S. Maria la Carità, settembre 1943: una strage dimenticata
8 settembre 1943, quando la Germania divenne nemica Il sole non era ancora tramontato quando la sera dell’8 settembre 1943 il nuovo capo del governo, Maresciallo Pietro Badoglio, nominato dal re il 25 luglio, in sostituzione del destituito Benito Mussolini, annunciò alla radio l’armistizio, firmato cinque giorni prima presso Cassibile (SR), con le Forze Armate Alleate, affermando in maniera perentoria: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da parte delle Forze italiane, in ogni luogo, esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Con il senno del poi fa un certo senso la sottolineatura del Maresciallo d’Italia che tenne a lasciar intendere, la sicura, brutale reazione del pericoloso, e ormai ex, alleato germanico, senza nominarlo apertamente, anticipando in maniera ambigua e cinica quanto sarebbe accaduto nelle ore e nei giorni successivi. Questo rende, se possibile, ancora più vile il suo gesto di abbandonare la capitale e il resto d’Italia al suo tragico destino di terrore e di morte. E la reazione ci fu, sanguinosa, forse più del previsto, con saccheggi, deportazioni, distruzioni e stragi fin dai giorni successivi, mentre il re scappava ignominiosamente con la sua corte di lacchè e generali, mettendosi in salvo a Brindisi, dietro le linee Alleate. Nel circondario a pagare il prezzo più alto fu la città di Castellammare di Stabia, che aveva provato a ribellarsi impugnando le armi contro i nazisti, con 32 morti, decine di feriti e oltre duemila deportati in Germania. Per i numerosi atti di coraggio la Città delle Acque fu insignita della Medaglia d’oro al merito civile nel gennaio 2005. Nella vicina, pacifica Gragnano ci fu una sola vittima, tra l’altro un forestiero, tale Antonio Brigida, nato nel 1882 a Longiano, in provincia di Forlì Cesena. Residente a Napoli, Antonio Brigida era sfollato nella piccola città dei monti Lattari, e qui la domenica del 12 settembre di quel tragico 1943 rimase colpito da una raffica di mitragliatrice mentre transitava nei pressi di una postazione tedesca. Il suo corpo sarà ritrovato soltanto sedici giorni dopo, con l’arrivo degli Alleati, nel greto di un ruscello.1
Secondo alcune testimonianze da noi raccolte, ma non suffragate da documenti, l’uomo era nella zona per raccogliere informazioni militari per conto delle Forze Armate Alleate, le cui avanguardie già stazionavano tra il Valico di Chiunzi ed Agerola, in attesa di scendere a valle per occupare, senza colpo ferire, i comuni della piana del Sarno e della costiera, prima di avanzare verso il capoluogo regionale. Altre vittime si avranno a Torre Annunziata, Torre del Greco, nella vicina Scafati, a Nola, a Somma Vesuviana, a Pozzuoli, a Poggiomarino e in altri comuni della provincia, oltre che, naturalmente, a Napoli. Il capoluogo regionale si liberò, cacciando definitivamente la marmaglia tedesca dal capoluogo, conquistandosi un posto d’onore nella Storia della Liberazione, con le epiche, indimenticabili Quattro Giornate di fine settembre. Una insurrezione popolare pagata con il sangue di centinaia di vittime, molte delle quali mai identificate. Per i sacrifici della popolazione e per l’attività svolta nella lotta partigiana, Napoli sarà tra le prime città ad essere decorata al valor militare per la guerra di Liberazione, il 10 settembre 1944.2 Complessivamente le vittime del nazismo ad oggi accertate, ma non ancora esaustive di quel tragico 1943, furono 1.406 in 499 stragi provocate nella sola Campania. A Napoli e nel napoletano si conteranno 172 stragi, di cui gran parte nel solo capoluogo campano. La provincia più dolorosamente colpita sarà Caserta, l’antica Terra di Lavoro, con 276 eccidi e almeno 709 morti accertati, provocati dai reparti della Wermacht in ritirata, segnando l’orrore dello stragismo nazista.3 Le Forze Alleate erano sbarcate nella piana di Salerno il 9 settembre, trovando una accanita resistenza da parte delle truppe tedesche, riuscendo a bloccarli per circa dieci giorni. Infine, consapevoli di non poter resistere ad oltranza, nonostante le forti perdite inflitte al nemico, le truppe germaniche iniziarono la ritirata verso il Nord. A Castellammare reparti della 5° Armata USA, comandata dal Generale, Mark Clark e della VIII Armata britannica del Generale Bernard Montgomery, entrarono il 29 settembre, scendendo da Agerola, dove si erano attestati da diversi giorni, quando i tedeschi erano, ormai, già in fuga, lasciandosi dietro una lunga scia di distruzione e morte e coprendosi d’inutile infamia. Presumibilmente in quella stessa giornata altri reparti entrarono in Santa Maria la Carità, con scenografici carri armati, da via Polveriera. Provenienti dal Valico di Chiunzi, si attestarono in Piazza Borrelli, allora conosciuta come Piazza Carità, distribuendo com’erano solito fare, sorrisi, caramelle e cioccolata, mentre molti sammaritani andarono loro incontro accogliendoli al suono delle campane a festa e con frasche di alberi di cachi. Solo successivamente i cosiddetti liberatori mostrarono il loro vero volto, quello duro e spietato, di esercito occupante, come ha ampiamento dimostrato la vasta documentazione oggi disponibile. Infatti nei circa tre anni in cui gli anglo americani rimasero nel nostro circondario, dal 29 settembre 1943 a metà agosto 1946, non mancarono di coprirsi, a loro volta, di vergogna, con numerosi casi di aggressioni, risse, violenze, furti, omicidi e perfino violenze carnali.4 Per capire come e perché nei giorni successivi all’armistizio, e in particolare tra il 23 e il 27 settembre 1943, a Santa Maria la Carità come in altre cento e più città, accaddero questi tragici fatti possiamo genericamente rifarci ad una relazione, ancora inedita, del vicino Segretario Capo, nelle veci del Commissario Prefettizio di Castellammare di Stabia, che negli stessi, infuocati giorni, scriveva al Prefetto di Napoli, qui riportata senza correzioni, con gli stessi strafalcioni dell’estensore: «Il giorno 23 e 24 corrente, venne operato da questo comando tedesco il reclutamento coattivo, acchiappando per strada la maggior parte degli uomini, quindi anche quelli inferiori ai 17 anni e superiori a i 40 anni. Di seguito questa amministrazione con armi in mano venne costretta a pubblicare un avviso relativo al reclutamento di tutti i giovani delle classi dal 1910 al 1929, mascherandolo da ragioni di lavoro. Ciò fu dovuto fare per evidenti ragioni di rappresaglia che il comando tedesco aveva minacciato (…) I soldati tedeschi operano perquisizioni nelle abitazioni private con intimidazioni e minacce, sicché la popolazione vive un periodo di terrore senza limiti».5 Il reclutamento coattivo nasceva da una ordinanza emanata dal Feldmaresciallo, Albert Kesselring, comandante supremo di tutte le forze tedesche in Italia, e ripreso dal Colonello Walter Scholl che impose al prefetto di Napoli, Domenico Soprano, di firmare il bando del 22 settembre 1943 con il quale si imponeva la deportazione di tutti gli italiani, maschi, nati tra il 1910 e il 1925, da avviare al lavoro negli impianti industriali militarizzati ubicati nei territori del Terzo Reich. L’ordine perentorio era di sparare a vista contro chiunque opponesse resistenza. L’ordinanza, scritta per la città di Napoli, fu naturalmente estesa all’intera provincia.6 Per la brutale durezza ed efferatezza con la quale condusse la sua azione militare nell’Italia occupata dalle forze germaniche, Kesselring fu condannato a morte. La sentenza fu poi commutata in ergastolo ed infine, l’ultima beffa, l’estrema offesa alle migliaia di vittime innocenti, uomini, donne e bambini massacrati senza pietà, con la sua liberazione nel 1952. Rilasciato senza che ci fosse