Come e perché Ninco Nanco diventò brigante
Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco negli anni giovanili dei sogni di libertà e di riscatto sociale delle classi subalterne, non possedeva nessuna di queste idealità. Mentre i fratelli Bandiera si immolavano al Sud per la libertà, Carlo Pisacane elaborava il suo pensiero socialista, Alessandro Poerio trovava la morte nella difesa della Repubblica di Venezia, Carlo Poerio, Luigi Settembrini marcivano nelle prigioni borboniche, Francesco De Sanctis era tenuto prigioniero in Castel dell’Ovo, Ninco Nanco doveva regolare i suoi conti con la giustizia borbonica per questioni di delinquenza comune. Uno zio infatti è Giuseppe Nicola Coviello, famoso brigante dell’epoca preunitaria, bruciato vivo nell’incendio di una capanna di paglia dove si era rifugiato per sfuggire alla polizia borbonica. Un altro zio, dopo avere scontato dieci anni di carcere per avere picchiato un gendarme, festeggia la libertà accoppando un concittadino per questioni di gioco e quindi si dà alla latitanza nelle Puglie, dove ammazza l’incauto massaro che gli ha offerto lavoro. Con simili esempi, il giovane Giuseppe Nicola ha la strada segnata. A vent’anni, nel 1853 viene ferito nel corso di una lite per motivi di gioco, a quanto pare vizio di famiglia. Nel 1856 viene aggredito, pugnalato ed abbandonato in mezzo alla strada come morto, ma Ninco Nanco ha la pelle dura e sopravvive. Rifiuta di aprire bocca con la gendarmeria borbonica e nel corso della lunga degenza medita vendetta quindi, una volta guarito, ammazza a colpi di scure uno dei suoi feritori. Viene arrestato e condannato a dieci anni di prigione nel durissimo bagno penale di Ponza, dal quale evade meno di quattro anni dopo, al momento del crollo dei Borbone. Tornato in Basilicata, cerca di arruolarsi prima nei garibaldini poi in varie unità locali di orientamento liberale e filo piemontese, ma viene sempre rifiutato. Anzi, quando si presenta a una colonna di volontari diretta a combattere i borbonici, sfugge a stento alla vendetta dei familiari della sua vittima presenti nella formazione” Nicola Summa si dà alla latitanza e pochi mesi dopo si lega alla banda del brigante Carmine Crocco”. Quindi Ninco Nanco chiese aiuto prima ai garibaldini e poi alle stesse unità locali di orientamento liberale e filo piemontese per risolvere i suoi problemi con la giustizia. Uno zio paterno, invece, aveva scontato dieci anni di prigione per aver schiaffeggiato un gendarme; uscito di galera, uccise prima un compagno per una questione di gioco, poi un massaro pugliese per il quale lavorava. Gli esempi familiari e la personalità ribelle di Ninco Nanco offrivano ampie garanzie di un futuro da fuorilegge. L’aspetto e il contegno non erano di meno”. Aveva vent’anni quando nel 1853 fu ferito durante una lite per questione di gioco e nel 1856, per motivi sconosciuti fu aggredito in strada e lasciato mezzo morto. Non intese collaborare con la giustizia borbonica e meditò la vendetta personale, ammazzando a colpi di scure uno dei suoi feritori. L’omicidio gli costò una condanna a dieci anni nel bagno penale di Ponza, ma il crollo del regime borbonico gli diede l’opportunità di tornare molto prima in libertà, cercando allora nella sua Basilica di offrire i suoi servizi prima ai garibaldini e poi ai piemontesi, ma venne rifiutato. Non gli rimase allora che la latitanza. L’incontro con Carmine Crocco, segnò l’inizio della sua vita da brigante. |
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