. del tempo (…), Achille fu il cattivo genio di lui, eccitandolo contro i dirigenti del Fascio fino al tragico episodio dell’uccisione di Andrea Cosenza (…)».7

Achille continuò nella sua attività anche dopo la fuga di Giovanni Amendola in Francia a seguito delle ripetute aggressioni fisiche subite, le cui conseguenze, nel giro di pochi mesi, lo portarono alla morte nel 1926.

Quando l’11 settembre l’anarchico Gino Lucetti lanciò una bomba contro l’auto del Duce, lasciandolo illeso ma ferendo 8 persone, ci furono in tutto il Paese manifestazioni di giubilo per lo scampato pericolo da parte del Primo Ministro.

Manifestazioni ci furono anche a Castellammare e bandiere tricolori furono esposte da ogni balcone, tranne all’Hotel Stabia.

Ci fu da parte di alcuni esagitati il tentativo di assaltare l’albergo, fermati dalle forze dell’ordine. Un gruppo di dimostranti riuscì comunque ad entrare nell’albergo e a far sventolare la bandiera dal balcone centrale. 

La sera del 31 ottobre 1926 ci fu il quarto, fallito, attentato alla vita di Mussolini da parte del quindicenne Anteo Zamboni, poi linciato sul posto dalle camicie nere presenti.

Le conseguenze non si fecero attendere, con pestaggi e ferimenti di antifascisti in tutta Italia.

Il giorno dopo Achille si rifiutò di esporre la bandiera fascista, sollecitata dagli esponenti fascisti da esibire su tutti gli edifici. Da Napoli, nella tarda serata del 1° novembre «… partì un camion con squadristi, che aveva percorso i comuni vesuviani procedendo ad atti di rappresaglia. Giunse nella notte a Castellammare e si recò al domicilio di tre persone arrecando danni alle suppellettili familiari. Le tre visite al domicilio di Cecchi Antonio (..) e quello di Gaeta Oscar, cugino dell’Achille (…), ed ultimo al domicilio di Gaeta Achille, all’Hotel Stabia. Poiché quindi dei quarantamila e più cittadini di Castellammare gli squadristi napoletani scelsero questi tre capri espiatori per le rappresaglie deve ritenersi che non solo egli era considerato un avversario ma capo e che la sua attività era nota non solo a Castellammare ma anche alla Federazione provinciale di Napoli (…)».8  

Sfuggito ai primi arresti a seguito della promulgazione delle leggi speciali, nonostante diversi rapporti redatti in tal senso anche dall’ultimo sottoprefetto della città, Stefano Mastrogiacomo, grazie alle potenti amicizie di cui disponeva, tra cui lo zio paterno, l’avvocato Catello Gaeta, sindaco della città  nel 1915, e alla sua diabolica abilità a capovolgere anche le situazioni più difficili a suo favore, Achille continuò a dileggiare i potenti della città e in particolare il pro sindaco, poi Podestà, l’avvocato Francesco Monti, ricevendo per questo diverse denunce per ingiuria.

In una serie di articoli pubblicati sul Roma, di cui era corrispondente, Achille attaccava ora il Segretario generale del Comune, Adolfo Limarzi, ora il Podesta, coadiuvato in questo dal direttore del Risveglio di Stabia, Catello Langella, a sua volta flagellato da denunce per diffamazioni. Gli argomenti erano sempre gli stessi: le fogne non realizzate, la sistemazione e il risanamento delle fonti idrotermali.

L’ultimo articolo pubblicato sul Roma il 3 luglio 1927, intitolato Per la stazione idroclimatica di Castellammare di Stabia, firmato da Langella e Pasquale Muscogiuri, ma ispirato da Gaeta, provocò nuove e più feroci polemiche, fino a quando, nello stesso mese, non si aprì nei suoi confronti una nuova indagine per rinviarlo alla Commissione provinciale, proponendolo per il confino politico, mentre Catello Langella e Pasquale Muscogiuri furono espulsi dal partito.