un suo pentimento, senza avere mai rinnegato la sua condotta di criminale di guerra, rientrando da uomo libero in Germania. Morirà nel 1960 all’età di 75 anni. In ultimo ricordiamo che nei giorni precedenti e successivi l’annuncio dell’armistizio, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata, Pompei e Gragnano, subirono numerosi attacchi aerei da parte dei temibili caccia bombardieri statunitensi, l’ultimo raid si verificò il 23 settembre di quell’indimenticabile 1943, colpendo le vie di comunicazioni ferroviarie, stradali e obiettivi militari. Diverse bombe furono sganciate il 30 agosto, il 15 e il 17 settembre sul territorio di Gragnano, provocando numerose vittime, compresi alcuni bambini. L’inerme borgo di Santa Maria la Carità non fu risparmiato, provocando una vittima civile nel raid del 30 agosto, il povero Nunziante Esposito, di anni 40.7 Probabilmente l’uomo fu vittima di una delle tante bombe sganciate alla cieca sulle campagne, tanto per liberarsi del micidiale carico sulla strada del ritorno, come scrive lo storico Gianni Cerchia nel suo bel libro, La memoria tradita, rievocando le innumerevoli di bombe lasciate cadere sulle campagne, fuori dal centro abitato del casertano mietendo numerose vittime civili.8 I fascisti sammaritani: Ernesto Marino (1891-1970) A dileguarsi, liberandosi delle nere divise, indossate fino al giorno prima con supponenza ed arroganza, nascondendosi o scappando in altre località, furono anche i gerarchi dei mille fasci che avevano fatto il bello e il cattivo tempo per un intero ventennio. Tra i tanti persino le camice nere sammaritane, capitanate da Ernesto Marino e da un direttorio di nove concittadini, preferirono chiudersi nelle loro case aspettando la fine della bufera.9 Ernesto Marino era nato a Gragnano il 7 giugno 1891, figlio di Aniello, unica guardia municipale in servizio nella contrada e di Sofia la Mura. Marino risulta nel 1921 registrato negli archivi comunali come negoziante. Un anno dopo, denunciando la nascita della sua seconda figlia, si dichiara ed è registrato come imprenditore, ruolo forse legato all’attività del suo mulino e che lo renderà benestante. In quel tempo, poco dopo la costituzione del Fascio di Gragnano, avvenuto il 9 aprile 1921, su iniziativa di Giacomo Cuomo, poi nominato suo primo segretario, anche Santa Maria la Carità ebbe il suo Fascio locale, in virtù della sua autonomia amministrativa riconosciuta fin dal 1906.10 Alla testa del manipolo locale ci sarà l’ancor giovane e intraprendente imprenditore, assumendo per l’intero ventennio la carica di Responsabile. Sposatosi il 20 settembre 1920 con la stabiese Ida Mosca, Marino avrà due figlie, Sofia, nata il 28 luglio 1921 e Giulia Anna Maria, nata l’8 settembre 1922, ma morta poche ore dopo. Non abbiamo informazioni sul numero di iscritti al Fascio di Santa Maria la Carità – sappiamo che la sede era situata in via Petraro al civico 34 – ma abbiamo un dato complessivo riguardante Gragnano, riferito al 1925. In quell’anno risultano 500 iscritti, 50 balilla, 50 avanguardisti e 50 Piccoli Italiani. Segretario politico era Eugenio Dello Ioio. Di questi iscritti una buona aliquota doveva essere di Santa Maria.11 Così come sappiamo che non vi era una grande considerazione del gruppo dirigente del Fascio di Gragnano, da cui dipendeva la sezione periferica, di Santa Maria la Carità, da parte delle Autorità, almeno stando a questo rapporto dei Regio Carabinieri stilato il 30 gennaio 1929: «Fra i fascisti di Gragnano non esiste persona in possesso dei necessari requisiti d’idoneità, serietà, onestà e capacità da proporre per la carica di Podestà in questo comune. Si propone Girace Vincenzo, avvocato nato a Napoli, di anni 57 (…)».12 Sulla persona di Ernesto Marino, figura carismatica del fascismo locale, si riverseranno nel secondo dopoguerra le attenzioni degli Alleati, alla ricerca di documenti compromettenti, utili per rimuovere e isolare dalla vita politica del Paese quanti si erano eccessivamente compromessi con il vecchio regime e, in particolare, coloro che si erano macchiati di crimini di varia natura. Documenti da trasmettere alla Commissione di Controllo Alleata (ACC), un organo militare incaricato dell’amministrazione civile nei territori liberati dagli eserciti Alleati. Successivamente a tenerlo sotto controllo, per diversi anni, furono i carabinieri, subendo continue perquisizioni, anche notturne. Probabilmente tali controlli erano legati ad azioni di prevenzione contro le azioni terroristiche di nuclei armati di forze fasciste che non accettarono la sconfitta. Infatti in varie zone del Paese i nostalgici del Duce avevano formato gruppi clandestini, nel Nord Italia, come nelle zone liberate dagli Alleati, con particolare virulenza tra la fine del 1943 e il 1945, ma in taluni casi furono operativi anche in anni successivi, almeno fino alla prima metà degli anni Settanta, come poi dimostreranno le varie inchieste, sia giornalistiche che giudiziarie. Tale movimento di resistenza fu guidato dall’avventuroso principe nero, Valerio Pignatelli (1886-1972), che su espresso ordine di Benito Mussolini, ricevuto nella tarda primavera del 1943, aveva ideato una struttura militare clandestina e una rete informativa segreta in grado di operare dopo la probabile invasione nemica. Un nucleo relativamente forte agì anche nel napoletano, capitanato dal luogotenente di Pignatelli, l’avvocato Ferdinando Di Nardo (1918-1996), e in particolare a Sorrento e a Castellammare di Stabia. In quest’ultima cittadina a capo del gruppo vi era Rosario Joele, attivo con una squadra di giovani, compresi alcuni studenti, che, nel corso della cosiddetta guerra civile del 1943-1945, organizzò «un campo di atterraggio sul Monte Megano dove arrivavano gli agenti speciali della RSI paracadutati da un aereo tedesco più volte. I contatti con la RSI erano tenuti a mezzo radio da Napoli e attraverso Abbate venivamo allertati noi di Castellammare. Qualche volta venne da noi anche Nando Di Nardo, che si incontrava con Joele».13 A loro volta i Comitati di Liberazione, sorti in ogni comune, in accordo con le Forze Alleate occupanti, procedevano ad azioni di epurazione e numerosi furono gli arresti, quasi tutti trasferiti nel campo di concentramento di Padula, nella famosa Certosa di San Lorenzo, in provincia di Salerno, dove furono rinchiusi oltre duemila fascisti.14 Ricordando che Ernesto Marino e sua figlia Sofia non solo erano stati, in ambito locale, protagonisti assoluti durante il Ventennio, ma non avevano mai rinnegato la loro fede, continuando anzi ad operare nel campo dell’estremismo di destra, inevitabile diventava il serrato controllo operato dai carabinieri in quegli anni difficili su quanti avevano ricoperti incarichi di responsabilità. Infine, quando l’età era ormai prossima alla pensione, Ernesto Marino, decise di lasciare definitivamente Santa Maria la Carità, provando a rifarsi un esistenza in un nuovo ambiente, dove non era conosciuto e per non creare ulteriori problemi e disagi alla sua famiglia. A tale scopo si trasferì prima a Torre del Greco il 5 gennaio 1960 e successivamente a Portici il 29 maggio 1968, con la moglie Ida, la sorella nubile di lei, Anna Mosca e la sua unica figlia, la battagliera e irriducibile fascista, Sofia, rimasta anti badogliana fino alla fine dei suoi giorni. Secondo alcune testimonianze, Ernesto Marino aveva lasciato Santa Maria la Carità diversi anni prima del 1960, senza registrare il trasferimento di residenza, ma tornando spesso nel suo vecchio paese per gli interessi economici qui presenti e rimasti praticamente intatti. Il vecchio gerarca sammaritano scompare a Portici il 22 giugno 1970, nella sua casa di vico Immacolata, all’età di 79 anni.
