Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Procida 1799. Cap.IX "La sommossa dei realisti"

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-Scusatemi, ma c’è una guardia civica alla porta che chiede del Commissario Alberini. Dice che deve andare subito al porto perché sono ripresi dei tafferugli.

-Va bene, va bene, gli dica che sto arrivando! – rispose lesto Bernardo, levandosi di scatto dalla comoda poltrona.

-Vi accompagno! – si offrì istintivo Scialoja, prevedendo qualcosa di grave, ed uscirono insieme.

-Stamane erano contenti per la pesca, adesso si sono ripresi a botte un’altra volta. Oramai bisogna far piantonare il porto per sedare queste risse continue. Ci sarà sotto qualcosa di molto grosso.  Non è bastato far arrestare quel marinaio, bisogna metterne al fresco altri.

-Si, fate bene. Male estremi, estremi rimedi! Bisogna indagare e capire bene cosa stanno confabulando.

Giunti a Sent’ Co’ trovarono i soliti capannelli brulicanti, sguardi ostili  e due marinai bloccati dalle guardie.

-Cosa è successo stavolta?

-Qualcosa di molto spiacevole, Commissario. Sono stati colti in flagrante mentre cercavano di convincere altri pescatori a sollevare una rivolta contro il nostro Governo.

Fu una doccia fredda, pur se presagita: il torbido stava per venire a galla e bisognava agire con fermezza.  Per lo stesso reato a Napoli non pochi realisti erano stati fucilati in Castel Nuovo, e lui stesso la mattina precedente si era trovato ad assistere ai tumulti.  Ora  quei due marinai stavano rischiando la stessa fine.

 

-Sbatteteli in una cella. Avanti! – ordinò  risoluto e Scialoja gli fece furtivo:

-Cosa intendete fare adesso? Non vorrete mica farli fucilare?

-Devo far  rispettare la legge, don Antonio!

-Teneteli in carcere per lungo tempo, ma evitare la fucilazione. Avete dimenticato la reazione del popolo napoletano? Se succede anche qui per noi è finita. La vostra decisione non solo sarebbe impopolare, ma ci creerebbe altri nemici ed in questo momento non possiamo permetterci sommosse! Dimostratevi indulgente, il popolo vi apprezzerà, si pentiranno, sarà la vostra generosità a disorientarli.

-E voi lo credete possibile?

-Almeno proviamoci!

-In ogni caso, non sarò io a decidere, hanno diritto ad un processo.

-Allora mandateli a Napoli, qui non abbiamo né giudici e né tribunali.

-E secondo voi a Napoli avranno il tempo di processarli?

-Insomma Bernardo, quello che faranno di loro a Napoli non sarà più affare nostro. Ma comunque io continuo a consigliarvi di essere indulgente e di tenerli in prigione qui, almeno per il momento. Può darsi che si ravvedranno.

Mentre discorrevano tra loro furono avvicinati da un altro rappresentante del Governo, Andrea Florentino; ansimava esagitato, riuscendo a fatica ad esprimere le prime parole, osteggiato di una  balbuzie nervosa e dal fiatone per aver  corso prima di raggiungerli.

-Sono stato a cercarvi più volte al castello, Commissario, ma da stamattina non riesco a trovarvi.

-Calmatevi, riprendete fiato. Cosa vi è successo?

-A me fortunatamente nulla, ma ho il dovere di riferirvi delle cose che ho visto la scorsa notte!

-Volete che ci spostiamo al quartier generale?

-No, posso parlarvene anche seduta stante. Non c’è tempo da perdere!

-Bene, vi ascolto!

-Vedete, io abito proprio qui a Sent’ Co’, in questo palazzetto rosa con gli archi. Ieri, verso le tre del mattino ero ancora sveglio a fare dei conti, quando ho sentito provenire dalle banchine uno strano mormorio, così sono andato alla finestra ed ho visto quei due che avete appena arrestato in quell’angolo nascosto vicino all’osteria. Prima hanno discusso tra loro e poi si sono avvicinati ad una barca e furtivamente hanno tirato fuori delle armi.

-Armi? Che genere di armi?

