Il lavoro e l’assistenza sociale durante la Repubblica Napoletana

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Nonostante le riforme relative al lavoro ed all’assistenza sociale, necessitassero di tempi lunghi, durante il semestre repubblicano del 1799 furono affrontate con notevole sensibilità, raggiungendo dei risultati seppur  parziali.

Il primo provvedimento del 9 febbraio 1799 concerneva i licenziamenti senza giusto motivo di lavoratori, soprattutto artigianali.
Il provvedimento esplicitava che “non sarebbe stato permesso ad alcuno di diminuire il numero dei familiari, lavoranti e manifatturieri che vivevano con le loro fatiche giornaliere”.

A chiare lettere veniva anche precisato che chiunque avesse contravvenuto a tale provvedimento sarebbe stato obbligato a  “pagare alle persone licenziate il doppio del loro salario”.

Non si può non citare il proclama del ministro Gabriele Manthoné rivolto ai disoccupati al fine di presentarsi alla segreteria del ministero  “per sentire alcune disposizioni che sarebbero state di loro vantaggio”.

Ciò si relazionava all’assistenza sociale nel cui settore si indirizzarono con rilevanza le disposizioni e i provvedimenti.

La lotta alla povertà fu delegata non solo alle cittadine “madri della patria” Giulia e Maria Antonia Carafa, a cui il Governo aveva concesso incarichi rivolti a raccogliere i doni dei cittadini più abbienti e “versarli in una cassa nazionale, affidata alla probità ed esattezza del Cittadino Giuseppe Maria Pescara. Questa Cassa fu messa poi a disposizione del Comitato Centrale”. Il  provvedimento più rilevante fu il ‘Progetto di carità Nazionale’ di  Domenico Cirillo. L’idea, secondo Mario Battaglini, sarebbe venuta molto probabilmente leggendo sul “Monitore di Roma” la notizia di una proposta di pubblica assistenza elaborata da Pietro Paolo Baccini che aveva proposto di aprire un’associazione nella quale ciascuno, in relazione alle proprie disponibilità e virtù, potesse donare volontariamente una somma mensile.

Tale Cassa era affidata a “persone probe, oneste e dabbene”.

Del piano elaborato da Domenico Cirillo  esistono documentazioni rese note da Carlo De Nicola nel suo ‘Diario’, un piano particolareggiato per la cassa di carità nazionale, il regolamento dei deputati della cassa di beneficenza e approvazione del progetto da parte della municipalità napoletana.

Nella premessa Domenico Cirillo enunciò e sviluppò il concetto di “ virtù sociale” per i “ bisogni degli infelici” quale “ il più grande di tutti i doveri dell’uomo”. Preliminare si mostrava per Cirillo un censimento dei poveri, affidato ai parroci.

L’amministrazione della Casa era affidata a undici cittadini, tre soli dei quali ricoprivano altre cariche nella Repubblica, Francesco Rossi, membro dell’Istituto Nazionale per la Classe di lettere e arti, Luigi Carafa, membro della Deputazione frumentazione e lo stesso Domenico Cirillo.

La Cassa era localizzata nell’abitazione del cittadino Berio in via Toledo e i fondi “erano reperiti o con offerte volontarie o attraverso una questua effettuata dagli stessi membri della Commissione che fra di loro, a norma dell’art. 11, non dovevano avere né distinzioni né deferenze”. Si precisava, inoltre, che non vi sarebbero stati ‘capi’.

Il Piano prevedeva l’assistenza medica gratuita per gli infermi poveri. Il rendiconto si doveva presentare ogni settimana” tanto dell’introito, quanto dell’esito della Cassa allo scopo di informare l’intera cittadinanza. Il 15 maggio 1799 maggio fu presentato il resoconto del primo mese di attività.

Nonostante la brevità dell’esperienza repubblicana, le riforme che ci cercarono di attuare dimostrano la modernità di quella rivoluzione politico-sociale che rese il Sud dell’Italia sicuramente un paese sulla via di un progresso che finì purtroppo affossato dal ritorno dal regime borbonico conservatore e reazionario.

 

 Bigliografia:
Mario Battaglini- Il pubblico convocìo- Vivarium- Napoli 2003

 

 

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