Sofia Marino (1921-2003) Sofia seguirà le orme paterne: dopo gli studi classici, conseguiti presso il liceo Plinio Senior di Castellammare di Stabia, la giovane Marino si iscriverà a Giurisprudenza, conseguendo la laurea, ma non praticherà mai l’attività forense, preferendo impiegarsi presso una casa editrice. Nella veste di studente riuscirà ad assumere la carica di Segretaria del GUF, Gruppi Universitari Fascisti, che raccoglieva i giovani di età superiore ai diciotto anni. Probabilmente era passata prima per un'altra organizzazione, la GIL, Gioventù Italiana del Littorio, associazione nata nel 1937 dalle ceneri dei Fasci giovanili di combattimento. Stando a quanto scrive Giuseppe Di Massa nel suo libro sulla storia di Santa Maria la Carità, anche in questo comune era presente una sezione, intitolata a V. Greco.15 Nel dopoguerra Sofia Marino diventerà una vera e propria pasionaria della destra estrema, dedicando l’intera esistenza alla sua fede giovanile, militando attivamente nel Movimento Sociale Italiano, assumendo la segreteria della sezione missina di Portici e partecipando come delegata ai vari Congressi nazionali. Fedele ai suoi ideali di sempre si opporrà alla scelta del Segretario Generale del suo partito, Gianfranco Fini, di sciogliere il Movimento Sociale Italiano per trasformarlo nella nuova formazione politica di Alleanza Nazionale nel gennaio 1995, rendendo inevitabile la scissione. In prima linea nella nascita del Movimento Sociale Fiamma Tricolore, quale ideale prosecuzione del partito che fu di Giorgio Almirante, e fortemente voluto da Pino Rauti, costituito pochi mesi dopo, Sofia si candiderà il 16 aprile 2000 come sindaco nelle elezioni amministrative di Portici, raccogliendo, 257 consensi (0,66%), pur tra i mille ostacoli provocati in particolare dai suoi ex camerati. Lo stesso partito al suo esordio nelle elezioni regionali del 23 aprile 1995, aveva raccolto a Portici 350 voti e 262 nelle elezioni del 16 aprile 2000, in linea quindi con il bacino elettorale del nuovo partito fondato da Pino Rauti. Sofia scompare il 20 agosto 2003, all’età di 82 anni, nella sua casa di Portici. La politica era stata la sua unica grande passione e a tale scopo aveva rinunciato a creare una sua famiglia, rimanendo nubile.
I maggiorenti del fascismo locale Il direttorio del Fascio sammaritano, capitanato da Ernesto Marino era composto da: Gerardo Cascone, Antonio D’Auria, Enrico D’Auria, Francesco D’Auria, Vincenzo Di Nola, Ciro La Mura, Luigi Orazzo, Antonio Sabatino, Pasquale Sansone.16 Altri noti fascisti erano il tenente pilota, Ernesto Borrelli (1910-1943), già medaglia d’argento al valor militare per aver concorso, «in un violento scontro con la caccia avversaria all’abbattimento di un apparecchio», e il cui aereo, un S79 del 105° Gruppo Aerosiluranti, fu poi, a sua volta, abbattuto da un Spitfire del 43° Squadron, il 27 marzo 1943, precipitando nel Mediterraneo. Il suo corpo non è mai stato recuperato17; Eduardo Borrelli (forse il padre di Ernesto? nda), che nella borgata fungeva da delegato del Podestà di Gragnano, Pietro Bembo, guardiano privato, di origine siciliana, era infatti nato a Raffadali, in provincia di Agrigento (1897-1963), guardiano privato e sua moglie Emilia Paumgardhen (1896-1992), levatrice. Uno dei figli della coppia sarà il medico Giuseppe Bembo che negli anni ’70 guiderà il Comitato per l’autonomia del comune di Santa Maria la Carità da Gragnano, poi ottenuta il 23 novembre 1978. Non erano pochi i peccati da farsi perdonare: in nome e per conto della dittatura mussoliniana, il Fascio locale aveva trovato modo e tempo di far sentire la sua asfissiante presenza, segnalando e facendo schedare come sovversivi alcuni dei suoi abitanti, riottosi a riconoscersi nel nascente regime nero. Tra questi troviamo Giuseppe Di Somma, un agricoltore benestante, reo di aver pronunciato frasi offensive contro la milizia nel marzo 1931, il geometra, socialista, Giacomo Iannotta, schedato nel 1929 come sovversivo18 e il contadino Federico D’Aniello, trovato in possesso di alcuni volantini sovversivi19, facendo, infine, chiudere dal Prefetto, nel maggio 1927, la Cooperativa Unione Agricola Cattolica, l’unica presente nella contrada, con l’accusa di svolgere azione contraria al regime e di professare, addirittura, principi sovversivi.20 Non erano mancate angherie, prepotenze e abusi di potere, comprese crudeli somministrazioni di olio di ricino. Racconta a tal proposito Francesco Coppola nella sua lucida testimonianza indiretta: «I fascisti a Santa Maria, verso coloro che si opponevano, si son presi sfizi mai visti. Agivano in questo modo: quando avvicinavano qualcuno non fascista e gli dicevano, vieni con noi (credo alludesse all’iscriversi o al partecipare alla parate o ad altro) e il malcapitato tergiversava o declinava con ripetute giustificazioni l’invito, i fascisti locali s’accorgevano che costui non lo faceva per mancanza di tempo o per impedimento, ma perché non voleva collaborare e quindi passavano all’azione. Gli incendiavano qualcosa, oppure gli somministravano le purghe di olio di ricino e poi, posti su una carretta trainata da un cavallo, li portavano in giro per il paese mostrandoli agli altri compaesani (era un monito) esponendoli a pubblico ludibrio. Purtroppo, avendo bevuto la purga (in verità gliene davano tantissima), il malcapitato dopo poco tempo, sulla carretta, espletava i suoi bisogni sotto forma di abbondante diarrea. Il tutto sulla carretta portata in giro per il paese». Dalla punizione della purga non si salvavano neppure innocenti minorenni, come dimostrano le numerose testimonianze raccolte dagli autori, in particolare quella di Giuseppe Calabrese, vittima della purga a soli nove anni. Sopraffazioni che in alcuni casi portarono a vere e proprie violazioni di legge, rimaste, purtroppo, impunite anche all’indomani della caduta del regime, come del resto accadde a livello nazionale, nonostante l’emanazione di diversi decreti legislativi, in particolare con l’istituzione dell’Alto Commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo nel 1944.21 La pietra tombale sui crimini commessi dai fascisti ci sarà con l’amnistia voluta dal Ministro per la Grazia e Giustizia, il comunista Palmiro Togliatti, con il Decreto Presidenziale del 22 giugno 1946. Alcune di queste soperchierie nei confronti di contadini e coloni, si ebbero in particolare in seguito alla politica degli