Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Bicentenario della nascita di Theodor Mommsen (1817-2017)

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Quando penso a Theodor Mommsen il mio pensiero va a un vero e proprio gigante della cultura o per meglio dire della ricerca. La parola gigante viene spesso usata impropriamente, come un modo di dire esagerato e compiacente,  ma in questo caso è più che appropriata, perché è un termine che cerca in qualche modo di definire la grandezza del Mommsen, che per la vastità della sua opera pare avere pochi raffronti.

Se si pensa che questo studioso tedesco è riuscito a raccogliere un’ infinità di iscrizioni latine in tutta l’area su cui si era esteso nell’antichità l’impero romano, si può ben comprendere che stiamo di fronte a un fenomeno che pare impossibile che si sia potuto verificare. Eppure egli ci è riuscito con un’impresa immane.

Per realizzarla Mommsen, durante la vita, ha dovuto muoversi ma soprattutto relegarsi, isolarsi in quella che egli chiamava una vera e propria “galera epigrafica”, come scriveva  il 15 settembre 1881 al suo illustre amico italiano De Rossi, durante la quale non sono mancati momenti di depressione, per il troppo impegno, con urgente necessità di riposo.

Altri aspetti mi hanno colpito del Mommsen. Una sensazione  suggestiva la si avverte quando ci si accosta ai volumi del Corpus  Inscriptionum Latinarum.  Non nascondo che la prima volta che ho avuto davanti ai miei occhi questi libri, che non avevo mai visto di sì grande formato, scritti in latino, contenenti  in ogni pagina a mo’ di riquadri varie numerate antiche  iscrizioni, con  precise notizie essenziali ad esse correlate e col ricordo dei suoi collaboratori, meravigliato ho avuto l’impressione che essi erano frutto di una mente che era collocata ad alti livelli e quindi fuori dal normale.

 

I numerosi volumi che compongono il CIL sono un vero e proprio patrimonio della cultura e dell’umanità.

Le iscrizioni scoperte dovevano servire a riscrivere per bene una parte importante della storia antica. L’impegno del Mommsen quindi non si è limitato solo a raccoglierle, ma a  interpretarle, e con l’aiuto di altre discipline, che riuscì anche a padroneggiare, a utilizzarle soprattutto per ricostruire quanto era veramente accaduto durante il lungo periodo in cui Roma aveva dominato il mondo.

In un così ampio lavoro di interpretazione delle epigrafi talvolta non potevano non essere commessi degli errori, che altri studiosi hanno poi corretto, ma ciò non toglie nulla alla grandezza del ricercatore tedesco.

Sono passati duecento anni dalla nascita del Mommsen (30 novembre 1817).

«Il Bicentennario della sua nascita – come ho scritto al suo grande seguace italiano Marco Buonocore - mi fa pensare a quando andavo alla ricerca di Garding, luogo in cui è nato, sull’Atlante Geografico, e all’odissea di Mommsen durante le due guerre dei Ducati.

E come egli avesse il pensiero diviso tra le sue ricerche archeologiche italiane e le questioni politiche dello Schleswig, che lo portarono ad essere da danese a tedesco». 

Un altro aspetto che colpisce del Mommsen è che egli è alle origini scientifiche di tutti gli studi archeologici del bacino mediterraneo. Non c’è luogo ove la ricerca scientifica sull’antichità romana non cominci da lui. La sigla CIL, Corpus Inscriptionum Latinarum, oramai compare sempre ovunque senza il suo nome. Egli è presente, come un onnipotente, dal quale bisogna partire. Per la sua universalità e onnipresenza si potrebbe parlare quasi di un “Santo della cultura”, ovunque stimato e onorato.

I risultati conseguiti danno lustro alla Germania e alla profondità del genio tedesco, che ha in Mommsen la prova più esemplare.

La stima che si ebbe di lui in Germania fu tale che lo stesso Bismarck, duramente attaccato nel Parlamento tedesco dal Mommsen, dopo averlo querelato accettò il verdetto giudiziario che fu a favore del grande studioso.

Voler parlare dei meriti del Mommsen e della sua opera sarebbe un lungo discorso. E’ bene tuttavia solo ricordare che dopo essere stato professore universitario divenne negli anni 1874-75 Rettore dell’Università di Berlino.

Oltre al CIL è doveroso almeno menzionare le opere  che scrisse sul diritto romano sia pubblico, Römisches Staatsrecht,  che penale Römisches Strafrecht.

Diresse dal 1874 i Monumenta Germaniae  historica, che trattavano dell’agonia dell’Impero romano e dell’affermarsi dei Germani. La sua attività scientifica produsse, tra l’altro, anche il Corpus Nummorum,  la Prosopographia Imperii Romani e il Vocabolarium iurisprudentiae romanae.