-Credo fossero delle baionette.

-Ne siete sicuro Florentino? Sicuro che fossero proprio quei due?

-Si… indossano ancora gli stessi abiti. Sono loro, ne sono sicurissimo!

-E le armi? Avete visto dove le hanno portate?

-Non saprei. Le avevano con loro quando si sono infilati per questa stradina che porta su, verso il centro storico.

-Va bene,  la vostra informazione è stata molto preziosa.

-Ho fatto il mio dovere, Commissario. D’altra parte è già da un po’ che quei due, e non solo loro, stanno cercando di metterci il popolo contro. Ieri in uno dei miei poderi per poco non è scoppiata una rivolta tra i contadini. Le fazioni avverse stanno congiurando.

-Lo so e dobbiamo fare qualcosa. Intanto abbiamo arrestato quei due marinai, poi cerchiamo gli altri.

-Forse sarà il caso di parlare con Calise. – interruppe Scialoja e Bernardo riprese:

-Si, lui li conoscerà di sicuro. lo mando subito a chiamare. Intanto noi torniamo al castello e voi Florentino, mi raccomando, teneteci sempre informati.

-Statene certo, Commissario, lo farò!

-Come vedete, caro Scialoja, il mio istinto non si era sbagliato. La rissa dell’altra mattina non è avvenuta per un semplice gioco di carte. Altro che episodio isolato, c’era questo bel marcio sotto! Quelli stavano cospirando. L’oste deve aver minacciato di buttarli fuori per non trovarsi nei guai  e per questo lo hanno ferito.

Commentava  angustiato Alberini, mentre con passo svelto si avviava al castello seguito dal sacerdote.

-Alla luce di quanto è successo oggi, si, non posso che darvi ragione, e considerato che è un complotto tramato fra marinai  credo che Calise ci sarà molto utile.

-Sicuramente. D’altra parte mi ha già parlato di nemici che ci giravano intorno ma, ad essere sincero, pensavo lo dicesse a mo’ di avvertimento. La situazione si sta aggravando don Antonio, stiamo rischiando di essere attaccati prima ancora dell’arrivo degli inglesi.

Non riuscirono nemmeno a raggiungere il quartier generale che già il marinaio Calise compariva dietro di loro.

-Commissario, don Antonio, aspettatemi!

-Lupus in fabula! Vi abbiamo appena evocato e già siete qui! – esclamò Bernardo sorridendo.

-In verità sto cercando di raggiungervi da quando stavate giù a Sent’ Co’ ed ho anche incrociato Florentino e mi ha detto che volevate vedermi con urgenza.

-Si, Giacinto, vi ho mandato a chiamare e suppongo che già sapete perché.

-Si, so tutto, sapevo già tutto, ma non ho voluto calcare la mano perché non ne ero sicuro. Si sono guardati bene anche da me perché sanno che sto dalla vostra parte.

-Non spero che ci diranno dove hanno nascosto le armi. Voi avete qualche idea?

- Di preciso non saprei dirvi, forse in  casa di qualcuno di loro, oppure in qualche grotta intorno all’isola. Qui ce ne sono diverse e sono raggiungibili solo per mare.

-Sono stati visti andare su, verso l’interno, Non penso che sono così stupidi ad averle nascoste nelle case proprie, tutt’al più presso qualche amico o parente!

-Si, dite bene, allora bisogna cercare intorno alla salita delle croci, dopo la piazza coi cannoni. Uno di loro, quello più agguerrito, ha la madre che abita in un vitigno sulla stradina che porta all’Abbazia. E’ una vecchia pazza che in pochi osano avvicinare perché dicono pratichi malefici.

-Bene, iniziamo a perquisire da lì. Andiamoci subito e facciamo venire con noi due guardie.

Il cielo imbruniva quando si misero alla ricerca del vitigno percorrendo con passo cauto e cadenzato una stradina che diveniva sempre più irta e stretta. Presenze invisibili scrutavano minacciose dalla fitta boscaglia, sinistri fruscii, qualche animale selvatico smuoveva il  fogliame. Con Giacinto che li precedeva di qualche passo, si fermarono di fronte ad una baracca derelitta, semi nascosta tra gli alberi; una sola finestrella sprangata ed un uscio consunto. Batterono più volte i pugni, fino a quando venne fuori una donna anziana, curva, ammantata di nero e dalla cera arcigna.