ammassi, diventata obbligatoria dal 1936 e fortemente voluta da Mussolini, che consisteva «nella raccolta di tutti i prodotti primari per l'alimentazione nelle strutture d'immagazzinamento dei Consorzi agrari per favorire una maggiore razionalizzazione ed efficienza nel settore e mantenere la nazione pronta in caso di necessità, trasformando più facilmente l'economia civile in economia di guerra».22 Contro la politica degli ammassi, che di fatto lasciava senza riserve alimentari le stesse famiglie degli agricoltori, i contadini si difendevano provando a nascondere parte dei raccolti. La quantità di grano lasciata ai contadini per consumo personale era diminuita di anno in anno, in particolare in quelli più duri del secondo conflitto mondiale, fino ad aggravarsi nel 1943.23 Il fatto era noto e in parte sopportato, tranne quando qualche camicia nera, vestendosi di un autorità che non aveva, ispezionava di proposito casali e fattorie requisendo il grano nascosto. Il dovere imponeva di portarlo all’ammasso, ma in realtà non mancò chi pensò al personale arricchimento, dirottando il grano requisito verso qualche molino amico per la macina e rivenderlo come farina, oppure nasconderlo in casa propria. Nell’occasione uno dei fascisti del direttorio sammaritano aveva creato un intercapedine tra le pareti di casa usandolo come un silos privato con illecito arricchimento. In quel tempo, a causa della politica agraria portata avanti dal fascismo si era creata una pesante divaricazione fra i prezzi cosiddetti ufficiali e quelli del mercato clandestino. Basti pensare che nella campagna di conferimento 1942/43 il prezzo del grano duro fu fissato a 235 lire al quintale, mentre quello tenero a 255. Gli stessi prodotti al mercato nero erano rivenduti, rispettivamente, a 650 e 850 lire al quintale, con enormi profitti da parte di chi agiva nell’ombra e dei complici in camicia nera.24 Durante gli anni del regime fascista a Santa Maria la Carità vi erano almeno due mulini, il primo si trovava in via Petraro ed era di proprietà della famiglia Zara, ricchi possidenti della zona. Il mulino a pietra era situato al posto dell’attuale farmacia. Ricordiamo che negli stessi locali per diversi decenni vi è stato il cinema Margherita, di proprietà della stessa famiglia Zara. Il secondo mulino, sito in via Scafati, dove attualmente è posizionato il distributore di carburanti, era di proprietà di Ernesto Marino. La strage: storie sconosciute di eroi dimenticati Sembrava che la Storia avesse soltanto sfiorato Santa Maria la Carità, che i fatti fossero soltanto quelli appena accennati, semplici, insignificanti episodi di periferia, pur nella loro ingiustificata gravità, ma che nell’insieme rientravano nelle ordinarie sopraffazioni di mediocri, arroganti ducetti, tipici di ogni regime. Tutto sembrava far pensare che la piccola, seppure importante, frazione campestre della Città della Pasta, fosse stata risparmiata dalla furia nazista, ignorandone l’esistenza e invece, purtroppo, abbiamo recentemente appreso, grazie al gruppo di ricerca impegnato nella realizzazione di un Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, che anche la piccola contrada di Santa Maria la Carità, fu brutalmente colpita dal passaggio delle truppe tedesche su questo lembo di territorio, gettando nel panico e nella disperazione la laboriosa comunità di circa tremila abitanti. Ruberie, violenze, sopraffazioni, terrore gratuito, barbare uccisioni colpirono la piccola contrada sammaritana, ma tutto questo la collettività sembra averlo dimenticato, rimosso come se nulla fosse successo, forse per voglia di cancellare quell’odioso passato, per pudore, per paura, per negligenza delle classi dirigenti, per complicità familiari di chi aveva interesse ad occultare o chi sa che altro. Come ha avuto modo di scrivere la scrittrice Melania Mazzucco, chiudendo il suo bellissimo romanzo a sfondo familiare, pur riferendosi ad un altro contesto, quello della dura, in alcuni casi tragica, esperienza dell’emigrazione italiana, in particolare verso gli Stati Uniti d’America di fine Ottocento, inizio Novecento: «Tutti noi avevamo operato – inconsapevoli o deliberatamente – una chirurgica rimozione della memoria. Come se (…) fosse stata una vergogna nazionale, da cancellare».25 Chi ha vissuto quei tragici mesi del 1943 ha fatto altrettanto, provando a dimenticare, come se non avesse visto, come se niente fosse accaduto, quasi se ne vergognasse, come se loro non fossero state le vittime, ma i carnefici di quelle atrocità. Tutto cancellato, perfino gli atti di eroismo, che pure non mancarono, tanti piccoli gesti di solidarietà, utili a salvare vite, a impedire la deportazione di familiari, parenti, amici, conoscenti, finanche sconosciuti, in qualche caso pagando con la propria vita. Scrive a tal proposito lo storico, Francesco Soverina: «Le vittime degli eccidi e delle repressioni perpetrate dall’esercito tedesco nel Mezzogiorno, tra l’estate e l’autunno del 1943, sono state per decenni condannate ad un duplice disinteresse, storiografico e politico, frutto di una rimozione collettiva e spesso di un intenzionale disattenzione da parte delle autorità locali, che, il più delle volte avevano abbandonato i propri concittadini alla loro sorte (…) Gli eventi cruenti del 1943, che hanno causato dolori e ferite profonde alle popolazioni meridionali, non hanno, dunque, trovato posto nella memoria pubblica, rimanendo chiusi nei ricordi della gente comune, di tanti anonimi superstiti (…)».26 Noi proviamo, per la prima volta, settantacinque anni dopo, a ricostruire questi fatti, a ridare nomi, cognomi e volti, restituendo onore e dignità a chi lo merita, riscrivendo una pagina di storia smarrita, ignorata dalla Storia Ufficiale Locale. Antonio Raiola (1924-1943) Sono diversi gli episodi, completamente cancellati dalla memoria della comunità, fatti accaduti tra il 23 e il 27 settembre 1943, quando, secondo l’Atlante, tre inermi sammaritani furono uccisi sul posto dai tedeschi. Il 23 settembre gli occupanti germanici diedero inizio alla grande caccia di civili italiani, inermi cittadini da catturare e deportare in Germania per avviarli al lavoro coatto nelle grandi fabbriche militarizzate del Terzo Reich, affamate di operai in grado di produrre a basso costo le armi e le munizioni indispensabili per continuare la guerra. Provenienti da Gragnano, dove era acquartierata una guarnigione di Flak