Partigiani a Napoli
La lotta partigiana napoletana rimanda alle famose Quattro Giornate di Napoli, un evento determinante che ebbe una sua anticipazione, “un primo capitolo”, così come lo definisce Corrado Graziadei, nella riunione degli antifascisti delle province di Napoli e di Caserta a Cappella Cangiani. Il 22 agosto del 1943, presso un’abitazione privata del quartiere Vomero, s’incontrarono settantanove antifascisti per preparare e definire le azioni di lotta, e da subito emersero i contrasti tra i sostenitori di una condotta politica unitaria e gli anarchico- massimalisti, il cui portavoce, l’avvocato Rocco D’Ambra, proponeva una subitanea insurrezione rivoluzionaria. Gli unitari, che erano in maggioranza, proposero di redigere un documento concordato tra le due tendenze, ma la proposta cadde. Impossibilitati a raggiungere un accordo, Rocco D’Ambra ed una trentina di persone, abbandonarono la riunione. Seguì il presidente Antonio Tarsia e la riunione si ridusse ad una cinquantina di persone. Improvvisamente si udirono scariche di fucileria e passi scanditi di soldati che avanzavano da ogni parte. Gli antifascisti allora cercarono di disperdersi nella campagna circostante, ma nella fuga Graziadei cadde e si fratturò una gamba.
Catturato insieme a 49 antifascisti, Graziadei così ricordò l’evento nel suo memoriale: “In quel giorno, 79 antifascisti ci trovammo all’appuntamento, fummo circondati, moschettati e 49 rimanemmo nella rete. La mia gamba penzoloni, fratturata in più parti nel tentativo di sottrarsi alla cattura, costrinse i rastrellatori a rinviare nei miei confronti la disposta esecuzione”. Vi è da aggiungere - come riporta Antonio Alosco - che l’incontro di Cappella Cangiani fu avversato “anche dai comunisti ufficiali, che lo boicottarono e si rifiutarono di prestare aiuto agli arrestati, tra i quali figuravano pure molti comunisti, considerati indisciplinati alle direttive del partito”. Tuttavia gli arrestati ricevettero solidarietà e assistenza dall’antifascismo militante, e in particolar modo dal Partito Socialista e dal Partito d’Azione. Solo cinque di loro, dopo essere stati catturati, furono deportati dai tedeschi, per cui dopo l’otto settembre essi erano ormai fuori dall’Italia e “si pensò che fossero stati fucilati”. Si trattava di Focone, Matania, Morano, Canevaro e Perillo. |
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