-Chi siete? Cosa volete? – fece aggressiva e stridula, puntando bieca uno per uno.  Alberini si fece avanti.

-Dobbiamo entrare.! Sappiamo che in casa avete delle armi!

-Qui non tengo nulla! -  ribatté lei pungente e risoluta tentando di richiudere l’uscio.

-Aprite,  è un ordine, dobbiamo perquisire la casa! - replicò il commissario duro e spazientito ed irruppe all’interno seguito da Calise, Scialoja e le due guardie.

Furono assaliti da un odore nauseante di cibo marcio, sterco e sporcizia. Era uno scenario raccapricciante: un  buco oscuro, imbottito di  stracci,  vasellame incrostato, una sedia di paglia a brandelli, escrementi e  montagne di fieno.

-Cosa ci fate con quel fieno?  - chiese Bernardo, mentre gli altri si addentravano cercando in giro.

-Lo mangiano i cavalli.

-E dove sono i cavalli?

-Li ho venduti!

-Ah, li avete venduti? E cosa ci fate col fieno lo tenete per ricordo?

-Aspetto che me ne arrivino altri!

-Eccoli! Stanno qui! – esclamò a gran voce una guardia, smuovendo una di quelle montagne d’erba secca.

-Sono baionette?

-Si, ce ne sono una decina!

-Prendetele!

Intanto la megera era rimasta impassibile ad osservarli con la sua raggelante cera di cattiveria, ma mentre stavano per venire tutti fuori dalla baracca, fissò Alberini con odio e imprecò roca :

-Maledetto! Quelle armi spareranno presto contro di voi! Vi siete venduti l’anima al diavolo e ora sta per venirsela a prendere!

-Lasciatela perdere, Commissario, sta blaterando, è solo una vecchia squilibrata! – fece don Antonio, tirandolo fuori per un braccio, ma lei continuò provocatoria e malefica.

-Dannato prete! Le peggiori sofferenze saranno le tue! Brucerai nella fiamme dell’inferno!

-Andiamo, forza, lasciamola marcire qui! - troncò risoluto Calise, sbattendole l’uscio sulla faccia raggrinzita, verde di bile ed astio.

Raccolte le armi si avviarono al castello oramai certi di quanto si era tramato e si stava ancora tramando contro il Governo. Avrebbero voluto far perquisire tutta l’isola, ma non c’era né  il tempo, né la forza e né gli uomini per farlo: erano tutti stremati, Bernardo più degli altri. Una valanga di responsabilità gli stava gravando sulle spalle togliendogli il respiro.

-Rimandate l’interrogatorio di quei due a domani, Commissario – gli consigliava Calise, seguendolo poco più di un passo -  Andate a riposare un po’. State pallido come un cencio e quei due sono degli ossi duri. Andate a riposare oramai è buio e…

D’improvviso una vampata di luce e uno, due, tre colpi d’arma da fuoco.

-A terra! Buttatevi a terra, state giù! – intimò gridando una delle  guardie.

-Vengono da lì! – gridò ancora più forte il Commissario, riparandosi dietro ad un albero e facendo fuoco  tra i rovi.

-Eccoli! Stanno scappando! Forza non lasciamoceli sfuggire!– urlò Calise rincorrendo due sagome scure che schizzavano via come lepri. Tentò di fermarli a colpi di baionetta, ma loro furono più lesti e riuscirono a farsi inghiottire dall’oscurità della notte. Desolato e sputando rabbia il marinaio  tornò indietro  a cercare i compagni. Stavano tutti intorno ad una delle guardie distesa sulla strada in una pozza di sangue.

-Bisogno chiamare subito un medico. E’ stato colpito ad un braccio. – li esortava  Bernardo, piegato sul corpo del giovane ferito. Gli teneva una mano compressa sul foro del proiettile tentando di fermare l’emorragia, ma il sangue continuava a venir fuori tanto che il ragazzo perse i sensi.