Regiment 49, minacciose pattuglie armate di mitra, perlustravano strade e viottoli di campagna, controllando strade, abitazioni e casolari di campagna, non dimenticando di razziare animali, beni e generi alimentari. Il primo episodio, vide la barbara uccisione di un ragazzo appena ventenne, Antonio Raiola, mitragliato, accoltellato e derubato. Il giovane abitava in via Calvanese, all’epoca via Termini, ma nulla sappiamo di cosa stesse facendo quel maledetto giovedì del 23 settembre. Di certo per sfuggire ad un rastrellamento in corso da parte dei militari tedeschi che presidiavano la contrada, provò a nascondersi, fino ad arrivare nel campo di grano, o quello di ricini, situato nei pressi di via Canneto Primo, non molto lontano dalla propria abitazione, poco più di un chilometro. All’avvicinarsi della pattuglia nazista, impaurito, tentò di fuggire ma fu notato e mitragliato senza pietà. Scrive l’Atlante nella sua sintetica scheda: «La vittima stava tentando di sottrarsi a un rastrellamento quando venne colpita da una raffica di mitragliatrice e poi uccisa a pugnalate. Dal suo corpo furono sottratti il portafoglio e alcuni gioielli. Successivamente anche la sua abitazione venne saccheggiata e la madre venne malmenata».27
Pietro Cesarano (1904-1943) Il secondo episodio, nella stessa giornata, merita una menzione particolare e riguarda Pietro Cesarano, muratore, bracciante, contadino e chissà che altro per mantenere la sua numerosa famiglia. Tutto accade in via Visitazione, nella stessa strada in cui abitava, nei pressi della Prima Traversa Calabrese. Secondo alcune testimonianze anche in quella strada era in corso un rastrellamento da parte di una pattuglia tedesca e alla loro vista alcuni giovani tentarono la fuga per non essere deportati. I tedeschi reagirono mitragliando i fuggitivi, fortunatamente senza colpire nessuno. Pietro sentì le grida, i colpi di mitraglia, si rese conto di quanto stava accadendo e si armò di alcune bombe in suo possesso, provando a reagire con le armi contro il nuovo nemico, aiutando i concittadini a mettersi in salvo. Ma nessuno aiutò lui, quando a sua volta cadde nelle grinfie dei teutonici. Il povero giovane, 39 anni, fu catturato, disarmato, derubato dei pochi soldi che aveva in tasca e fucilato sul posto. Come con tutti i resistenti, i nazisti non si limitarono ad ammazzarlo senza pietà, ma la sua morte doveva servire da esempio e per questo il cadavere, stando ad alcuni racconti, fu legato ad un palo e lasciato esposto per due giorni, senza che nessuno osasse o potesse avvicinarsi, familiari compresi, per paura di altre feroci rappresaglie.28 Secondo una testimonianza di Beniamino D’Auria, tra i tanti che Pietro Cesarano aveva provato ad aiutare, ci fu anche il padre, allora ragazzo di 16 anni, inseguito e mitragliato dai tedeschi nel corso del rastrellamento del 23 settembre. Giovanni D’Auria, il padre di Beniamino, riuscì a salvarsi, senza essere colpito. Il povero Pietro lascerà la moglie incinta del suo settimo figlio, una femmina nata il 16 aprile 1944. La bambina sarà battezzata col nome di Pierina, in ricordo di quel padre che non le fu consentito di conoscere. La stessa signora Pierina, da noi contattata, portandoci il ritratto del padre, ha voluto raccontarci la sua versione dei fatti, così come è stata tramandata in famiglia, aggiungendo alcuni particolari raccapriccianti: «Non è vero che mio padre fu legato ad un palo, ne a nessun albero come altri vi hanno detto È vero invece che dopo essere stato ammazzato fu lasciato a terra per due giorni, senza che nessuno potesse avvicinarsi. A prendere i soldi dalle sue tasche furono i fratelli di mio padre. Erano tempi di miseria e in casa ce n’era bisogno. Dopo due giorni i fratelli, Sebastiano e Gennaro, presero un cassettone del comò e scesero in strada per metterci il corpo di mio padre. Lo misero su di un carretto e lo portarono al cimitero. Purtroppo non poterono seppellirlo perché la zona era piena di tedeschi. Questi sparavano dappertutto e contro chiunque. Quindi furono costretti a lasciare il corpo a terra e scappare via per non essere a loro volta catturati o uccisi. Dopo che i tedeschi furono andati via, Gennaro e Sebastiano tornarono al cimitero ma del corpo del loro povero fratello non c’era più traccia. Ne fu più trovato, impedendo alla famiglia di avere una tomba su cui piangere il nostro caro padre. Questa è la verità così come mi è stata raccontata dalla mia famiglia».29 A Pietro Cesarano, piccolo, grande eroe, dimenticato dalla comunità e dalle istituzioni locali, sarà tributato ‘8 ottobre 1947, dall’apposita Commissione Regionale rappresentata da due membri di ogni partito aderente al Comitato di Liberazione nazionale (CLN), costituito in seguito al Decreto legge Luogotenenziale del 21 agosto 1945, il riconoscimento di “Partigiano, caduto combattendo contro i tedeschi”.30 A presiedere la Commissione con sede a Napoli era l’anziano, Antonino Tarsia in Curia (1876-1970), un eroe delle Quattro Giornate di Napoli. La documentazione sarà poi consegnata all’Archivio Centrale di Stato e registrata come serie Ricompart Campania. L’intero Fondo è stato versato soltanto nel maggio del 2012 ed è ancora solo parzialmente riordinato e consultabile.31 Ci auguriamo che un giorno non lontano Pietro Cesarano possa essere ben più degnamente ricordato dai suoi concittadini e la sua memoria affidata ai posteri, intitolandogli una strada, magari la stessa in cui fu ignobilmente ucciso.32