Anche in questo caso Achille ricorse a tutta la sua nota astuzia e abilità per trarre profitto dagli interrogatori a cui fu sottoposto dalla commissione provinciale, scontrandosi con la caparbietà perseguita dal commissario di pubblica sicurezza, Antonio Vignali, deciso a liberarsi di quel vero e proprio flagello.

E il 5 ottobre la Commissione decise per la proposta a tre anni di confino politico, ma fu tale il fuoco di fila contro la sentenza a partire dal ricorso dello stesso Achille, seguito dallo zio Catello dichiarandosi vittima di accuse non fondate e dovute unicamente a rappresaglie di carattere personale, da riuscire a fa sospendere l’ordinanza della commissione provinciale già il 9 ottobre, in attesa di nuova istruttoria.

Ancora prima che fosse nota l’ordinanza, mettendo le mani avanti su una possibile assoluzione, partì una lettera anonima fatta di insulti contro il Gaeta e attaccando i suoi presunti protettori e infine terminava dicendo:

«La pratica del confino e di ammonizione al Gaeta ritornerà fra pochi giorni di nuovo alla Commissione e già i pezzi grossi del Fascismo e dell’Antifascismo, della massoneria e dell’affarismo si danno da fare per il secondo salvataggio (…). E che figura ci faranno il Console della Milizia, il capitano dei CC.RR ed il Commissario di P.S., che il Gaeta ha perfino minacciato di farli subito trasferire? Occorre subito un vigoroso intervento per evitare un enorme scandalo. Uomo avvisato (…)».

Contro la sospensione della pena, i carabinieri produssero un nuovo rapporto e il 20 novembre protestò l’Alto Commissario per la provincia, mentre Achille si difendeva con i denti allegando dichiarazioni scritte da noti fascisti di antica fede padoviana, attestanti la sua fede al Duce e lo zio avvocato produceva nuovi ricorsi il 28 e 30 gennaio 1928, attaccando il Commissario Vignale di parzialità nelle sue indagini e giudizi.

Per sbrogliare la matassa sulle opposte dichiarazioni, il Ministero dell’Interno decise, il 14 febbraio, di affidare indagini definitive ad un ispettore generale di pubblica sicurezza.

Questi il 18 marzo produsse un corposo rapporto di dodici pagine, in cui confermava una per una le accuse contro Achille Gaeta e «la sua satanica attività perturbatrice, divenuta pericolosa per la tranquillità pubblica e per l’ordinario svolgimento della vita cittadina».9

Sulla base dei nuovi elementi la Commissione di Appello nella seduta del 26 marzo 1928, da un lato confermava l’ordinanza di prima istanza della Commissione provinciale, ma cogliendo la contemporanea disposizione del Duce fatta in occasione delle feste pasquali di ridurre ad un solo anno il confino di polizia, si adeguò.

Nuovamente arrestato il 5 aprile fu tradotto a Lipari il 17, ma già a fine mese scriveva al ministero per ricevere un permesso di rientro a Castellammare per definire urgenti interessi di lavoro lasciati in sospeso, quali la conduzione dell’albergo lasciato senza governo alcuno e in balia dei dipendenti, compromettendone la conduzione.

La licenza fu respinta in quanto l’albergo, secondo il telegramma dell’Alto Commissario, Castelli, era gestito dal fratello Giorgio e dallo zio Catello.

Ancora pochi giorni e Achille replicò arrischiandosi perfino a chiedere il proscioglimento dal confino in quanto il suo unico fratello, Giorgio, impiegato comunale, non poteva in alcun modo sostituirlo nella conduzione dell’Hotel Stabia, ne poteva farlo lo zio Catello, impegnato nella sua attività di avvocato.

Non avendo avuto risposta ripropose l’atto di clemenza il 21 giugno, ma sarà liberato solo dopo aver scontato la pena, il 17 marzo 1929.