L’amore per la sua terra d’origine e la coscienza della necessità di un impegno concreto lo portarono a interessarsi di politica, diventando deputato liberale nella Camera Prussiana (1863-66 e 1873-79) e poi al Reichstag (1881-1884). E’ stato quindi uno studioso aperto ai problemi del suo tempo.

Nel mare magnum della sua ricerca storica e dei suoi contatti c’è sempre qualche studioso che ricorda qualcosa di lui e della sua presenza nella propria terra.

Non potevo neanche io non rimanere meravigliato nell’apprendere che Mommsen, venendo in Italia per ricercare le iscrizioni latine del Regno di Napoli, era giunto persino ad Agnone all’età giovanissima tra i 28 e 29 anni.

Tempi difficili i suoi, con grandi sacrifici, «come alzarsi presto, andare a cavallo e stare sempre in istrada», di cui parlava in una lettera inviata il 14 maggio 1946 al suo amico Henzen o con preoccupazione, quando nel Molise il suo arrivo – come qualcuno ha scritto - pare che sia stato ostacolato dal brigante Cozzitto.

La sua passione per l’archeologia e l’epigrafia era grande. La curiosità storica e il sacrificio per la cultura in lui sono stati esemplari.

C’è una bella foto di Mommsen giovane proprio del periodo in cui venne per la prima volta in Italia e quindi anche in Agnone. E’ stata pubblicata dal suo biografo Stefan Rebenich (Theodor Mommsen. Eine Biographie, p.48).

E’ una foto scattata a Roma agli albori della tecnica fotografica (Winter 1846/47). Mommsen non è solo. Ha degli eleganti occhiali chiari ed è concentrato a vedere, insieme a Julius Friedländer (numismatico) un documento che gli mostra suo fratello Tycho (filologo), che è in piedi tra i due, che sono seduti davanti a un tavolo. Alla destra di Mommsen è seduto anche Emil Braun (archeologo). Tycho Mommsen era fratello minore di Theodor. Questi due fratelli insieme al poeta Theodor Storm pubblicarono nel 1843 un libro dal titolo Liederbuch dreier Freunde (Canzoniere dei tre amici). 

L’amore per la poesia, già evidenziato in età giovanile, permise che la splendida prosa della Storia di Roma contribuisse, oltre all’importanza del contenuto, a far ricevere a Theodor Mommsen nel 1902 il Premio Nobel per la Letteratura.

Questo studioso tedesco ha lasciato un segno indelebile nella storia di Agnone dell’Ottocento, che io tengo così riassunta su una parete della sala scientifica della mia Biblioteca.

Su di  essa si trovano appesi al muro, uno a fianco all’altro,  due grandi ovali dalla cornice dorata: in quello di sinistra è raffigurata l’immagine di Theodor Mommsen, non più giovane, mentre in quello di destra c’è la foto di Francesco Saverio Cremonese, ex sindaco di Agnone, ma soprattutto importante archeologo locale.  Sono lì l’uno a fianco dell’altro perché nell’Ottocento tra loro c’ è stata una collaborazione, che merita di essere ricordata.

Il Cremonese è stato non solo lo scopritore di Pietrabbondante e della Tavola di Agnone, ma soprattutto un importante ricercatore locale di epigrafi romane, confluite nel CIL IX del Mommsen, che lo lodò molto per l’impegno.

Il Mommsen e il Cremonese sono stati quindi,  nell’Alto Molise,  i primi ad iniziare un serio discorso scientifico. Ma il rapporto che il Mommsen ebbe col Cremonese fu solo uno degli tanti rapporti che lo studioso tedesco coltivò nella sua vita di ricercatore.

Sempre nella suddetta sala della mia Biblioteca sotto i due grandi ovali di Mommsen e Cremonese, di cui ho parlato, c’ è un terzo ovale più piccolo contenente una foto nella quale siamo raffigurati io e Marco Buonocore. E’ stata scattata ad Agnone durante un convegno archeologico da me organizzato. Essa sta ad attestare come io e Buonocore abbiamo cercato di continuare nell’area di Agnone l’opera iniziata un secolo prima da Mommsen e Cremonese.

Non nascondo la commozione che talvolta mi ha preso nello scrivere questo articolo. Se mi chiedo da che cosa essa è scaturita, posso affermare che è dipesa dal comune amore che ho col Mommsen per il passato, dalla grande stima che provo per lui e dal fatto che egli è stato indirettamente il tramite perché io conoscessi Marco Buonocore, che per la sua straordinaria opera sulla scia del grande studioso tedesco, può essere considerato il  “Mommsen italiano”. Io ho avuto con il Buonocore una collaborazione durata molti anni e intessuta di molte lettere. E’  la nostra una storia degna di essere raccontata. Di lui ricordo anzitutto la vasta cultura, l’assiduità con la quale mi ha sempre risposto e l’amicizia che ne è derivata. Mi è rimasto impressa di lui nella memoria quando venne a osservare in Agnone il cippo funerario dedicato a Vibia Bonitas, da me scoperto nel 1974.