Pasquale Alfano (1924-1943) Queste le notizie ricavate, stando alle prime due schede pubblicate dall’Atlante, sulle stragi fasciste e naziste, ma la nostra personale, complicata ricerca ci ha portato oltre, approfondendo gli episodi qui narrati e facendo altre raccapriccianti scoperte. Nella sua disperata ricerca di una via di salvezza, Antonio Raiola s’incrociò, forse, con un altro ragazzo in fuga. Forse non ebbero neanche questa opportunità. L’unica cosa certa è che entrambi furono falciati a poche decine di metri l’uno dall’altro. Chi prima e chi dopo, dalle stesse mani assassine. La terza vittima riportata dall’Atlante si chiamava Pasquale Alfano, aveva soltanto 19 anni non ancora compiuti ed abitava in via Canneto II. Ancora una volta una sintetica schede racconta i suoi ultimi momenti di vita. Noi, così come abbiamo fatto con Pietro Cesarano, siamo riusciti ad andare oltre. La notizia dei rastrellamenti si era diffusa in tutta la contrada e chi poteva si era nascosto per tempo in botole e cantine, altri, in via Canneto I, avevano trovato rifugio in una sorta di cisterna posta sotto l’aia del cortile e utilizzata per la raccolta dei liquami da usare come concime per i campi. L’aia è ancora esistente. Il giovane Pasquale per evitare la deportazione si era in un primo momento rifugiato nell’armadio della camera da letto dei genitori, poi, non ritenendolo sicuro, ci ripensò decidendo di fuggire e nascondersi nei campi. Arrivò in una strada parallela alla sua, in via Canneto I dove vi era una folta piantagione di ricini, i cui arbusti, con largo fogliame, erano alti non meno di due, tre metri. Purtroppo nella stessa zona si trovarono in pattugliamento due tedeschi, probabilmente gli stessi che avevano, o avrebbero ucciso di lì a poco, anche il povero Antonio Raiola. La pattuglia s’accorse di Pasquale Alfano, che a sua volta tentò nuovamente di mettersi in salvo ma fu gravemente ferito ad un gamba. Soccorso dagli stessi familiari fu portato nell’ospedale di Castellammare, ma qui vi rimase poche ore perché l’intero presidio ospedaliero fu evacuato a seguito di un allarme per un possibile bombardamento aereo.33 A questo punto i familiari decisero di portarlo a Lettere dove abitava un fratello del padre e conoscevano un medico disponibile a curarlo. La gamba ferita, ormai in cancrena, doveva essere amputata, ma il ragazzo rifiutò di operarsi e dopo altri due giorni di agonia morì. Erano le ore 13 del 26 settembre. Il povero Pasquale Alfano fu sepolto, momentaneamente, nel cimitero della stessa cittadina montana e in seguito riportato a Gragnano. La notizia della sua sepoltura a Lettere è venuta fuori casualmente, consultando il libro dei defunti presso la Parrocchia di Santa Maria la Carità, cercando di andare oltre quei semplici nomi e cognomi, provando a dare un volto alle prime tre vittime, a ricostruire delle vite altrimenti ignote, a dare un senso alla loro drammatica scomparsa.34
Domenico Langellotto (1908-1943)
Una quarta vittima che l’Atlante ha classificata come seconda vittima di Gragnano era in realtà un sammaritano. La scheda cita l’uccisione di un tale Langellotto, morto il 27 settembre in circostanze e luogo non definite. L’unica cosa certa è che fu ucciso dai tedeschi.35 Abbiamo voluto approfondire questo particolare episodio scoprendo la realtà dell’accaduto: Domenico Langellotto era nato in via Messigno il 30 settembre 1908, da Francesco, operaio, e Sofia Raimo, sposato con quattro figli, tutti in tenera età. Quel tragico giorno del 27 settembre 1943 per sfuggire alle retate dei tedeschi tentò di mettersi in salvò recandosi sulle colline di Gragnano, in zona Caprile, ma qui incappò in una pattuglia tedesca e ferito mortalmente ad una gamba. Trasportato dai compagni su un carretto a mano fino all’ospedale di Gragnano vi giunse morto.36 Domenico Langellotto sarà riconosciuto come Caduto per la lotta di Liberazione dal Comitato Regionale, il 3 novembre 1947.37 Il libro dei defunti conservato presso la Parrocchia di Santa Maria la Carità, si è rivelato uno scrigno di preziose informazioni, facendoci scoprire, per esempio che vi fu una quinta vittima, stavolta non uccisa dai tedeschi, ma causata dalle conseguenze di una inutile, folle guerra voluta dal fascismo per appagare la brama di potere del suo duce, Benito Mussolini. La quinta vittima è una donna di 55 anni, Consiglia Ferraro, abitava in via Petraro con suo marito, Antonio Sicignano quando il 5 gennaio 1944 fu travolta e uccisa da un camion americano. Altre notizie mostrano l’alta mortalità infantile, intere pagine riempite di nomi e cognomi di piccoli angeli scomparsi in tenera età, decine, centinaia di bimbi di pochi mesi, di pochi giorni, morti in quegli anni terribili, di fame, di miseria, di terrore, morti per le indicibile sofferenze causate dalla guerra, per gli affanni dei bombardamenti, per le spaventose condizioni igienico sanitarie nelle quali tante madri hanno portato avanti una difficile gravidanza, in cui i neonati hanno vissuto il poco tempo che è stato loro concesso. Intere famiglie costrette a lasciare le proprie città, cercando rifugio, cibo e quiete nelle campagne. Un' alta mortalità comunque inferiore, in percentuale, rispetto a quanto accadeva a Napoli e nel resto della provincia, dove i morti si contavano a migliaia. Ed è così che leggiamo, una per tutti, della morte della piccola Anna Fattorusso, una bimba di due anni, nativa di Torre Annunziata sfollata dalla sua città a causa delle numerose incursioni aeree. La famiglia aveva trovato rifugio a Santa Maria la Carità e casa in via Petraro, Qui, purtroppo, scompare la piccola Anna il 2 febbraio 1944. Così come abbiamo scoperto che non tutti i sammaritani riuscirono a nascondersi per tempo, diverse decine furono catturate e deportate in Germania, o in altri paesi del Terzo Reich, e, al momento, stando ad una testimonianza, abbiamo notizia che almeno uno di loro non tornò: Gabriele Cesarano, morto in terra tedesca, probabilmente per gli stenti subiti. A morire in Germania, vittime della deportazione, furono diversi militari nativi di Santa Maria la Carità e catturati, come altri 650mila, dai tedeschi all’indomani dell’armistizio e portati in uno dei tanti campi d’internamento nei territori del Terzo Reich. Secondo alcuni storici erano almeno quindicimila i campi, molti di questi erano campi di sterminio, dove trovarono la morte non meno di sei milioni di ebrei. Purtroppo dobbiamo registrare che anche a Santa Maria la Carità, secondo una testimonianza da noi raccolta, non mancarono i delatori e i collaborazionisti, pronti a servire l’ex alleato tedesco, ormai nemico dichiarato dell’Italia e degli Italiani, facendo nomi e aiutando i nazisti nei loro rastrellamenti. Tra i collaboratori una levatrice, nota mammana, una tipica figura femminile ancora presente, specialmente nei piccoli centri, fino ai primi anni Sessanta, quando ancora i bambini nascevano in casa e le partorienti erano aiutate da queste donne, pur prive di studi medici ma in grado di sostituire egregiamente le carenti strutture ospedaliere con la loro ricca esperienza. Una tradizione spesso tramandata da madre in figlia per più generazioni. Tra gli episodi raccontati, e da noi raccolti, intervistando anziani testimoni, si narra di feroci nefandezze compiute dagli invasori germanici, tra cui la tortura di alcuni prigionieri calati in un