Nel primo decennale del Fascismo, il Duce, ormai convinto di aver piegato ogni resistenza, emanò nel 1932 un’amnistia tesa a dimostrare che nessuno più minacciava l’ordine pubblico.

A conferma di ciò ci fu il 25 marzo 1934 un secondo Plebiscito, pro o contro il fascismo, dopo quello del 1929, fortemente voluto dal Regime.

Andarono a votare il 96,25 per cento degli elettori, ben 10.025.513 italiani si dichiararono favorevoli al regime e soltanto 15.265 irriducibili continuarono a negare il loro consenso.

A Napoli e provincia gli elettori erano 492.952 e di questi ben 471.201 votanti dissero al fascismo, mentre i No furono complessivamente 192 di cui 64 nel capoluogo.

Forse era così, ma ancora c’era chi non voleva piegarsi, chi continuava a tramare nell’ombra aspettando l’ora della riscossa.

Tra questi vi era, come abbiamo visto, il nostro Achille Gaeta, rientrato dal confino politico.

Il diabolico Achille – come lo definì in un suo scritto l’amico Piero Girace (1904 – 1970), giornalista, critico d’arte e scrittore.10

Reso prudente dalle traversie e dal controllo serrato del regime, Achille Gaeta, si allontanò definitivamente dalla politica, dedicandosi esclusivamente all’attività giornalistica, collaborando a vari periodici e quotidiani.

Durante la guerra entrò in polemica con il Commissario prefettizio, Federico D’Aiuto, invitandolo a più riprese di far applicare la sua stessa delibera, con la quale si obbligavano i proprietari a realizzare negli scantinati rifugi antiaerei. Nel suo caso a sollecitare i proprietari dell’immobile dell’Hotel Stabia, la famiglia D’Alessandro, ad iniziare i lavori per la costruzione di questo indispensabile rifugio.11

All’indomani della caduta del fascismo per esprimere la sua gioia e la vittoria finale sull’odiato nemico, affittò tutti i taxi disponibili sulla piazza percorrendo in un festoso e rumoroso corteo le strade della città, facendo suonare i clacson a festa.

Nelle concitate settimane successive alla fuga dei tedeschi, quando si formò a Castellammare il primo Comitato di liberazione locale sotto la presidenza del democristiano Silvio Gava, nel Comitato locale troviamo, ancora una volta protagonista Achille Gaeta in rappresentanza del Partito d’Azione, al quale aveva prontamente aderito.

Ancora una volta tra coloro che lo fondarono con l’irriducibile, antico ex socialista, Andrea Luise e Eduardo Manniello e forte fin da subito di oltre duecento aderenti.

Per gli altri partititi furono nominati per il Pci Vincenzo Giordano, Gerardo Schettino e Oscar Ossi, per la Dc Catello Gargiulo, per il Pli Antonio Sorrentino, per la Democrazia del Lavoro, Mario De Simone, per il Psi, Raffaele Guida, Pasquale Vanacore e Raffaele Criscuoli, quest’ultimo un impiegato delle poste in pensione, repubblicano, già sottoposto a vigilanza politica quale oppositore del cessato regime.12

Redattore del quotidiano napoletano, La Repubblica, organo meridionale del ricostituito Partito Repubblicano Italiano, uscito nel 1944, Achille fu vice presidente dell’Associazione Stabiese della Stampa. «Stroncato da un male ribelle»morì nel pomeriggio del 16 dicembre 1957, facendo scomparire con lui quel ramo della famiglia Gaeta.13

Gli sopravvisse la vedova, Elena Scognamiglio.

 

 

Note

1 Michele Palumbo, Stabiae e Castellammare di Stabia, Aldo Flory Editore Napoli, 1972, pag.201.

Dell’Albergo e Trattoria dell’Antica Stabia ne parla anche Catello Parisi nel suo libro, pubblicato nel 1842, Cenno storico descrittivo della Città di Castellammare di Stabia, pag. 74.