Lo rivedo nell’ingresso della biblioteca comunale, seduto per terra vicino al cippo, mentre osservava con attenzione l’iscrizione, che aveva precedentemente illuminata, munito com’era di una particolare attrezzatura. E’ un quadro che attesta la sua intensa passione archeologica, rimasta sempre viva nella mia memoria.

Il Buonocore ha scritto molti libri e contributi, tutti importanti, e proprio in quest’anno del Bicentenario della nascita di Mommsen verrà pubblicato il volume Le lettere di Theodor Mommsen agli Italiani da lui curato.

Ancora nel clima del Bicentenario il prossimo anno a Berlino sarà pubblicato sempre del Buonocore il Supplemento al CIL IX, relativo alla regio IV augustea, una straordinaria opera che l’ ha impegnato per alcuni decenni.

Tuttavia di fronte a grandi studiosi, come Mommsen e Buonocore, io ho avuto sempre il senso del mio limite, cioè della modestia del mio contributo, e la mia ammirazione per loro, che hanno mostrato un’intelligenza e un impegno veramente rari. Li ho sempre considerati maestri irraggiungibili, di cui ho l’onore di aver conosciuto, il Mommsen spiritualmente mentre il Buonocore personalmente.

Io ho dedicato parecchio tempo della mia vita all’archeologia. Se non fosse stato così non sarei stato nominato Ispettore Onorario per i Beni Archeologici dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Ho avvertito in me tutto il fascino del mondo antico, altomolisano, soprattutto per la sua storia, le sue divinità,  la sua lingua, per la ricerca delle sue vestigia. Credo di aver provato tutta l’emozione che si avverte nel cercare di rivivere il tempo passato. Il mio vero amore archeologico è stata “La Tavola di Agnone”.

Ma mentre per Mommsen e Buonocore la vera vocazione è stata l’archeologia nel suo versante epigrafico,  per me invece, pur attratto fortemente da essa, mi sono dedicato soprattutto alla  nonviolenza e a Dio. Mentre essi hanno utilizzato il loro tempo continuamente alla ricerca, io invece ho tenuto sempre aperto il fronte spirituale, che mi ha molto assorbito. Le esigenze più profonde della mia anima sono state quelle etiche e religiose.

Tra religione e archeologia per me non c’è stato mai contrasto. Se ci fosse stato, esse non sarebbero vissute insieme nella mia anima. Per meglio dire il culto del passato, per la sua storia, per la salvaguardia delle sue testimonianze è animato in fondo da uno spirito  di curiosità, teso a farlo rivivere, che ha somiglianze col culto religioso. Infatti per noi cattolici la Messa non è altro che un far rivivere il passato della presenza di Gesù sulla terra.

I tre ovali della mia biblioteca vogliono un po’ ricordare la storia di quattro persone che, secondo le loro diverse vocazioni, si sono dedicati all’archeologia.

Il Bicentenario della nascita di Mommsen evidenzia come lo studio sia importante nella vita degli uomini per i tanti inaspettati orizzonti che esso apre al loro futuro. Non ci sarà mai umano progresso senza studio, scienza e conoscenza. Se la ricerca ha procurato al Mommsen impegni e sacrifici è altrettanto vero che ha dato a lui anche grandi soddisfazioni. Può darsi che avesse - come è stato talvolta rilevato – un carattere per così dire un po’ selettivo e pronto a catalogare i vari  spessori, spesso poco consistenti, degli studiosi che incontrava. Ma chi si dedica alla profonda ricerca e alla continua riflessione può talvolta avvertire il divario tra la propria preparazione e quella degli altri ed essere forse un po’ troppo severo nei giudizi.

Ma di fronte all’immensità della conoscenza il vero studioso in fondo non può che diventare una persona umile e sentirsi come Socrate pur sempre ignorante. E’ questa umiltà trova poi origine  anche nella consapevolezza che pur le cose più grandi hanno un carattere relativo. Ma se è vero che per ogni evento umano vale la massima Sic transit gloria mundi, è altrettanto vero – come è accaduto al Mommsen - che niente ha più sentore di eternità dell’ eccezionale lavoro compiuto in vita, teso a dare all’uomo, tramite la conoscenza, la sua vera dignità.

 

 

 

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