pozzo situato in via Polveriera, in un terreno adiacente una antica fabbrica tessile in disuso e oggi non più esistente, sorta sulle rovine dell’ex deposito di polveri da sparo, da cui la strada prende il nome. I poveretti venivano calati sul fondo del pozzo e lasciati nell’acqua per un certo tempo prima di essere riportati su, ormai terrorizzati, forse traumatizzati per sempre. Altre testimonianze ricordano che nel corso dei rastrellamenti non mancarono abusi sulle donne, fino alla violenza carnale e inutili barbarie come l’uccisione di asini e cavalli, poi sepolti in un terreno, trasformato in un vero e proprio cimitero, in località detta Casa Palomba. Ricordiamo che gli eventi bellici non lasciarono immune il nostro territorio, facendo almeno una vittima civile accertata, il povero Nunziante Esposito, di anni 40, colpito mortalmente in via Carrara da un raid aereo, che sganciò diverse bombe. Portato nell’ospedale di Gragnano, Nunziante non sopravvisse alle ferite riportate in diverse parti del corpo. Probabilmente tale uccisione avvenne il 30 agosto 1943 nel corso di un raid aereo effettuato da un caccia americano su Gragnano, dove provocò altre quattro vittime innocenti, tra cui due bambini di 2 e 9 anni. In ultimo chiudiamo con un quesito, una problematica mai affrontata, una traccia da seguire: anche a Santa Maria la Carità decine di giovani furono deportati in Germania a seguito dei rastrellamenti operati dai tedeschi in quei fatidici giorni tra il 23 e il 30 settembre e destinati ai lavori forzati. Noi ne abbiamo scoperto un superstite, ma in realtà quanti furono? Chi erano? In quanti tornarono? Diverse testimonianze affermano che furono diverse decine le persone prelevate e portate via sui camion tedeschi, ma nessuno ricorda chi erano, tranne uno o due nomi. Cosa è stato di loro? Hanno avuto qualche riconoscimento? Domande che nessuno si è posto e che noi ci auguriamo trovino un giorno non lontano una risposta esauriente da parte di storici disponibili a sobbarcarsi l’onere di una sempre più difficile ricerca, così come oggi ci abbiamo provato noi, offrendo alla Comunità Sammaritana questo modesto contributo alla ricostruzione storica di una pagina buia di storia cittadina.
Abstract da R. Scala, Santa Maria la Carità, settembre 1943. Una strage dimenticata, BookSprintEdizioni, 2017. Note 1 Cfr. Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, alla voce, Gragnano. Schede a cura di Isabella Insolvibile 2 Cfr. Wikipedia, Napoli. Stando a recenti ricerche sarebbero almeno 663 le vittime accertate della furia nazista nel corso di quelle drammatiche giornate di fine settembre, tra il 26 e il 1° di ottobre 1943 3 In realtà il numero totale delle vittime, 1.406, a 74 anni da quegli eventi, non è ancora da considerarsi definitivo, come dimostra la nostra stessa ricerca. Molte, troppe vittime non sono state ancora catalogate, come provano alcune testimonianze da noi riportate che parlano di civili ammazzati dai tedeschi a Sant’Antonio Abate e a Casola, non riconosciuti da nessuna statistica. 4 In tutta la Regione Campania i reati commessi dagli anglo americani, da settembre 1943 a fine 1945, furono 1.803, con 119 omicidi, 56 violenze carnali e 90 tentate. Il 23 ottobre 1944 a Gragnano alcuni soldati australiani ubriachi mettono in moto il treno TB33, che in discesa raggiunge velocissimo la stazione di Castellammare di Stabia, uccidendo 6 militari italiani e ferendone altri 4 più 2 civili. Cfr. Uccio De Sanctis, Violenze di militari alleati nei confronti di civili in Campania, dal Convegno di studi storici, Napoli nella seconda guerra mondiale, Napoli 5 marzo 2005. 5 ASN, Municipio di Castellammare di Stabia, Commissario prefettizio a Prefetto, 25 settembre 1943. 6 Il 17 settembre il Comando supremo della Wermacht (OKW) dichiarò aperta la “caccia agli schiavi” nell’Italia meridionale, misura che doveva servire a procacciare forza lavoro (teoricamente gli adulti nati tra il 1900 e il 1925, nella pratica tutti gli uomini validi) per la costruzione delle linee di difesa e per fornire manodopera alle fabbriche tedesche sempre più a corto di personale, affiancando così i militari italiani catturati dopo l’armistizio. Cfr. Giovanni Cerchia, La memoria tradita. La seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno d’Italia, Ed. dell’Orso, Alessandria, 2016. 7 Cfr. sito web, Biografia di una bomba. Bombardamenti seconda guerra mondiale e il sito web, Storia e Cultura di Gragnano, diretto da Giuseppe Di Massa nella pagina: Personaggi e Caduti 8 Gianni Cerchia, La memoria tradita, cit, pag. 87. 9 Giuseppe Di Massa, Santa Maria la Carità. Trenta anni di Autonomia, 2008. Sugli stessi argomenti cfr. R. Scala: Appunti per una storia di Santa Maria la Carità, in La Camera del Lavoro di Gragnano, Nicola Longobardi Editore, 2010. 10 Con delibera consiliare del 14 settembre 1904, il sindaco di Gragnano, Florindo Correale aveva istituito la Borgata Carità, distaccandovi l’Ufficio di Stato Civile nel 1906. Nello stesso anno, con Regio Decreto del 22 novembre fu insediato anche l’Ufficio di Conciliazione. Fino al 1928 rientravano nel territorio del Borgo anche le contrade Messigno e Mariconda, poi annesse nel costituito comune di Pompei, sorto il 29 marzo di quell’anno con zone di territorio staccate da Scafati, Boscoreale, Gragnano e Torre Annunziata e una popolazione al censimento del 1931 di 10.054 abitanti. 11 ASN, Relazione del sottoprefetto sulla situazione del Partito fascista e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN). 12 ASN, Legione CC.RR a S.E. Alto Commissario: Informazioni sul conto del signor Girace Vincenzo da Gragnano, 30 gennaio 1929. Vincenzo Girace sarà, infatti, nominato Commissario prefettizio di Gragnano, nell’aprile di quello stesso anno e assumendo la carica di Podestà qualche mese dopo. 13 Testimonianza di Poldo Siani di Castellammare di Stabia in Il dissenso clandestino 1943-1945 nelle regioni meridionali occupate dagli anglo americani, Atti del Convegno tenutosi a Napoli l’8 novembre 1998. 14 Testimonianza di Poldo Siani, cit. Un altro campo di concentramento si trovava ad Afragola, presso il Casone Spera e fu allestito dai tedeschi subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943, per poi abbandonarlo un mese dopo con la ritirata verso il Nord. Un secondo campo fu allestito anche dagli Alleati e gestito dagli inglesi, denominato con la sigla, Campo 209. Qui vi transitarono militari italiani prigionieri e il celebre criminale nazista tedesco, Erich Priebke. 