-Forza, aiutatemi a trasportarlo. Non siamo molti distanti dal quartier generale. –

L’altra guardia ed il marinaio subito si prestarono a sollevarlo.

-Bernardo, ma anche voi state perdendo sangue! – esclamò don Antonio nel vederlo muoversi a fatica e claudicante.

-Si, mi hanno preso di striscio, ma è solo una ferita superficiale, non pensate a me, dobbiamo salvare il ragazzo! –

-Venite, appoggiatevi,  non ce la fate a camminare! – si offrì preoccupato don Antonio, sorreggendolo per un braccio.

Riuscirono faticosamente a raggiungere il castello lasciando dietro di loro una scia di sangue. Nel giro di pochi minuti arrivò il dottor Assante.

-Al ragazzo bisogna subito rimuovere la pallottola. E’ andata troppo in profondità devo somministrargli dell’oppio per lenirgli il dolore. Mandate a chiamare il farmacista Schiavo, ho bisogno del suo aiuto e ditegli che portasse dei medicamenti.

Ci fu un movimento convulso di guardie nel castello, tutti cercavano di capire cosa fosse accaduto e di rendersi utili, pur solo con una parola di solidarietà.

-Commissario, la vostra ferita è lieve, bisogna solo disinfettarla bene, siete stato fortunato.

-Anche loro lo sono stati, dottore. Ci hanno teso un agguato e nel buio li abbiamo persi.

-Si, lo so, Calise mi ha raccontato come è andata. Purtroppo la situazione con questi maledetti filoborbonici sta precipitando, ora più che mai bisogna stare con gli occhi ben aperti.

-Pensate che il ragazzo si rimetterà?

-Si, ma devo estrargli il proiettile e sperare che non si infetti la ferita. Farò del mio meglio, state tranquillo. Voi, invece, avete assoluto bisogno di riposo. Questo pallore non mi piace, Alberini, non mi piace per niente, denota astenia, una debilitazione del vostro organismo. Non potete caricarvi di tutto. Andate a sdraiarvi e cercate di riposare, al ragazzo ci penso io.

-Forza, venite con me, vi accompagno. – fece paterno don Antonio, aiutandolo a raggiungere la sua camera.

-Avete un gran cuore, Bernardo, siete altruista, ma un po’ di egoismo ogni tanto non guasta. Siamo in tanti intorno a quel ragazzo, prendetevi anche un po’cura di voi stesso! Forza, vi accompagno a letto.

-Siete tanto buono con me don Antonio.  Se mio padre fosse stato come voi credo che mai avrei lasciato la mia casa.

-Io vi voglio bene come ad un figlio, Bernardo, perché ho imparato a leggere nel vostro cuore. A vostro padre non avete mai permesso di entrarvi, forse per questo non vi ha mai capito abbastanza.

-Avrei voluto parlarvene, ma non c’è stato tempo. Sapete, è stato davvero un triste incontro l’altro giorno.

-Lo avevo immaginato da vostro volto contristato, ma non vi ho chiesto nulla perché certe cose devono venir fuori spontaneamente.

-Ero andato da loro con serenità, sperando in un’accoglienza affettuosa e invece… mi ha aggredito con le sue invettive non appena mi ha visto comparire sulla soglia, mi ha dato della “pecora nera”. Non volevo mancargli di rispetto, ma mi sono sentito troppo ferito ed umiliato dalle sue invettive.

