La “Giovine Italia” mazziniana in Puglia

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Nonostante il periodo del regime borbonico fosse caratterizzato dal “vietato pensare”, la Giovine Italia mazziniana conquistava non solo il fiore degli studenti napoletani, ma anche tantissimi pugliesi, ai quali ha dedicato un’ampia e completa ricerca Pietro Palumbo nel suo volume Risorgimento Salentino.

La pressante censura borbonica fu ammessa finanche dal noto filo monarchico Giacinto De Sivo, scrittore e storico italiano, alto funzionario dell'amministrazione del Regno delle Due Sicilie, il quale, con riferimento a Ferdinando II, scrisse: «Temuti gli uomini di testa s’andò cercando la mediocrità, perché più mogia; non si volle o non si seppe cercare i migliori e porli ai primi seggi. Per non fidarsi in nessuno e per non aver bisogno d’intelletto, fu ridotta a macchina l’amministrazione e il governo. Si credeva così non s’avrebbe mestieri di pensare».

Ciononostante  le affiliazioni alla Giovine Italia da parte di giovani che non rinunciarono all’attività pensante crebbero anche in Puglia.

Nicola Mignogna, esponente dei patrioti mazziniani-garibaldini, entrò a far parte della Giovine Italia fin dal 1836 a Napoli. L’iscrizione avvenne mentre si trovava in una cella dei frati Agostiniani, nella quale, in nome di Dio e del Popolo, volle consacrare “ora e sempre” la sua opera all’Italia una, indipendente, libera e repubblicana.

Giuseppe Ricciardi, anche se i suoi rapporti con Mazzini sarebbero stati negli anni sempre più difficili, nel 1834, era già stato arrestato e rinchiuso a Castel Sant’Elmo. In seguito, avendo espresso ancora con più decisione e coraggio le sue idee repubblicane, fu rinchiuso dal ministro Del Carretto nel manicomio di Miano, da dove uscì per prendere temporaneamente la via dell’esilio.


Un ruolo significativo nell’organizzazione della Giovane Italia in terra di Salento fu quello di  Giovanni Calcagni un frate di Ostuni, dotto priore dei Carmelitani, che con la sua opera di proselitismo rese quel territorio un fervido focolaio mazziniano.

Nel paese di Ostuni e nei paesi vicini gli affiliati si riunivano nei locali retrostanti alle farmacie o nei caffè, dove fingevano di giocare a carte. Tra le farmacie furono famose la Orofalo di Ostuni, la Balestra di Francavilla Fontana e la Brandonisio di Bari.

A Taranto i fondatori della società segreta mazziniana furono i fratelli Catapano, i fratelli Savino, i sacerdoti Rossi e Leo, oltre a Nicola Mignogna e il giovane Carbonelli.

A Francavilla la Giovane Italia aveva tra i referenti l’avvocato Annibale Preite, Michelangelo Calofilippi, Vincenzo Trisolino e Francesco Posino.

A Manduria gli affiliati si adunavano nella sagrestia della Congrega dell’Immacolata.

Per quanto concerne Lecce, non poco rilevante fu l’attività svolta da Epaminonda Valentino, che morì poi avvelenato in carcere nel 1848, e con cui collaborarono gli affiliati Libertini, Stampacchia, De Donno, Pontani, Gallucci, Abate, Cepolla, Piccinni, Elia, Madaro.

Anche i comuni di Brindisi, Mesagne, Oria, Latiano diventarono centri di affiliazione. A Lucera si riuniva la setta La Propaganda, che aveva un chiaro orientamento mazziniano, mentre in Capitanata il movimento mazziniano ebbe la sua più nobile espressione in Luigi Zuppetta, la cui fama di uomo politico di parte repubblicana e di docente di diritto penale sarebbe stata apprezzata oltre la regione natìa.

Luigi Zuppetta operò attivamente anche nel Foggiano insieme a Giuseppe Ricciardi, il quale avrebbe avuto in seguito posizioni più radicali del repubblicanesimo mazziniano.

A Bari figura preminente della Giovine Italia fu quella di Vito Diana, che ebbe collaboratori anche in diversi comuni della provincia, tra cui Putignano, Acquaviva, Turi, Casamassima e Castellana. Non sono infine da dimenticare altre città simpatizzanti per la Giovane Italia tra cui Altamura, che già si era distinta per essere stata la Leonessa nella controrivoluzione del 1799,  Barletta, Trani, Bisceglie, Gioia, Monopoli e Gravina.

Di particolare rilievo fu l’incessante attività patriottica di Andrea Monopoli, un sarto di Putignano residente a Taranto, instancabile propagatore delle idee mazziniane tra la classe operaia, il cui nome comparve varie volte tra i maggiori indiziati considerata la difficoltà a mantenere segrete le riunioni con la repressione borbonica ipervigilante.

Le prime notizie al ministro di polizia Del Carretto sulla Giovine Italia in Puglia pervennero da un tenente della gendarmeria di Massafra, Michele Guerra, poi dalla “guardia d’onore” borbonica Domenico Giannotta di Maglie e dall’agente di polizia Vergara.

I primi ad essere arrestati e processati furono, tra i più noti, oltre ai citati Padre Giovanni Calcagni, Vito Diana, il sacerdote Leo e i fratelli Savino e Catapano, Andrea Monopoli, Giuseppe Casarano, propagatore della Giovine Italia nel Potentino, i fratelli Cimino, fra Vincenzo Pagano, Cataldo Todaro, Francesco Ponno di Francavilla e tanti altri patrioti.

La sentenza per tutti gli affiliati fu pubblicata il 5 luglio 1838: Giuseppe Catarano di Taranto fu condannato a 24 anni di ferri, 19 per  Padre Calcagni, il sarto Andrea Monopoli, fra Vincenzo Pagano, Francesco Ponno. Per gli altri patrioti vi furono pene inferiori ai 10 anni.

Ma la durezza della sentenza anzicchè scoraggiare l’attività dei patrioti ne alimentò l’avversione alla monarchia borbonica, tanto che durante i moti rivoluzionari del 1848 i patrioti pugliesi furono pronti a dare un fortissimo contributo ideale, sacrificando la vita per il sogno di un ‘Italia una, indipendente, libera e repubblicana.

 

 

Bibliografia:

P. Palumbo, Risorgimento Salentino, Lecce, 1911.

M. Viterbo, Il Sud e l’Unità, Laterza, Bari, 1966.

 

 

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