2 La Propaganda, n. 822, 20 giugno 1909, art. Canaglie di preti e n. 824 del 4 luglio, art. La conferenza del compagno Vittorio Podrecca, entrambi di Achille Gaeta. Per i particolari della vicenda cfr. Catello Langella (1871 – 1947) di Raffaele Scala nella raccolta di AA.VV Miscellanea edita dal comune di Castellammare di Stabia nel 2002.

3 La Verità, anno IV, n. 36, 18 dicembre 1911.

4 ACS, Confino politico, Achille Gaeta, Relazione dell’ispettore generale di P.S., Giuseppe Campale. 18 marzo 1928.

5 ACS, Confino politico, Achille Gaeta, Relazione Commissario P.S., Vignali al Questore. 16 luglio 1927.

6 Sull’omicidio di Andrea Cosenza vedi “Il Mattino” del 14 novembre 1924, l’art. L’ex onorevole Imperati ammazza un capo fascista a Castellammare. Altri articoli furono pubblicati con grande evidenza anche nei giorni successivi. Imperati sarà arrestato nel gennaio 1929 in Francia, dov’era riuscito a scappare e a nascondersi sotto falso nome.

7 ACS, Confino politico, Achille Gaeta,Relazione Ispettore generale di P.S., Giuseppe Campale al Capo della polizia,18 marzo 1928.

8 ACS, ibidem, Comando 145 legione MVSN, Castellammare di Stabia, 8 settembre 1927, Ammonendo Gaeta Achille.

9 Relazione Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza, Giuseppe Campale su Achille Gaeta. 18 marzo 1928.

10 «(…) E’, questi, di carattere permaloso ed irrequieto, incline ad organizzare beffe anche crudeli sul conto di chicchessia, facile alla critica e alle antipatie…», scriveva in una nota riservata il commissario di pubblica sicurezza, a proposito di Achille Gaeta, vittima a sua volta di lettere anonime e non, nelle quali si chiedeva di prendere severi provvedimenti «contro il temuto traditore del Regime fascista». Achille era anche un uomo generoso, arrivando ad offrire allo Stato due quadri del suo celebre antenato, il pittore Errico Gaeta (1840 – 1887), il primo nel 1933 quando regalò il dipinto Nel bosco di Quisisana esposto alla pinacoteca del museo di San Martino di Napoli e il secondo, nel 1935, offrendo L’alba nel burrone, esposto nella Galleria d’Arte Moderna di Valle Giulia a Roma.   Cfr. ASN, Questura di Napoli, Gabinetto di Prefettura, Achille Gaeta, busta 70, fasc. 1181.

Scrive Piero Girace in Le acque e il maestrale. Cronache estive di Castellammare, 1937, nel capitolo intitolato Pazzie di Castellammare. Cronache di tempi che furono: «(…) Vi ritorno (a Castellammare) e la mia prima visita vado a farla ad un mio amico diabolico, cioè Achille Gaeta, colui che in un lontanissimo inverno stabiese, mi inoculò il morbo di questo mestiere incerto e pericoloso (…)». Piero Girace cita il suo grande amico anche in un altro racconto del suo libro L’estate dei pittori. Entrambi i capitoli si possono leggere in L’Opinione di Stabia, n. 70 di marzo 2003 e n. 107, aprile 2006.

11 ASC, Ricoveri antiaerei, busta 647

12 ASC, C. L. N. Sottocomitato di Castellammare, b. 632. In realtà molti altri fecero parte del Sotto comitato di Liberazione in quanto nei tre anni della sua esistenza, tra il 1943 e il 1946, ci furono diverse sostituzioni. Per esempio per il Pci si ricordano anche Pietro Carrese e Alberto Mango, per il Psi Luigi Rosano

13 “Roma”, 17 dicembre 1957, art. La morte di Achille Gaeta .

 

 

 

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