-Vi capisco, figliolo, ma nemmeno posso biasimare vostro padre. Lui avrebbe voluto per voi una vita serena, vi ha fatto studiare per fare di voi un buon notaio che avrebbe dovuto curare i beni di famiglia e crearsi una bella famiglia. Voi invece avete seguito i vostri ideali e, in tutta onestà, vi confesso che io avrei fatto lo stesso. Come potete vedere alla mia veneranda età  continuo ad essere fedele e sostenere il  mio spirito antiborbonico. Prima di fare la grande rivoluzione, noi tutti abbiamo attuato una piccola rivoluzione dentro e fuori noi stessi.  E questo ci accomunerà per sempre. Vostro padre non è da meno degli altri padri che stanno soffrendo per le scelte dei loro figli, per i quali sognavano futuri diversi. Ettore Carafa, per tener fede alla sua divisa da generale della Repubblica, ha rifiutato il titolo di duca di Andria ed il padre Riccardo è morto col desiderio di vederlo, l’avvocato Giorgio Pigliacelli è stato diseredato e con lui tanti altri. Non tormentatevi Bernardo, questo è il prezzo della libertà. Noi tutti abbiamo seguito il nostro cuore. Un giorno vostro padre capirà, o almeno coltiviamo questa  speranza. Riposate adesso, vi faccio portare una tisana calda, poi chiudete gli occhi e provate a dormire, io vado a vedere se il dottore Assante ha estratto la pallottola dal braccio di quell’altro povero figlio.

-Grazie don Antonio. Grazie di tutto.

Trascorsero un paio di ore di tranquillità; la tisana lo aveva aiutato a rilassarsi e così giaceva abbandonato sul suo letto. Dalla  finestra filtrava la pallida luce della luna ed il verso dei grilli, il castello pareva essersi spopolato, non un passo, non un respiro proveniva dalle altre stanze, tutto era avvolto dal silenzio.

Aveva gli occhi chiusi ed una pesante coperta di lana tirata fin su la testa quando sentì l’uscio della sua camera cigolare e schiudersi lentamente. Sollevò le palpebre pensando si trattasse del controllo di qualche soldato o di don Antonio che, preoccupato, vigilava il  suo sonno. Udì dei passi felpati avvicinarsi al  letto, poi una carezza dolce sulla guancia.

-Aurora, siete voi? Cosa ci fate qui? – chiese incredulo, sgranando gli occhi nella penombra.

-Ho saputo che siete stato ferito,  ero preoccupata.

-Siete tanto cara ad essere venuta, non potevate farmi dono più grande.

-Come vi sentite?

-Ben, ora che vi vedo, sto  bene.

-Ed allora sorridetemi e rassicuratemi.

-Vi sorrido, vi rassicuro e voi non negatemi un abbraccio. - fece lui stringendola a sé.

-Quale dolce magia siete per questa notte così oscura, quale luce per la mia anima! Siete catartica per me, Aurora!

-Dovete prendervi cura di voi, Bernardo, avete troppi nemici intorno.

-Si, lo so. Ora non ci sono più dubbi.  Ma ditemi di voi, cosa avete fatto questi giorni?

-Vi ho pensato.

-Era ciò che volevo sentirvi dire. Anch’io vi ho pensato tanto, pur se questa vita abietta non mi consente più un attimo di tregua, voi siete sempre nel mio cuore.

-E voi nel mio, per questo voglio che guarite presto, dovete essere forte.

-Con voi al mio fianco lo sarò, fino all’ultimo istante della mia vita.

-State tranquillo adesso e riposatevi.

-Andate già via? No, non mi lasciate, vi prego, restate ancora un po’. Vorrei potervi dire tante cose, vorrei poter sognare il futuro insieme a voi, vorrei…

-Non avete bisogno di dirmi niente. Io sarò sempre con voi, ve lo prometto. Sempre!

-Ditemelo ancora, vi prego, non immaginate quanta forza mi infondono le vostre parole, anche se non le merito perché nulla posso offrirvi se non questi sprazzi, momenti rubati ad un destino ostile.

-Mi state dando tanto, invece, ed è tutto ciò che desidero. Ora dovete dormire, vi aspettano delle giornate faticose e dovete recuperare tutte le vostre forze.

-Va bene, farò come dite. Ma almeno lasciatevi abbracciare ancora un istante, fatemi questo dono.

Lei annuì, accennando un sorriso e si lasciò stringere al suo cuore. Con dolce malinconia si divincolò, sparendo dietro la soglia con passo felpato. Rimase sveglio oltre un’ora ripensando a quel incontro surreale ed intenso che gli aveva inebriato l’anima.

 

 

Procida 1799. La rinascita degli eroi. Introduzione di Renata De Lorenzo

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