15 Giuseppe Di Massa, cit. 16 Antonio D’Amora, Santa Maria la Carità. Il mio Comune, CRTS Pagani (SA), 2011, pag.61. 17 Leggiamo dall’atto di morte di Ernesto Borrelli, redatto nel 1944: «Il 28 marzo 1943 il Comando Aeronautico segnalava alle competenti autorità che il tenente, fu Eduardo e fu Cannavacciuolo Emanuela, nato il 10 gennaio 1910 a Gragnano, in occasione di missione bellica avvenuta il 27 marzo nel Mediterraneo occidentale, scompare e non venne riconosciuto. Essendo trascorsi mesi dalla data di segnalazione della sua scomparsa e le ulteriori ricerche sono riuscite infruttuose, se sia ancora vivo o deceduto. Viene redatto verbale di irrecuperabilità». Con Ernesto Borrelli periranno il comandante dell’aereo, capitano Urbano Lidio Mancini, medaglia d’oro per la stessa azione di guerra e il tenente Paolo Marchini. 18 ACS, CPC. Giacomo Iannotta, busta 2618. 19 ASN, Schedario politico, Sovversivi, Federico D’Aniello. Figlio di Raffaele e di Emanuela Filosa, Federico era nato a Castellammare di Stabia il 6 novembre 1883, sposato con sei figli, abitava a Santa Maria la Carità in contrada Casa Palomba, esercitando il mestiere di contadino. 20 Raffaele Scala, Appunti per una storia di Santa Maria la Carità, cit. 21 Regio decreto legislativo, 26 maggio 1944 n. 134: Punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo. Uno degli articoli precedeva la punizione per quanti dalla partecipazione e adesione al partito fascista, o che avvalendosi della situazione politica creata dal fascismo, avessero tratto illeciti arricchimenti 22 Da Wikipedia, cfr. Ammasso dei prodotti agricoli. 23 Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi. 1989, pag.43. 24 Camillo Daneo, Breve storia dell’agricoltura italiana, Mondatori 1980, pag. 146. 25 Melania Gaia Mazzucco, Vita, Giulio Einaudi Editore, Edizione per Repubblica l’Espresso, 2017, pag. 537 26 Francesco Soverina, Il Mezzogiorno tra tedeschi e Alleati, pag. 91, in Resistenza Resistoria, Bollettino annuale dell’Istituto campano per la storia della Resistenza, terza serie, 2007-2008, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009. 27 Atlante, cit. Nell’Atlante la vittima viene anagrafata come Alfonso Raiola, nata ad Angri il 7 aprile 1924. Presumiamo sia un errore di trascrizione, non ritenendo che le vittime siano due diverse persone. Antonio Raiola era nato ad Angri il 7 luglio 1924, figlio di Alfonso e di Teresa Varone, celibe. Nel suo atto di morte fu registrato che era deceduto, in seguito a colpi di mitraglia da parte di soldati tedeschi. 28 Atlante, cit. cfr. voce, Santa Maria la Carità. Scheda compilata da Isabella Insolvibile. 29 Testimonianza della signora Pierina Cesarano, figlia di Pietro, agli autori rilasciata in data 13 giugno 2017. 30 Pietro Cesarano era nato a Gragnano il 28 giugno 1904, figlio di Carmine e di Teresa Aprea. Muratore, era coniugato con Maria Rosa Sorrentino, dalla quale ebbe sette figli, di cui cinque femmine e un maschio, il primogenito Carmine. Un secondo maschio, il sestogenito Sebastiano, morì, ancora neonato, pochi mesi dopo la nascita, nel 1942. Nel libro dei defunti consultato fu scrupolosamente annotato che Pietro fu ucciso dai tedeschi. Secondo una testimonianza indiretta in via Visitazione, nei pressi della sua abitazione vi era un pino. A quest’albero Pietro Cesarano fu legato, fucilato e lasciato in esposizione quale ammonimento alla popolazione a non reagire contro le forze occupanti. Per la testimonianza cfr. Appendice 1. In ACS, presso l’Ufficio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani, Campania è conservato il fascicolo che lo riguarda. Numero della pratica 4423. Purtroppo del fascicolo non vi sono tracce, avendo rintracciato soltanto solo il frontespizio. 31 Gianni Cerchia, cit. pag. 137. 32 In Piazza Borrelli una stele ricorda i caduti, civili e militari, delle due guerre mondiali e inaugurata il 7 gennaio 2007, in occasione della Festa del Tricolore. Tra questi figurano sia Pietro Cesarano che Pasquale Alfano, manca Antonio Raiola. A quanto ci è dato capire i 27 nomi elencati furono raccolti senza nessun criterio di ricostruzione storica degli eventi ma semplicemente sulla scorta delle testimonianze dei parenti ancora viventi, raccolte alla rinfusa. 33 In quei giorni i cieli erano solcati da caccia bombardieri inglesi ed americani, diretti verso il salernitano dove avanzavano le truppe della 5° armata americana del generale Clark, attaccando le forze tedesche in ritirata. Questi caccia bombardieri, nonostante l’armistizio fosse noto fin dall’8 settembre non si facevano scrupoli nel lanciare bombe su strutture civili, seppure prossimi ad obiettivi militari, provocando numerose vittime tra le inermi, terrorizzate popolazioni. Furono almeno 70mila le vittime civili causate dai bombardamenti Alleati nel sud Italia. A Gragnano se ne conteranno cinque nel raid del 30 agosto 1943 e venti in quello del successivo 15 settembre. Su quest’ultimo dato, e per l’elenco nominativo dei caduti, cfr. sito web, Centro Culturale Gragnano. 34 Pasquale Alfano, nato a Gragnano il 6 dicembre 1924, celibe, era il figlio di Davide e Lucia Orazzo. I particolari qui descritti sulla tragica fine di Pasquale ci sono stati raccontati dalla sorella minore, la signora Anna Maria, classe 1931. La stessa ci ha raccontato che anche suo padre si salvò dalla deportazione riuscendo a nascondersi per tempo. Cfr. testimonianza in Appendice 1. 35 Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, schede a cura di Isabella Insolvibile 36 Si ringrazia per alcune informazioni su Domenico Langellotto l’amico e storico Giuseppe Di Massa. I dati anagrafici sono stati rilevati dai registri comunali conservati presso il municipio di Santa Maria la Carità. Messigno, infatti, di fatto, rientra storicamente nel territorio sammaritano, ma sottratto alla sua comunità nel ridisegno dei confini comunali, così come imposti dalla Regione Campania con la Legge Regionale n.60, del 23 novembre 1978. Altre contrade, storicamente rientranti nell’antica Frazione sammaritana solo parzialmente inserite nel costituente comune, furono Madonna delle Grazie e Cappella dei Bisi 37 ACS, Domenico Langellotto, numero della pratica 4674. Purtroppo il fascicolo allegato al frontespizio non si è trovato. |
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